Il cammino di Bloom

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Sentieri simbolici nella Dublino di Joyce è il sottotitolo del saggio di Andrea Pagani sul capolavoro dell’autore irlandese

di Graziella Atzori

 

Il viaggio è l’archetipo della conoscenza, sia esso un viaggio breve o una lunga e sofferta peregrinazione come quella di Ulisse. Nell’andare scatta sempre l’identificazione esteriore/interiore per la quale le avventure del girovago viandante vagabondo o migrante volontario o involontario diventano simbolo dei mutamenti psichici, tappe fondamentali e necessarie di una crescita che implica l’incontro con l’altro. Tale assunto è quello di Andrea Pagani, insegnante di Letteratura e Storia nei licei a Bologna, autore di numerosi saggi e romanzi e del volume smilzo ma molto denso Il cammino di Bloom – Sentieri simbolici nella Dublino di Joyce (Pàtron Editore, p. 112, Bologna 2019).

Il libro, con postfazione di Renzo S. Crivelli che è stato anche uno dei consulenti in corso d’opera, è una disamina intelligente e acuta dei percorsi a Dublino di quattro personaggi nel giorno ormai mitico, il 16 giugno 1904, divenuto Bloomsday “il giorno di Bloom” , il protagonista di Ulysses, l’Ulisse universale che tutti siamo.

Chi sono dunque i magnifici quattro in giro per quelle strade, camminamenti dell’anima: Leopoldo Bloom-Ulisse in primis, il giovane Stephen Dedalus-Telemaco, poi un terzo personaggio fantasmatico che indossa un macintosh scuro, uno sconosciuto in imperneabile a cui ad un certo punto della narrazione viene attribuito per un equivoco un nome, M’Intosh o Mackintosh a seconda dei momenti (Joyce è maestro nel polimorfismo della parola, a cui fa assumere significati polivalenti cambiandone o inventandone la grafia). È al misterioso uomo “in scuro” e ai suoi spostamenti che Pagani dedica tutta la sua attenzione, in quanto simbolo e contemporaneamente creatore degli altri personaggi, come un deus ex machina e detentore della loro essenza. Eppure questa presenza inquietante può passare quasi inosservata, sebbene compaia undici volte nel romanzo. Joyce lo introduce  per flash e istantanee, a parte un caso, quando M’Intosh assume un ruolo cruciale nell’episodio notturno e allucinatorio Circe, ambientato nel bordello di Bella Cohen.  L’occhio indagatore di Pagani è così acuto che Crivelli scrive: «ci fa pensare a certe elucubrazioni di Holmes, laddove si parte da una serie di indizi, che alla fine si trasformano in prove, come si addice alla migliore detection positivista doyliana». Il quarto personaggio è ancora più occulto dell’uomo con  l’impermeabile, è creatore anche di quest’ultimo: è lo spirito del libro joyciano, il demiurgo che inventa traendo materiale dalla vita e da se stesso. È l’Autore con la A maiuscola, non immediatamente identificabile con James Joyce. È la pura ispirazione, di cui  pure Joyce è materia matrice. Uso il termine matrice non a caso, infatti Pagani si sofferma a considerare la natura femminile di ogni artista che è gravido e partorisce l’opera. Come non pensare, per accostamento, a Giove padre-madre di Athena, la Sapienza?

Nel saggio legato alla toponomastica – non mera descrizione di luoghi ma ventre fecondo, possiamo dire – sono numerose le meditazioni sui rapporti tra l’artista e la sua produzione-figlia. Partono tutte dalla dichiarazione dello stesso Joyce: «l’artista e la sua vita non sono due entità distinte».

