I percorsi di Laura Grusovin

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Una personale dell’artista goriziana al Kulturni dom

di Francesco Carbone

 

Kulturni dom di Gorizia, mercoledì 18 gennaio: inaugurazione della mostra di Laura Grusovin Ricordi di un percorso. In fondo alla sala del pianoterra, c’è un piccolo quadro con due ippocastani in fiore; in primo piano, al centro, c’è una panchina di cui è tagliata la base; davanti alla panchina una fontana. Gli alberi sono scuri per la notte che sta arrivando; solo i fiori staccano luminosi: rosa a sinistra, bianchi a destra. S’intitola Notte di maggio.

Viene in mente per contrasto il celebre Magritte L’empire des lumières (1954) tra i più ammirati alla Guggenheim di Venezia: Facile immaginare che in qualche modo Notte di maggio sia nato da un “dialogo”, e come un controcanto, all’opera del pittore belga. Il soggetto è simile, anche lì un paesaggio silenzioso composto da una casa e da alberi. Ma Magritte non “dipinge”: i colori sono piatti, gli oggetti sono definiti da un quasi infantile contorno nero, e il cielo è scolastico. Si sa che la grandezza di Magritte non è nella “pittura”, ma concettuale: l’impero della luce mostra il contrasto paradossale tra il nero delle sagome degli alberi e della casa e il celeste del cielo: un cielo con le nuvole di panna dipinte come su un piatto fondale da teatro. Pare che in Magritte non ci sia il tempo, e forse nemmeno lo spazio: c’è solo un gioco forse ironico tra la luce e il buio. Il quadro di Magritte, come Notte di maggio di Laura Grusovin, può essere visto anche come un esercizio sulla disposizione simmetrica degli elementi, con un centro evidente, come in una prospettiva quattrocentesca.

Somiglianze che acuiscono le differenze: Laura Grusovin non illustra un’idea ma dipinge uno spazio: con una tavolozza tutta tonale – verdi scuri come foglie d’ulivo, modulando diversi gradi di saturazione del colore, fino a degradare quasi al grigio, su cui staccano i fiori rosa e bianchi degli ippocastani. Sullo sfondo, il cielo è merlettato in modo accurato, allo stesso tempo agile e libero, da rami e foglie appena più scolorite per la lontananza. Dipinta con pennelli anche minimi, “una foglia e un petalo alla volta”, questa Notte non scivola mai – ogni opera ha i suoi pericoli – nel dettaglio illustrativo: guardata da molto vicino, le pennellate restano pittoriche, visibili, e il colore palpita. Il contrasto con René Magritte serve qui a capire qualcosa della pittura di Laura Grusovin. Non implica un giudizio di qualità, ma il modo in cui si manifestano due poetiche.

In questa Notte di maggio il tempo scorre, le cose sommessamente respirano, l’atmosfera fa veli umidi che avvolgono trasparenti questo squarcio di un giardino. Viene da dire che Laura Grusovin è una pittrice italiana, e Magritte ovviamente un artista belga. Italiano nel senso ancestrale di avere dentro – meglio se ormai inconscio? – un modo di sentire la pittura e il disegno, un’idea di tridimensionalità in cui si fa sentire l’aria e gli oggetti che ne sono avvolti con una morbidezza, sia nel tratto che nella pennellata, che lascia pulsare le cose a seconda della luce e delle ombre.

Tutto il resto della mostra potrebbe essere ripensato a partire dal piccolo quadro di cui si è tentata una descrizione inevitabilmente goffa. Nel senso che in tutte le opere di Grusovin c’è sempre questa scommessa sulla pittura: anche in quelle più esplicitamente “surrealiste”, in cui appaiono fantastiche cornici sospese a chiudere pezzi di cielo, di mare o di città, oggetti francamente simbolici, quieti dolci elefanti piegati in sé stessi, quasi sferici, con proboscidi che disegnano una sorta di curva di Fibonacci come nei nautili. In ogni caso, pare che sempre Grusovin scommetta sulla pulsione del colore, non meno che sulla cura del dettaglio, e dunque del disegno.

Se le definizioni possono servire a qualcosa che non sia far passare l’inquietudine a chi guarda, in questo costante tentativo di equilibrio tra tratto e pittura, Grusovin appare un’artista, ancora più che surrealista, “classica”.

Ci pare che qualcosa accada nei suoi quadri soprattutto quando non dà l’aria di cercarlo: oltre che nella Notte di maggio, per esempio nella Casa rossa, che è un quadrato con rami verdi di un rampicante fiorito di bianco su fondo rosso (solo una seicentesca vespa che sta per prendere il polline da un fiore è aggiunta), e che pare soprattutto – come la Notte di maggio – un esercizio di attenzione artistica su un tema cromatico: come “temperare”, in senso musicale, il verde delle foglie e del giallo pallido dei fiori col rosso dello sfondo (un carminio desaturato per non “mangiarsi” con la sua violenza le foglie e i fiori?): la soluzione di un problema formale, e molto simile – come spirito di ricerca – allo studio sui toni freddi di Van Gogh nel Mandorlo in fiore, figlio a sua volta della meravigliosa pittura floreale cinese.

A questi momenti più “intimistici”, o forse proprio segreti, si alternano, in un gioco di sistole e diastole che pare indispensabile all’artista, quadri più euforici, di solito di dimensioni più grandi, in cui la tavolozza si fa ricchissima, iridescente, e i soggetti “surreali”. E siccome quella che pare sempre in gioco è soprattutto la pittura, si potrebbe spiegare così la disinvolta libertà della Grusovin nel passare dal fantastico al “realismo” senza lasciarci alcun senso di contraddizione.

Se “un” surrealismo –uno dei tanti possibili – può essere ritrovato nel percorso di Laura Grusovin non è quello concettuale e da tavolo settorio di Magritte, né quello virtuosistico fino alla volgarità di Salvador Dalì, ma quello appunto pittorico di Leonora Carrington (giustamente molto riconsiderata dopo l’ultima Biennale di Venezia), che abbiamo smesso di ricordare, si spera, solo come l’ex compagna di Max Ernst.

E torna sempre in mente il titolo scelto dalla Grusovin per la mostra: Ricordi di un percorso. Dunque è il percorso che conta, e i quadri sono ricordi di qualcosa che – in quanto tale – può solo restare sottinteso e non dato? Qualcosa di appena intuibile, seguendone le stazioni che ce ne offre come tracce possibili? Il titolo Ricordi di un percorso destabilizza l’idea del quadro come opera definitiva, assertiva, non contestabile. In questo percorso dunque sarebbero potute nascere altre opere, e queste che vediamo non ne sono che saggi, esempi, possibilità? Paul Valéry ha scritto meravigliosamente di questo carattere per sua natura instabile, provvisorio, incompibile, di ogni percorso artistico.

La mostra Ricordi di un percorso al Kulturni dom di Gorizia (Via Brass, 20) resterà aperta fino al 12 febbraio. dal lunedì al venerdì dalle 10.00 alle 12.30 e dalle 15.30 alle 18.00.

 

La casa rossa

tecnica mista su imprimitura, 2021