Il complesso dell’indipendentismo puro
Il Ponte rosso N°80 | maggio 2022 | Roberto Spazzali | storia
Un’ipotesi operativa per dividere il movimento indipendentista secondo un disegno politico di Carlus L. Cergoly, appoggiato da Diego de Castro
di Roberto Spazzali
- Anno cruciale per la storia d’Italia e per quella di Trieste. Le elezioni politiche non premiano la DC De Gasperi che aveva puntato sulla vittoria e la conseguente modifica del sistema di attribuzione dei seggi parlamentari, così da passare da un sistema proporzionale a un maggioritario nelle mani del principale partito. Cade per opposizione delle formazioni minori, altrimenti destinate a sparire con pregiudizio degli equilibri democratici. De Gasperi comunque presenta il 26 luglio ’53 il suo ottavo governo, ma non ottiene la fiducia: un mese dopo Giuseppe Pella forma un governo a sola trazione democristiana, politicamente fragile, che deve misurarsi con l’ ultima e più grave crisi diplomatica con la Jugoslavia di Tito, il quale, sfruttando le incertezze italiane, aveva alzato la posta rivendicativa sulla Zona A del Territorio libero di Trieste (TLT), tanto da indurre la controparte a rafforzare la vigilanza lungo la frontiera italo-jugoslava.
Tensione palpabile a Trieste e timore di scontri e interventi armati, tanto che perfino lo scrittore Carolus L. Cergolj, allora direttore “artistico e letterario” del quotidiano Il Corriere di Trieste le cui posizioni indipendentiste erano note e raccoglievano diffuse simpatie tra i lettori, aveva criticato i toni aggressivi di un discorso pronunciato da Edvard Kardelj, ministro degli Esteri jugoslavo e stretto collaboratore di Tito. Tale presa di posizione era costata il posto a Cergolj e da allora il quotidiano aveva accentuati i toni filo jugoslavi ben mimetizzati dalla consueta linea indipendentista. D’altronde l’esperienza amministrativa maturata dall’entrata in vigore del Trattato di pace a quel momento, aveva rafforzata la percezione che un piccolo stato indipendente adriatico era possibile, che il municipalismo sotto la protezione anglo-americana soddisfaceva quel particolarismo giuliano che aveva e avrà i suoi epigoni. Ben pochi si rendevano conto che il benessere era dato dai cospicui finanziamenti del Piano Marshall con un procapite secondo solo all’Islanda, e tanti altri fondi arrivavano da Roma per le industrie e la propaganda, come d’altra parte giungevano da Belgrado per propri scopi. Il 9 maggio 1952 a Londra era stato sottoscritto un primo Memorandum che modificava sostanzialmente l’assetto amministrativo della Zona A, con l’inserimento di un consigliere politico italiano presso il Governo militare alleato, il quale a sua volta accoglieva un funzionario amministrativo italiano e diversi dirigenti ministeriali. Analogamente nella Zona B dal 15 maggio era estesa la legislazione jugoslava, preludio a una tacita separazione delle due aree e alla morte politica del TLT. Eppure nelle elezioni amministrative di Trieste e dei comuni minori i partiti che presentavano un indirizzo indipendentista più o meno esplicito erano avanzati fino a rappresentare i due quinti dell’elettorato.
