I jeans di Bruce Springsteen

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Gli States raccontati da Silvia Pareschi

di Luisella Pacco

 

Dovreste conoscere questo nome. Sì, dovreste.

Al di là di questo libro, che è la sua prima prova da autrice, sarebbe vostro dovere di lettori conoscere benissimo Silvia Pareschi perché è una delle nostre più importanti traduttrici. Col suo lavoro ha regalato a noi lettori italiani Jonathan Franzen, Cormac McCarthy, Don DeLillo, David Means, Phil Klay, Zadie Smith, Julie Otsuka ed altri.

Io l’ho incontrata appunto in occasione della lettura di Venivamo tutte per mare di Julie Otsuka, nel 2012.

Quando dico che l’ho incontrata, non intendo che l’ho conosciuta di persona ma che con quel libro mi sono accorta di lei, del suo lavoro, del suo nome. Meglio tardi che mai. Chissà quante altre volte avevo letto un bel libro grazie al suo instancabile impegno, ma solo allora l’ho riconosciuta come traduttrice e ho scoperto il suo blog ninehoursofseparation, nel quale, sulla colonna di destra, campeggia un quadratino azzurro con al centro una scritta rossa, maiuscola e perentoria: “I LIBRI NON SI TRADUCONO DA SOLI. CITATE IL TRADUTTORE NELLE RECENSIONI”. Una regola così banale eppure così spesso disattesa, anche da fior fiore di testate.

Da allora, nelle mie modeste recensioni non ho mai dimenticato il traduttore, traghettatore nobile e prezioso; e ho imparato ad esigere subito il nome del traduttore in ogni libro che prendo dallo scaffale in libreria, curiosando in copertina o nel frontespizio, dov’è giusto che stia, o nel colophon dove alcuni editori si ostinano a relegarlo.

Poi è venuta l’amicizia su Facebook, che vera amicizia non è, certo, tuttavia mi consente di seguire quel che Silvia dice e fa. Tra le altre cose, lo scorso maggio mi balza agli occhi la pubblicazione del suo primo libro da autrice, I jeans di Bruce Springsteen e altri sogni americani.

Lo compro subito, così, per simpatia, sulla fiducia, anche se il titolo non mi piace e mi lascia del tutto indifferente (non sono mai stata in America, e di Bruce so soltanto che è born in the USA). Il libro inizia a girarmi per casa, in compagnia degli altri libri-ancora-da-leggere (che nel loro insieme costituiscono una creatura vivente che si allarga e si allunga su comodini, tavoli, mensole, angolini che non sapevo esistessero…), volumi che sfoglio ma poi riappoggio perché sto leggendo qualcos’altro, o perché – consentitemi questo capriccio romantico – “ancora non mi chiamano”.

Passa il tempo e arriva novembre, quel giorno di novembre: negli Stati Uniti si vota.

Vado a dormire con la certezza che vincerà Hillary Clinton (lo dicono i sondaggisti, accipicchia, posso fare sonni tranquilli) e mi sveglio all’alba per averne conferma. Invece no. Ancora accucciata sotto le coperte, scopro dalla radio che tutto sta andando storto. La mattinata, mia e del mondo, si preannuncia scioccante.

Da quel dì disgraziato, Silvia Pareschi pubblica quasi giornalmente commenti rabbiosi e/o amareggiati con cui mi trovo del tutto d’accordo. Per l’elezione di Trump c’è da essere angosciati, e chi non lo è non ha capito niente.

Quest’ultima sintonia che avverto con Silvia è quel che mi serviva per prendere definitivamente in mano il suo libro e leggerlo per bene. Ora come non mai, infatti, mi rendo conto di non saperne assolutamente nulla degli USA, di questo paese immenso bizzarro contraddittorio meraviglioso ed oscuro, culla di opportunità e di sogni, ma anche di razzismo fobie ed autentici incubi.

