GLI ULTRACORPI SONO ANCORA TRA NOI

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di Stefano Crisafulli

 

Un medico, Miles Bennell, torna nella sua cittadina natale, Santa Mira, una tipica cittadina di provincia americana degli anni ’50. Ben presto, però, si accorge che c’è qualcosa che non va: molti dei suoi abitanti ritengono che i propri parenti o amici ‘non siano più gli stessi’. All’inizio Miles penserà ad una patologia psichiatrica diffusa, sino a quando non si imbatterà nel sosia in formazione di un suo conoscente. Da quel momento tutto cambierà.

L’invasione degli ultracorpi di Don Siegel è prima di tutto un film di fantascienza, che ha però tutte le caratteristiche di un thriller grazie ad un magistrale crescendo di suspense. Chi vede il film in bianco e nero, uscito in sala nel 1956, ancora oggi viene catturato dalla storia e dal modo secco di raccontarla, credendoci fino alla fine, nonostante il gap temporale sia enorme e le premesse piuttosto inverosimili. A partire da quei baccelli provenienti dallo spazio che riproducono tali e quali gli esseri umani, sostituendosi a loro. Eppure la trasformazione rimane inquietante ed è in fondo l’unico ‘effetto speciale’ del film, che per il resto gioca sulla reazione di Miles (interpretato degnamente da Kevin McCarthy) e della donna di cui si è innamorato, Becki (Dana Winter), alla scoperta della verità e sulla contro-reazione dei paesani di Santa Mira. Ma cosa provoca tale trasformazione? La perdita di ogni tratto umano. Dal punto di vista fisico le persone sono ‘le stesse’, ma non provano più nulla. Non hanno più sentimenti, né desideri, né dolore. Sono completamente anaffettive.

Un film del genere non è casuale per l’epoca: siamo negli anni Cinquanta e gli Stati Uniti sono preda della Guerra Fredda e della paranoia comunista. Gli ‘altri’, ovvero i russi, sono spesso trasposti dalla fantascienza come ‘alieni’ provenienti dallo spazio con intenzioni bellicose (e rimarrà famosa la trasmissione di Orson Welles che, già nel 1938, sotto forma di finto notiziario, scatenerà il panico annunciando l’invasione dei marziani). Il maccartismo farà poi il resto, con conseguenze ben più gravi e reali su tutti coloro che venivano sospettati di essere vicini al comunismo. Però qui c’è dell’altro, che rende questo film, tratto da un romanzo di Jack Finney, attuale ancora oggi: il pericolo di una disumanizzazione collettiva. Ad un certo punto Miles afferma: ‘Molte persone perdono a poco a poco la loro umanità senza accorgersene, non così, d’un tratto, dalla sera alla mattina. Ma la differenza è poca’. Queste parole, decontestualizzate, possono valere anche per i nostri tempi. L’essenza dell’essere umano sta nella possibilità di provare emozioni e desideri e di mostrarsi empatico, ossia di percepire tale essenza anche negli altri. La mercificazione dell’umano e la disumanizzazione del presunto nemico sono due dei meccanismi che rischiano sempre più di ‘baccellizzare’ il mondo in cui viviamo. Cerchiamo, dunque, di non giungere all’amara constatazione di Miles: ‘Solo quando dobbiamo lottare per difendere la nostra umanità, ci accorgiamo quanto valga’. Fermiamoci prima.