Questi gli antecedenti per comprendere la visita di Cergolj al consigliere politico italiano Diego de Castro: si conoscevano da parecchio tempo e lo scrittore si era presentato l’indomani del licenziamento per dare la sua versione dei fatti, poi era tornato il 19 agosto per fare una proposta, definita da Diego de Castro, in una lettera del 21 agosto 1953 all’ambasciatore Vittorio Zoppi, segretario generale del Ministero degli Esteri, classificata “segreto”, come «questione molto delicata anche perché, oltre alla ovvia importanza politica […] avrebbe un riflesso economico». De Castro racconta che Cergolj si era lasciato andare a uno sfogo contro Il Corriere di Trieste che stava perseguendo una politica «nettamente venduta agli slavi» tale da provocare forte irritazione nella base indipendentista. Nel colloquio egli aveva fatto una proposta: creare un nuovo gruppo indipendentista che a detta di de Castro «verrebbe a costituire la seconda “trincea” come l’attuale indipendentismo è la seconda trincea per gli slavi». C’era da credergli? de Castro riconosceva in Cergolj capacità persuasive ed organizzative non comuni per cui non sarebbe stato difficile sfaldare il blocco indipendentista creando un «indipendentismo puro» che non doveva classificarsi come italiano ma in grado di rastrellare gli italiani nelle fila dell’indipendentismo triestino. Però era pure uomo «inaffidabile» che per vivere commerciava in libri vecchi e che aveva bisogno di guadagnare per cui «non sarebbe difficile tenerlo legato e manovrare le cose nel modo a noi più adatto». Tutto ha un prezzo: creare un settimanale, trovare una sede, fare propaganda per un impegno di 800 mila lire al mese (12.859 euro attuali). Di fatto egli non si era proposto come un doppiogiochista, ma sostenitore di una forma di indipendentismo più malleabile e la sua idea, per de Castro, non andava nettamente rifiutata ma era necessaria una riflessione su ciò che poteva essere «la politica futura del Governo italiano nei riguardi del problema di Trieste». In poche parole, se a Roma si ammetteva la convenienza della creazione temporanea del Territorio libero, c’era pure il pericolo di sfaldare una parte degli italiani «facendoli passare a questo nuovo indipendentismo di marca non più slava» e perciò Diego de Castro ne aveva parlato con il segretario della DC (non è chiaro se si riferiva a quello nazionale oppure triestino) che aveva fatto le stesse osservazioni aggiungendo che se il governo italiano avesse deciso di prolungare l’esperienza del Territorio libero, la DC avrebbe sofferto i danni maggiori in quanto «aderenti e simpatizzanti sono stati molto male impressionati da questo primo anno di amministrazione italiana». Il riferimento era alla esperienza conseguente al Memorandum di Londra del maggio 1952. A questo punto de Castro si attendeva un’approvazione dall’ambasciatore Zoppi e suggeriva di chiedere l’opinione del presidente del consiglio Pella. Va detto che egli riteneva l’iniziativa così congegnata con Cergolj molto interessante e in grado di portare «un durissimo colpo all’indipendentismo» manovrandolo con i contributi che potevano essere erogati mensilmente per controllare il suo effettivo operato. De Castro aveva pure insistito presso il prefetto Silvio Innocenti capo dell’Ufficio zone di confine rendendolo edotto dei suoi passi e della lettera a Zoppi.
Proprio da Zoppi arrivava il 26 agosto la risposta: ne aveva parlato a livello superiore e dopo aver esaminato rischi e benefici era giunta la decisione di non dare corso all’iniziativa e tantomeno di appoggiarla. Della decisione veniva informato pure Giulio del Balzo, direttore generale degli affari politici del ministero degli Esteri, quindi Zoppi informava de Castro dell’orientamento in quanto la proposta presentava «lati negativi non indifferenti e che, quanto al suo risultato finale, costituisce un’incognita assoluta». In due giorni la questione di Cergolj e dell’indipendentismo “puro” era chiusa. Non per de Castro, però, che tornava a proporla in un’altra missiva del 21 ottobre, tredici giorni dopo la Nota bipartita di Gran Bretagna e Stati Uniti con cui di esprimeva l’opinione di trasferire all’Italia l’intera amministrazione della Zona A e di ritirare le proprie truppe a cui Tito aveva reagito schierando reparti militari lungo la frontiera e la linea di demarcazione interna del Territorio libero e per tutta risposta Pella aveva mobilitato l’esercito in Friuli e in Veneto.
In un clima internazionale incandescente de Castro riproponeva la sua seconda trincea, visti l’ipotesi di internazionalizzazione di Trieste e i toni assunti dal Corriere di Trieste che «scrive agli ordini ricevuti da Belgrado», senza trovare risposta, perché non erano quelle le finalità perseguite dal governo. In calce all’ultima lettera il prefetto Innocenti annotava perentoriamente: «allo stato attuale non è opportuno fare passi del genere. L’ho detto a de Castro».
Quindici giorni dopo ci sarebbero stati i luttuosi incidenti del 5 e 6 novembre, Diego de Castro avrebbe poi dato le dimissioni dall’incarico di consigliere politico e Carolus L. Cergolj avrebbe intrapreso la strada di animatore culturale (con l’apertura nel 1959 della Galleria dei Rettori), di poeta dialettale e di romanziere di ispirazione mitteleuropea.
(Fonte: Presidenza del consiglio dei ministri, Ufficio per le zone di confine, Venezia Giulia sezione IV, b. 19, 128/4, f. T.584 Movimento indipendentista filo-italiano)
Carolus Cergoly