I valori di Andrea Camilleri, coscienza del Mediterraneo

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di Giovanni Capecchi

 

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Giovanni Capecchi insegna Letteratura italiana all’Università per Stranieri di Perugia. È l’autore del primo libro dedicato ad Andrea Camilleri, uscito in Italia nel 2000. Di Camilleri ha curato l’edizione dei Racconti quotidiani e Le inchieste del Commissario Collura (disponibili negli Oscar Mondadori) e sullo scrittore siciliano ha scritto altri interventi e studi usciti in atti di convegno e su rivista. Ha promosso, nell’Ateneo presso il quale insegna, l’idea di attribuire la Laurea Honoris Causa a Camilleri e l’Università per Stranieri ha approvato all’unanimità il conferimento di questo titolo, promuovendo anche, per il prossimo 26 settembre (giornata in cui il conferimento sarebbe avvenuto), una giornata di studio sull’autore nato a Porto Empedocle. A Giovanni Capecchi Altritaliani ha chiesto un articolo per ricordare il Maestro appena scomparso all’età di 93 anni.

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In questo breve testo vorrei lasciare da parte i ricordi personali che riguardano Andrea Camilleri, dal nostro primo incontro (nel 1999) ad oggi: ci saranno altre occasioni, forse, per parlarne, ma questo rapporto (che considero, per me, una fortuna) non aggiunge niente alla rilevanza di uno scrittore e della sua esperienza narrativa. Quello che vorrei provare a fare, in maniera sintetica, è lanciare uno sguardo indietro e soffermarmi su alcuni aspetti che fanno di Camilleri un autore che resterà: non solo nella memoria dei suoi cari e di coloro che lo hanno letto, ma nella storia della letteratura italiana.

 

Camilleri ha dedicato la vita ai libri e alla scrittura. Ha esordito da giovane, pubblicando (tra il 1945 e il 1950) una serie di testi poetici usciti in antologie e su importanti riviste letterarie (da Mercurio a Pesci rossi) e alcuni racconti apparsi sull’Italia socialista e sul L’Ora di Palermo. La lunga attività di docente all’Accademia di Arte Drammatica di Roma, la convivenza con il teatro e l’attività di regista, il lavoro alla Rai e la trasposizione (sullo schermo o alla radio) di testi letterari hanno rappresentato attività capaci di costruire, negli anni, una straordinaria miniera di immagini alla quale il cantastorie (per utilizzare una definizione che adoperava lui stesso parlando della sua attività narrativa) ha poi attinto, dal 1968 (l’anno in cui scrive il suo primo romanzo, Il corso delle cose, che troverà un editore solo nel 1978) fino gli ultimi giorni.

Quando il grande pubblico si è accorto di lui (il “caso Camilleri” è decollato nel 1998), questo intellettuale con il dono di saper intrecciare storie aveva già un lungo passato. E, in particolare, aveva pubblicato alcuni libri che sarebbero sufficienti – da soli – per spingerci a parlare di lui: Un filo di fumo (1980), La strage dimenticata (1984), La stagione della caccia(1992), La bolla di componenda (1993) e poi, in un biennio di fondamentale importanza (1994-1995), La forma dell’acqua (primo episodio che ha come protagonista il commissario Salvo Montalbano) e Il birraio di Preston, storia ambientata nella Sicilia all’indomani dell’unificazione nazionale. Le basi, poderose, del lavoro successivo erano gettate proprio in questa stagione, nella quale troviamo il “giallo” (che lo renderà famoso nel mondo), il saggio narrativo (con l’idea di una scrittura che ha il dovere di raccontare storie dimenticate e di valore civile), il romanzo storico. C’è inoltre, già in questa fase, quello che resta uno dei punti di forza di Camilleri: l’invenzione di una lingua, che è solo sua e che riesce a rendere inconfondibili le sue pagine in mezzo a milioni di libri.

La forma dell’acqua fa nascere un personaggio divenuto veramente “nazional popolare”. Ha contribuito, nel raggiungimento di questo obiettivo, anche la trasposizione televisiva. Ma il successo dei “gialli” di Montalbano arriva prima della serie di film prodotti dalla Rai e non basta a spiegare come possa, un personaggio con le sue storie, mantenere un rapporto fortissimo con decine di migliaia di lettori per più di vent’anni. Si potrebbe scrivere un volume, su questo aspetto; ci basti provare a fare un elenco, sicuramente lacunoso, di punti di forza: l’ambientazione delle storie nell’Italia contemporanea e l’evoluzione non solo del contesto ma anche di protagonisti, che cambiano episodio dopo episodio; la creazione, intorno a Montalbano, di un gruppo di personaggi capaci di avere una fisionomia autonoma e ben riconoscibile; lo sfondo siciliano, tra campagna e mare, in mezzo ad una terra con i suoi odori e i suoi sapori (e qui si aprirebbe il capitolo – e anche il dibattito – sulla Sicilia in Camilleri, oltre a quello riguardante l’importanza che la storie di questo autore hanno avuto per la promozione turistica dell’isola); la lingua, con la componente siciliana (vera, appartenente al presente e al passato, ma anche inventata) che contamina quella italiana, divenendo comunque ben presto comprensibile per un lettore disponibile a superare l’impatto iniziale del disorientamento che impone uno sforzo interpretativo; la creazione di una figura come quella di Montalbano, che svolge con serietà il proprio lavoro, che crede nella giustizia, che si schiera sempre dalla parte dei più deboli (siano gli operai licenziati o i migranti che arrivano sulle coste meridionali), che si fa portatore di valori positivi.