Vediamo da vicino alcune consonanze salienti che accomunano realtà e immaginazione. In quel giorno caldo quasi estivo con un sole glorioso, descritto da Joyce in modo psichedelico espressionista («il sole sgargiante scialbava il miele dei suoi capelli mal tinti») Bloom e Stephen Dedalus indossano entrambi abiti neri, il primo perché deve recarsi a un funerale, il secondo per posa romantica da ribelle bohemien. Bloom è goffo e un po’ pingue, l’altro longilineo. Già nella prima apparizione di M’Intosh si nota la somiglianza con i due: l’uomo sconosciuto è anch’egli vestito di scuro, ha un fisico alto e magro, movenze goffe e timide “alla Bloom”: si tratta di un ibrido tra i due Ulisse-Bloom e Telemaco-Stephen. Lo vediamo accanto alla bara durante il funerale, nel corteo funebre e è il tredicesimo uomo, tredici numero della morte. (Detto per inciso: nel gioco misterico e cabalistico dei Tarocchi la Morte è la tredicesima carta). Quella comparsa di cui nessuno dei presenti conosce niente incarna la psiche dei protagonisti. Bloom rivive lo strazio della perdita del figlioletto Rudy, Stephen l’angoscia della madre seppellita di recente, al cui capezzale, ribelle fino in fondo, si è rifiutato di pregare su richiesta materna. Le pagine dark sono intrise di lutto che verrà elaborato e superato in seguito proprio nel luogo della discesa agli inferi, il bordello. Lì troveremo Mr. M’intosh scaturito da una botola metaforica, alter ego di Bloom, il lato più segreto di Leopold, uomo mite e accomodante ma nell’inconscio esplosivo. Il suo “doppio”, quasi fosse un golem, lo accusa di essere un dinamitardo, Bloom di rimando invoca per lui la fucilazione e lo definisce «cane di un cristiano». Si tratta di una nemesi onirica messa in atto da Joyce, poi superata con una immagine pacificatrice, un agnellino fuoruscito dalla tasca del suo (di Bloom) figlioletto Rudy, morto a undici giorni dalla nascita.

Spesso in Ulysses i morti ritornano e richiamano la credenza nella metempsicosi, a cui Pagani dedica un capitolo, ricordando il fantasma di Amleto. È un tema caro a Joyce, che ne discute a lungo attraverso le prese di posizione di Stephen, secondo il quale Amleto sarebbe il nonno di Shakesperare, ritornato dall’altrove e reincarnatosi nel grande bardo.

Il tema cruciale della paternità, fisica e spirituale, con tutte le contraddizioni, attrazione e repulsione, accompagna l’apparizione dell’uomo fantasmatico, il padre di tutti. Egli attraversa anche la strada percorsa dal viceré inglese in visita a Dublino in quel giorno fatidico; mangia un pezzo di pane secco. Secondo Pagani rappresenta Polifemo, il mostro preumano e divino che a detta di Omero non mangia pane, infatti si nutre di carne umana. Ma a mio parere chi non mangia pane è il povero irlandese colonizzato dall’oppessore, dunque la presenza dell’uomo definito Strozzapane potrebbe essere l’immagine dell’oppresso miserabile, a cui al massimo è concesso il pane secco.

Lo stesso uomo gira come un vagabondo in preda al mal d’amore, simile a Bloom tradito da Molly e a Joyce stesso, ossessionato dalla gelosia e dalla paura del tradimento.

Il viandante incarna ancora J.J. ragazzo che lascia l’Irlanda fiero nel suo proposito di non sottomettersi alle ingiustizie di una società retrograda e clericale. Il libro contiene una sua lettera a Nora datata 29 agosto 1904, definita meravigliosa da Pagani, aggettivo da sottoscrivere con ammirazione commossa. In essa il futuro scrittore di fama mondiale chiarisce alla compagna il suo pensiero e la sua posizione contestatrice, per la quale sa affrontare la miseria e qualunque privazione, rifiutando i privilegi che gli sarebbero offerti se abiurasse a se stesso. E quando il giovane innamorato ascolta discorsi denigratori riguardanti la sua donna, si sente personalmente insultato e chiude la lettera con una immagine forte: «[…] ogni parola mi mette il cuore in agitazione come un uccello in una tempesta». Quale migliore e sofferta dichiarazione d’amore? Qui possiamo scorgere una fedeltà segreta a Nora che va oltre tutti i tradimenti fisici.

Quante valenze simboliche di natura psicologica, etica, ma pure storica assume quindi Mr. M’Intosh!

Sono solo alcuni spunti tratti dal saggio di Pagani ricco di scoperte che meravigliano.

A tarda notte, prima dell’alba, Leopold Bloom si chiederà «Chi era Mr. M’intosh?”». Joyce scrive di Leopold che è «enigma autoinvoluto», riguardo alla domanda, forse perché un’immagine pregnante di noi non si lascia mai decifrare totalmente.

Queste note, invito a una lettura coinvolgente, si chiudono con una splendida citazione di Nabokov, l’autore di Lolita e studioso sensibilissimo di Joyce, ripresa nella prima pagina del libro, come traccia meditativa per attraversare la Dublino realissima nelle sue vie ma pure sognata: «I personaggi […] vanno e vengono e s’incontrano e si separano, e di nuovo s’incontrano, come le parti vive di un’attenta composizione, in una sorta di lenta danza del destino».

 

 

Copertina:

 

Andrea Pagani

Il cammino di Bloom

Sentieri simbolici

nella Dublino di Joyce

Pagani, Granarolo (BO) 2019

  1. 214, euro 15,00