Grazie professore

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Ha finito la sua esperienza di uomo, Stefano Rodotà, come accadrà inesorabilmente a ognuno di noi, e come accadrà per ognuno di noi la sua scomparsa lascia un vuoto, che però nel caso del giurista cosentino è un vuoto che si allarga a dismisura, coinvolgendo non soltanto le persone che gli sono state vicine, ma direi tutta intera la società italiana, includendo nel novero anche i non pochi che lo avversarono, perché la forza tranquilla del suo pensiero ha contribuito a tener accesi i riflettori su quanto accade attorno e dentro la realtà italiana.

Un giurista ispirato da una visione del diritto come strumento di promozione sociale, e dalla stessa astrazione di questo assunto si ricava da un lato la percezione della distanza che separava il personaggio dall’indistinto chiacchiericcio da salotti televisivi nel quale si assopisce la generalità dei nostri politici, mentre da un altro lato non si può non essere ammirati dalla capacità di tradurre tale sua astratta visione nella prassi di argomenti e problemi che hanno inciso ed incidono tuttora sulla quotidianità concreta e sempre più complessa delle nostre vite, quelle individuali e quella associata.

Scorrendo una sua bibliografia si ha conferma tangibile e inoppugnabile di tale sua capacità di confrontare la sua visione del mondo, che poneva ai primi posti i principi di democrazia, di uguaglianza e di emancipazione sociale, con la realtà che circondava lui e noi o anche con quella che la sua intelligenza sapeva prefigurare per un prossimo futuro. Uno studioso di parte? Certo, ma non nella claustrofobica parte intesa come recinto di un partito politico, chiuso da invalicabili steccati e rispondente a logiche stringenti di acquisizione o mantenimento del potere. La sua parte è stata sempre quella in difesa dei diritti di ciascuno, ma in particolare di quelli dei più deboli. Non è casuale che un suo volume monografico sulla proprietà privata abbia per titolo Il terribile diritto.

Il compito che si era assegnato, tanto nella silenziosa elaborazione intellettuale del suo studio quanto nella schiettezza mite ma intransigente dei suoi interventi pubblici, sembra essere stato il calare le enunciazioni teoriche nella contingenza del presente e spesso nella prefigurazione di come tale presente possa trasformarsi in un futuro irto di contraddizioni e di problematicità. Da ciò l’attenzione per quanto ci viene offerto, ad esempio, dalle nuove tecnologie informatiche e poi dalla capillarità e dall’invadenza della rete, la riflessione sul diritto a un fine vita dignitoso e consapevole, in generale, sui problemi della bioetica.

Una vita che non è stata soltanto di studio, ma che lo ha visto impegnato in prima persona anche a livello parlamentare, nell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, quindi Garante per la protezione dei dati personali, elargendo in ciascuno di tali ambiti un suo personale contributo al dibattito politico e culturale, informato sempre alla competenza giuridica e, quel che più conta e che più appariva evidente, a un costante assillo etico.

Poco o per nulla incline a servilismi nei confronti del potere, ebbe momenti di duro scontro in particolare con Berlusconi e con Renzi, quanto i due erano presidenti del Consiglio e minacciarono, ciascuno attraverso opzioni politiche diverse, di modificare l’assetto costituzionale del Paese spostandolo nel senso di un incremento dei poteri dell’esecutivo nei confronti del Parlamento. Il suo intransigente rispetto per la Costituzione repubblicana non era tuttavia idolatrico, ma ispirato da un laico e opportuno riformismo, essendo ad esempio favorevole al monocameralismo.

Aveva anche pensato a una modifica dell’articolo 21, che avrebbe voluto integrare con il seguente comma: “Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale“.

Ci mancherà il suo esempio, il suo rigore morale, la sua intelligenza, il suo giovanile entusiasmo per la difesa dei diritti.