Gregori, i gemelli della grafica

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Nino e Silvio: due vite in simbiosi dai manifesti alla Divina Commedia

di Roberto Curci

 

Che Trieste e l’intera area giuliana e istriana sia stata una fucina di talenti nel campo del design e della grafica pubblicitaria dovrebbe essere cosa ormai ben nota, avvalorata dalle mostre sullo Stabilimento tipolitografico Modiano svoltesi fra Gorizia e Trieste e dalle rassegne triestine su due mostri sacri del cartellonismo italiano: Leopoldo Metlicovitz  (Museo Revoltella-Palazzo Gopcevich, tra 2018 e 2019) e Marcello Dudovich (Scuderie del Castello di Miramare, nel mini-ritaglio dell’estate 2020 concesso dal virus).

Alquanto oscurati da questi protagonisti assoluti della grafica del ’900, altri nomi affiorarono però nelle generazioni successive: in primis quella venuta alla luce tra gli ultimi anni dell’800 e il 1910 circa, dunque quella dei Claris, dei Corva, dei Dabovich, fattisi largo nel mondo della pubblicità, fra Trieste e Milano, appropriandosi di metodi e stili aggiornati ai mutamenti del gusto intervenuti negli anni Trenta (il cubo-futurismo, il post-Déco, il post-Novecento) e abbondantemente iniettati negli studi grafici e nelle agenzie pubblicitarie alle prese con un approccio ben più maturo e scientifico alle esigenze del mercato e della committenza.

A tale generazione sarebbe però subentrata la successiva, quella dei nati negli anni ’20, che a loro volta avrebbero raccolto il testimone, pur senza attingere ai vertici espressivi degli artisti precedenti. Una generazione di cui ancora poco si sa, che non ha avuto la gratifica di veri studi e vere rassegne, e che – curiosamente – trova spesso anch’essa le proprie radici in terra istriana. Nato a Pola Marcello Claris, nato a Fiume Urbano Corva, nascono nello stesso anno, il 1927, due grafici destinati a lunga carriera ma a scarsa e inadeguata notorietà: Silvio Gregori a Parenzo, Angelo Battistella a Rovigno. Due anni prima, nel ’25, era nato Nino Gregori, che col fratello avrebbe formato, fino a non molti anni fa, una coppia inseparabile nella vita e nell’operosità artistica.

Ed è proprio sui “quasi gemelli” Gregori che conviene puntare un tardivo riflettore, per la singolarità del loro rapporto di piena condivisione umana e per l’originalità della loro produzione, in campo grafico ma pure pittorico. Come per Battistella, che dal 1950 vi terrà per più di mezzo secolo un avviato studio grafico, così pure per i due Gregori è Trieste il naturale punto di attrazione e riferimento. Vi si stabiliscono prima della fine della seconda guerra mondiale, e le loro prime prove “pubbliche” consistono in una collaborazione alla Cittadella, il ben noto supplemento del Piccolo, per nulla tenero nei primi anni postbellici con gli slavo-comunisti considerati gli scippatori di un’Istria largamente italofona.

Ma, per i Gregori, quella di Trieste è solo una sosta. La prossima meta è Roma, dove dal 1953 i fratelli si dedicano all’attività grafico-pubblicitaria, con manifesti di una certa naiveté, avvicinandosi pure al mondo dell’editoria: curano l’impaginazione di giornali e riviste, e iniziano a collaborare con la Società San Paolo e le Edizioni Paoline, nelle quali trovano sicura consonanza con la loro formazione e sensibilità. Si direbbe infatti che a loro ben si attagli il motto “Dio, Patria, Famiglia”, se è vero che negli anni a venire firmeranno (col solo cognome) manifesti per l’Accademia militare di Modena, l’Accademia navale, la Giornata delle forze armate, l’Opera nazionale maternità e infanzia (oggi reperibili nell’ormai celebre Collezione Salce di Treviso) e quindi – trasferitisi nel 1967 a Milano – diverranno, sempre in simbiosi, direttori artistici del settimanale Famiglia cristiana.

Ben prima di optare per questa nuova scelta di lavoro e di vita, però, i due Gregori produrranno almeno un paio di interessanti manifesti long seller, stilisticamente ben diversi da quelli “militari”, di impianto saldamente realistico. è nel 1950, infatti, che a Trieste iniziano ad apparire sui muri i loro cartelloni dedicati alla Fiera campionaria, nata due anni prima: cartelloni-idea centrati su un unico soggetto dominante, il gancio di una gru che aggancia delle grosse funi ovvero una bitta con gomene ad essa ancorate. Manifesti “forti”, di immediato impatto visivo, che avranno tanta fortuna da venir reiterati tali e quali negli anni, almeno fino ai primi Sessanta, e che probabilmente rimangono a tutt’oggi nella memoria di tanti triestini non più giovani. Ad essi si unirà, dal 1953, l’aggraziato manifesto per la Mostra del fiore, altro tradizionale appuntamento annuale triestino: con un’analoga reiterazione negli anni ’50 e ‘60. Nello stesso ’53 si situa un altro importante lavoro, sintetico e spiritoso, per un’altra Fiera campionaria, quella di Messina.

L’approdo a Famiglia cristiana segna però un netto ritorno alle propensioni pittoriche maturate da Nino e Silvio fin dai loro studi artistici, a Trieste. Per molti anni i due fratelli produrranno una quantità sbalorditiva di tavole per illustrazioni di romanzi, racconti, servizi storici e copertine della diffusa rivista cattolica. Si cimenteranno, in particolare, con la visualizzazione di capolavori letterari quali I promessi sposi, Piccolo mondo antico, I Malavoglia, Il Gattopardo. Titanica, poi, l’impresa di illustrare nientemeno che la Divina Commedia con un ammirevole aplomb accademico e “tradizionalista”, totalmente distante dalla produzione grafica frequentata in precedenza. Un kolossal, senza meno. Tant’è vero che, nel 2019, Famiglia cristiana deciderà, alla vigilia del 700.o anniversario dantesco, di ripubblicare l’opera in una “nuova, preziosa edizione illustrata, da conservare”, articolata in dieci volumi.

Nino Gregori si spegnerà a 87 anni, nel 2012, Silvio a 90, nel 2017. La loro bifronte attività artistica meriterebbe una filologica riscoperta, uno studio critico, una mostra monografica. Ma, si sa, non son tempi di mostre, questi. Peccato.