Accanto alle storie di Montalbano, c’è la lunga serie di romanzi che generalmente vengono definiti “storici e civili”. Appartengono a questo gruppo libri che continueranno ad essere letti e studiati: quelli “risorgimentali” e “post-risorgimentali” (con un trittico d’eccezione: Il birraio di Preston, La concessione del telefono e La mossa del cavallo), quelli che si svolgono nel Seicento (come La luna di carta e Il re di Girgenti, il romanzo più sudato e impegnativo e anche una delle pietre miliari sulla strada della narrativa camilleriana), quelli ambientati nell’Italia fascista. Tutti accompagnati da una costante: la volontà di riflettere, attraverso la scrittura e utilizzando – spesso – la strategia della “leggerezza”, sulla società e sulla vita, con un valore civile costante, nell’indagine dei “nodi” – storici – dai quali discendono problemi ancora vivi e irrisolti, nel restaurare frammenti di verità, nel recuperare (e presentare al grande pubblico) storie esemplari di giustizia, momenti di luce capaci di mantenere intatto il loro valore anche a distanza di secoli (si pensi all’utopia di Zosimo, il Re di Girgenti, e alla concretezza rivoluzionaria di Eleonora di Mora nel romanzo La luna di carta).

In questi vent’anni (e anche più, possiamo dire, e sottolineare: in questo quarto di secolo) è nato, intorno a Camilleri, un autentico laboratorio internazionale di traduzione: i suoi libri sono approdati nei paesi più diversi e hanno dovuto trovare, di volta in volta, interpreti capaci di escogitare una varietà di strategie per “rendere” la lingua composita di questo autore. Anche questo ci sembra un fatto di straordinario rilievo e, diciamolo pure, unico. Camilleri è stato (e continuerà ad esserlo) il più longevo ambasciatore dell’Italia e della cultura italiana nel mondo.

Restano fuori da queste poche righe molti altri aspetti. Almeno due ulteriori riflessioni, nella conclusione, vorremmo però farle. Il “caso” Camilleri è legato anche alla semplicità che l’uomo Camilleri ha saputo mantenere in mezzo allo straordinario successo ottenuto: chi si è affezionato alla sua scrittura ha sempre avuto presente l’autore di quelle pagine, ironico e autoironico, disponibile all’incontro con gli altri e interessato alle storie altrui, esemplare nella capacità di proseguire il proprio lavoro fino agli ultimi giorni, anche in una situazione di cecità che gli ha permesso – come ha ripetuto – di capire meglio la realtà e non gli ha impedito di mantenere la lucidità e la presenza scenica, sul palcoscenico della vita così come su quello del teatro greco di Siracusa, dove davanti a migliaia di spettatori ha messo in scena la sua Tiresia: un monologo di due ore recitato senza sbavature e con intensità all’età di novantadue anni.

Infine, Camilleri non ha smesso di prendere posizione sui fatti politici italiani senza guardare alle convenienze del momento: lo ha fatto in tante sue pagine, ma anche in interviste sui giornali, alla radio e in televisione. Ha cercato, in un presente senza molte luci, di mantenere accesa la lampada del pensiero. Carlo Bo, in un articolo che forse meglio di altri chiariva, alle sue origini, la fortuna dello scrittore, sosteneva che i libri di Camilleri sono andati ad occupare uno spazio rimasto vuoto: quello della narrativa di “intrattenimento alto”. La voce di Camilleri, aggiungiamo noi, è andata a colmare, con una intensità crescente e un impatto civile la cui forza è misurabile dalle reazioni stizzite e violente dei suoi interlocutori, uno spazio sempre più angusto che è quello dello spirito critico: uno spirito critico testimoniato fino ai suoi ultimi giorni, con la volontà di restare l’umano portavoce di una cultura che supera i confini nazionali per assumere – almeno – una dimensione mediterranea, fatta di apertura e di contaminazioni.