Il lavoro della traduzione le ha insegnato ad essere una paziente osservatrice attenta al dettaglio, e allo stesso tempo a restare sufficientemente distaccata da ciò che vede. Il traduttore è un ponte tra due lingue e due culture, e – come ha dichiarato in una intervista – “posso continuare a svolgerlo solo mantenendo una fondamentale alterità rispetto alla cultura di partenza, in questo caso quella americana.”

È quindi con lo sguardo giusto, non troppo coinvolto ma estremamente curioso, che Silvia Pareschi ci conduce per mano lungo gli States.

Un po’ reportage e un po’ narrativa, I jeans di Bruce Springsteen e altri sogni americani ci fa intravvedere un’America che mai avremo l’opportunità di conoscere, né restandone lontani né (non illudiamoci) andandoci da turisti per due settimane o tre.

Bisogna starci a lungo, in questo paese stravagante, bello e brutto, bisogna viverci, muovercisi, spostando dagli occhi ogni velo di hollywoodiane mitologie. Non sempre è facile, se come ha detto Wim Wenders riferendosi all’Europa (ma forse per gli italiani vale di più), “l’America ci ha colonizzato l’inconscio”.

Silvia Pareschi, che vive negli Stati Uniti sei mesi l’anno, ha gli strumenti per farlo.

Ed ecco, scopriamo che in una residenza per artisti si può uscire a fare una passeggiata e incontrare… un puma (Se incontri un puma, mi raccomando, non metterti a correre) e che i cowboy sono un po’ poeti perché a loro è sempre piaciuto stare attorno ad un fuoco a raccontare storie. E nel bel mezzo di San Francisco, entriamo nel Palazzo del Porno, la sede di una casa di produzione specializzata in film a luci rosse, con stanze attezzate per ogni erotica stramberia. E impariamo molte cose su strampalate religioni ed assurde congregazioni; e sui dentisti, nonché endodentisti e periodentisti, e sulla ansiogena sanità americana in generale.

E dell’alimentazione, vogliamo parlarne?

Con una scrittura onesta e schietta (sembra di stare al telefono con un’amica intelligente e acuta che ti racconta le vicissitudini del giorno), Silvia Pareschi ci porta alla scoperta di luoghi e persone (soprattutto persone) che, semplicemente e con vividezza, ricorderemo per sempre.

Beh, e Bruce?

Di famiglia non ricca, Springsteen da ragazzo andava nel modesto negozio di un sarto a farsi aggiustare i pantaloni. Ma quando la sua vita prese una svolta fortunata, un paio se lo dimenticò lì e non tornò mai più a riprenderlo.

Silvia, adolescente, capita eccitatissima in questo negozio e riesce a portarsi via i jeans. Non potrà mai indossarli, incredibilmente stretti come sono (Bruce era davvero così magro?), ma per trent’anni li terrà gelosamente appesi nella sua cameretta e poi altrettanto gelosamente ripiegati dentro una scatola (… continuai a conservarli così, sudici e impregnati del DNA dell’Idolo). Quando comincia a scrivere il libro, si ricorda di questo episodio e cerca di rintracciare quel vecchio negozio. Ma al telefono, il signor Ralph, distratto, smemorato, non le risponde in maniera soddisfacente. Sarà il caso di tornare a trovarlo…

Dicevo però, che questo è anche un libro di narrativa. Sono racconti brevi o brevissimi, che spezzano il tono del reportage restituendoci squarci dal sapore dolceamarissimo, ritratti sinceri di personaggi e situazioni che vibravano nella penna e a cui Silvia ha dovuto dare vita.

Come Lavanderia a gettoni, Ganja Yoga, Katrina e Misofonia (il mio preferito, per una mia particolare sensibilità al rumore e al vociare molesto!).

“Alla fine, per me, scrivere non è stato altro che tradurre me stessa” ha dichiarato spesso Silvia Pareschi. Ebbene, speriamo si traduca ancora, per portarci di nuovo a zonzo su altre strade d’America.

 

 

Copertina_

 

Silvia Pareschi

I jeans di Bruce Springsteen

e altri sogni americani

Giunti Editore, Firenze 2016

192 pagine, euro 15,00