Hamlet. Globe to globe.

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di Adriana Medeot

 

Sabato 16 aprile il Globe Theatre di Londra è in scena a Trieste con l’Hamlet di Shakespeare: l’unica performance italiana di uno spettacolo che dal 2014 a oggi è stato rappresentato in più di duecento paesi per commemorare il 400° anniversario della morte di Shakespeare, e per riflettere sulla straordinaria attualità del testo.

Qualcuno ricorda l’Amleto romantico di Lawrence Oliver (1948)? Probabilmente solo i cinefili o gli anziani. Quello tormentato e nevrotico di Richard Burton (1964)? Forse l’interpretazione di Branagh ambientata in splendidi interni ottocenteschi (1996)? Una delle ultime versioni cinematografiche? Benedict Cumberbatch, vi dice qualcosa? Bene, dimenticate tutto ciò: l’Hamlet del Globe Theatre non si nutre di stereotipi né di mattatori e porta in scena, con grande professionalità, un teatro semplice, di strada. Che di strada ne ha fatta tanta questo spettacolo: dalla Biblioteca di Alessandria d’Egitto alla cattedrale di Mérida nello Yucatan, dal campo profughi di Zaatari in Giordania alle sponde del San Lorenzo in Canada, la vicenda sofferta del principe di Elsinore è stata messa in scena in più di duecento stati.

La regia di Dominic Dromgoole e Bill Buckhurst è sobria, lascia spazio all’ottima interpretazione degli attori che si avvicendando sia nei ruoli di protagonisti che di comparse con la medesima bravura: Gertrude, la madre di Amleto, togliendosi una semplice vestaglia, si trasforma da regina a becchino e così fa Ofelia, che dopo la scena del suicidio “resuscita” per vestire i panni di un ruolo secondario. Non ci sono divismi tra gli attori, tutti sono intercambiabili e ugualmente ammirevoli. Estremamente ammirevoli. Tanto da indurre a una riflessione sul teatro italiano, che sembra uscire oscurato da cotanta democratica professionalità.

La scenografia di Jonathan Fensom è spartana: quattro cantinelle, una tenda rossa a delimitare lo spazio dell’azione metateatrale (la performance dei commedianti ingaggiati dal giovane principe per smascherare l’usurpatore), i contenitori dell’attrezzeria utilizzati per suggerire di volta in volta l’ambientazione (merli del castello, lapidi del cimitero). E’ l’essenziale per rappresentare simbolicamente i luoghi scenici quando la tournée richiede flessibilità, e questo è il caso, giacché lo spettacolo ha girovagato per mezzo mondo.

Questa è la cifra stilistica dello spettacolo a cui si è assistito: la duttilità, ovvero la morbidezza, la possibilità di plasmare e la leggerezza insieme. La duttilità degli interpreti, che hanno saputo giostrarsi nelle svariate situazioni in cui si sono ritrovati a recitare; la duttilità del testo che, passato al vaglio di innumerevoli chiavi di lettura, stupisce comunque per la sua straordinaria attualità; la duttilità delle scenografie che con davvero poco – o niente – hanno saputo suggerire ciò che serviva all’azione scenica.

Il Globe Theatre ha scelto un cast multietnico per il suo progetto. Amleto è interpretato sia da Ladi Emeruwa, nigeriano, che da Naeem Hayat, di origini pakistane e così via: neozelandesi, asiatici e quant’altro contribuiscono a fare dello spettacolo una bandiera del politicamente corretto. Operazione a tavolino? Forse. Tutti però recitano in un perfetto inglese e sono davvero bravi.