I GIOCHI PERICOLOSI DELLA TECNOLOGIA

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Perfetti sconosciuti, Genovese & La corrispondenza, di Tornatore

di Gianfranco Sodomaco

Paolo Genovese non è un esordiente, ha girato dei corti e anche alcuni lungometraggi in coppia con Luca Miniero (tra cui “Questa notte è ancora nostra”, 2008), poi si è messo in proprio, girando altri sette film, circa uno all’anno dal 2010 (tra cui “Tutta colpa di Freud”, 2014). L’ultimo questo “Perfetti sconosciuti”, sicuramente è il più riuscito. Il suo genere è sempre stato la commedia ma sempre con il tentativo di approfondire i legami affettivi, familiari, sessuali ecc. “Perfetti sconosciuti” (2015) ci azzecca e rivela, finalmente, una sicura maturità registica e di scelta dei contenuti. E, sicuramente, questa volta si è fatto aiutare, non a caso, da ben quattro altri sceneggiatori: Filippo Bologna, Paolo Costella, Paola Mammini e Rolando Ravello. Perché tanti autori? Perché ha capito da subito che aveva tra le mani un tema, un soggetto, importante, prezioso, che andava al di là delle tipiche storie da commedia: un problema sociale, sociologico, ormai da tempo al centro della discussione culturale, scientifica: quello della comunicazione tecnologica e dei tanti problemi che solleva. Dunque l’occasione non andava sprecata, poteva esserci spazio anche per ridere, perché no?, ma se poi la risata diventava amara, molto amara, anche al di là dei singoli personaggi (tanti), voleva dire che il problema era grande. E infatti, qui il decisivo ruolo della sceneggiatura di gruppo, la storia risulta più che verosimile e ci restituisce una fetta di società italiana piuttosto coerente con i tempi. Andiamo a vedere questa storia.

Tre coppie più un single (Giuseppe Battiston), Anna Foglietta e Valerio Mastandrea, Marco Giallini e Kasia Smutniak, Edoardo Leo e Alba Rohrwacher, si riuniscono per una cena tra vecchi amici nella casa di uno di loro. Tutto fila liscio, certo tutti hanno i loro ‘piccoli’ problemi, individuali e di coppia, ma non è questo il problema: il problema nasce, e scoppia, quando qualcuno propone di fare un gioco malizioso, da subito pericoloso: mettere in comune i propri telefonini e condividere tutti i messaggi, le chiamate. Accadrà, come non era difficile aspettarsi, anche con qualche equivoco, una specie d’inferno. Inutile entrare nei dettagli, accade di tutto: incomprensioni, ipocrisie, ‘corna e controcorna’, bugie ecc. ma, in definitiva, non è questo il punto, questo può accadere, e accade, tra singoli, coppie, gruppi, la novità (apparente) è che il ‘diavolo’ è quell’affarino, o quegli affarini, che ormai ci portiamo dietro tutto il giorno, da cui non riusciamo a staccarci e che ci danno l’illusione di stare in contatto in ogni momento con tutti, con tutto il mondo. Ed è molto difficile uscirne. Perché? Perché, senza troppe complicazioni psicanalitiche, oggi, per tanti motivi, siamo più soli, divisi, rispetto a qualche decennio fa e allora ecco ‘la grande illusione’ dell’eterna connessione, in particolare ai limiti della drammaticità per i più giovani che, proprio perché in questa situazione ci sono nati, non hanno altri modelli di riferimento comportamentale.

“La corrispondenza”, di Giuseppe Tornatore.

Giuseppe Tornatore, pure tra alti e bassi, è un grande del cinema italiano.                                   è sempre stato un regista che si è cimentato con storie originali, intriganti, appassionanti: basti pensare, tra i dodici lungometraggi, a film come “Nuovo cinema paradiso” (’88), Oscar quale migliore film straniero, “La leggenda del pianista sull’oceano (’98), “La sconosciuta” (2006, girato a Trieste), “La migliore offerta” (2013). Oggi si presenta con “La corrispondenza(2015) che, pur nella diversità di genere e stile, presenta qualche affinità con il film di Genovese. Cosa accade in “La corrispondenza”? Che il regista, prendendo lo spunto dal suo romanzo omonimo si cimenta in una operazione molto ambiziosa ma pericolosa. La storia d’amore tra un professore di astrofisica, Ed Phoerum (Jeremy Irons) e la sua studentessa Amy (Olga Kurylenko) che fa anche la stunt woman, è una storia quanto più appassionata tanto più virtuale. I due sono innamoratissimi ma c’è un problema: lui, per la sua professione, è quasi sempre via, assente, e quindi diventa giocoforza che il loro rapporto viva sempre più tecnologicamente, di sms, videochiamate, filmati su dvd. E lui, per la sua professione, vive di queste cose, si nutre di una dimensione ‘iperspaziale’, ai limiti della fantascienza. Non lei, che per la sua professione, vive soprattutto della propria corporeità. I primi tempi il loro amore può essere vissuto come un gioco, un’avventura nell’avventura ma poi il gioco si complica per un evento drammatico: previsto o non previsto? Previsto! Ed sa che di lì a poco morirà, cancro al cervello, e infatti poco dopo schiatta… ma con una sorpresa! Dopo la dipartita cominceranno ad arrivare altri messaggi, come se Ed fosse ancora vivo. E’ un bluff, o è fantasy? Ma no, Ed, testacchione, ha programmato tutto, la sua morte e la sua ‘nuova vita’ con Amy, fino a prevedere tutte le reazioni che la sua amata avrà, fino a dare l’impressione, darle l’illusione che il loro rapporto continua, fino a convincere Amy che è tutto come prima: quando erano semplicemente lontani fisicamente ma vicinissimi nei sentimenti, nelle emozioni. Lei non saprà della sua morte per un lungo periodo e solo i giornali e l’intervento di un notaio, previsto anche quello da Ed, le darà la luttuosa notizia. Perché Ed ha condotto questo gioco? Per amore o per una specie di complesso di immortalità? O per tutte e due le cose? Giustamente il film non dà risposta ma è il modo con cui è stato girato che non convince: il gioco, banalmente ma realisticamente, è bello finché dura poco, poi comincia ad annoiare, le immagini, di cui vive il cinema, cominciano ad afflosciarsi, e il cinema non può vivere di immagini di immagini, finisce con l’essere la sua negazione. Tornatore s’è compiaciuto della novità della storia ma, come per Genovese, puoi anche giocare con i telefonini… ma poi il gioco diventa pericoloso!