Il desiderio che ci abita

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Habemus papam, il film di Nanni Moretti

di Martina Vocci

«Avez-vous agi conformément au désir qui vous habite?» la potente domanda che chiude il Seminario VII di Jacques Lacan, psicanalista e filosofo che negli ultimi mesi è balzato all’ attenzione anche da parte di persone che con la psicanalisi hanno avuto poco a che fare nella loro vita, grazie a una fortunata (e colta) serie di trasmissioni di Massimo Recalcati. L’impeccabile pronuncia francese del suo nome (importante di per sé poiché l’amore è sempre amore per il nome) a detta di alcuni critici che hanno sviscerato l’oscurità epifanica di Lacan è dovuta alla conoscenza della lingua, strumento fondamentale per la comprensione dei grandi insegnamenti dello psicanalista francese. «Avete agito in conformità al desiderio che vi abita?» è, invece, la traduzione italiana della domanda che potrebbe abbracciare e strutturare la ricerca di un senso della vita per ciascuno di noi.

Un lungo preambolo per definire immediatamente la posta in gioco, ovvero il campo in cui metterò Habemus papa, la pellicola (ebbene si, ho nostalgia della luce dei negativi da qui la persistenza dell’uso di questa parola un po’ superata) di Nanni Moretti uscita per la sua casa di produzione, la Sacher, nel 2011. Quando sono partita da Trieste per approdare all’università La Sapienza di Roma ricordo distintamente nell’atrio di Lettere e Filosofia, quella stessa Facoltà in cui avevano insegnato due maestri del calibro di Tullio de Mauro e Alberto Asor Rosa, un annuncio che si confondeva con le mie frenetiche ricerche di una stanza singola possibilmente in casa con ragazze che già lavoravano: “cercasi ragazzi di bella presenza, alti che possano rappresentare il canone della Guardia svizzera”. Voci di corridoio, le prime che ho iniziato ad ascoltare nella grande capitale, dicevano si trattasse proprio di Nanni Moretti che cercava comparse per un nuovo e scandaloso film. Si trattava proprio di Habemus papam. Era ancora fresca nel ricordo di tutti, trasmesso in mondovisione, la triste e intemerata morte di Giovanni Paolo II e forse questo fatto di cronaca non ha aiutato il mio approccio al film quella volta: scavava in un posto troppo profondo che mi faceva rivivere la morte di mio nonno. E sicuramente la chiaroveggenza rispetto all’inedita abdicazione di Papa Benedetto XVII hanno aggiunto altro peso su un film che aveva tutt’altre pretese.

Così sono inciampata nuovamente su Habemus papam qualche mese fa e, questa volta, l’ho adorato in ogni singolo fotogramma, condividendo il giudizio dei Cahiers du Cinema che l’hanno dichiarato miglior film di quel lontano 2011. Ogni scena è un piccolo capolavoro di scrittura cinematografica, una regia attenta e non invadente accompagna la sceneggiatura dello stesso Moretti insieme a Francesco Piccolo, premio Strega nel 2014 che aveva già lavorato con il regista romano ne Il caimano e che a sua volta ha firmato la sceneggiatura de Il capitale umano di Virzì, un piccolo capolavoro narrativo.

Forse qualcuno di voi l’avrà già visto, ve lo auguro, per chi non lo avesse fatto cercherò di tratteggiare alcune sequenze che mi riportano a Lacan. Città del Vaticano, cardinali chiusi in conclave dopo la processione davanti all’idiozia del giornalista che chiede se può fare qualche immagine della Cappella Sistina. Elezione del papa, che avviene con modalità quasi scolastiche, in cui i cardinali sembrano alunni intenti a scambiarsi bigliettini e occhiatine, e la scelta cade su uno sgomento Michel Piccoli che, in una magistrale interpretazione, sembra diventare sempre più angosciato nel sentire pronunciato il suo nome. Segue la catastrofe: dopo l’«habemus papam» un urlo straziante squarcia le quinte del balcone affacciato su Piazza San Pietro. Sembra il pianto disperato di un bambino, un Uomo che si trova davanti alla propria responsabilità e che, completamente perso, fa seguire un’umanissima richiesta di aiuto rivolgendosi a coloro che lo circondano nella speranza di trovare una parola di conforto o incoraggiamento, ma nessuno sa cosa fare davanti all’impensabile: come può un essere scelto da Dio esercitare il suo sacro diritto al dubbio? E la posta in gioco, davanti a qualsiasi forma di responsabilità, è la ricerca di un precario equilibrio tra il dire “sì” alla gioia del proprio compito, vissuto con passione e vocazione, e il dire “no” ai pesi che comporta qualsiasi forma di responsabilità. Questo divino bilanciamento è probabilmente il vero segreto dello spazio che ciascuno si crea autonomamente nella ricerca della propria unica e singolare libertà, che potrebbe in fondo corrispondere al lacaniano «agire in conformità al desiderio che ci abita».

L’aggancio alla psicanalisi è offerto dallo stesso Moretti che nel film interpreta proprio uno psicanalista di chiara fama che giunge in soccorso al papa, creando un’esilarante cortocircuito di seduta pubblica davanti a una pletora di cardinali pronti a giudicare. Certo, il monito al professor Brezzi – Moretti era stato chiaro «Lei deve essere perfettamente conscio che il concetto di anima e quello di inconscio non possono in alcun modo coesistere!». E, nella massima riservatezza che la situazione richiede, è preclusa al professore anche la possibilità di scavare nei desideri non realizzati dell’insolente papa, veto assoluto soprattutto perché in Melville – Piccoli rimane latente, per dirlo con termini psicanalitici, il desiderio di diventare attore di teatro. Ed è proprio questo il luogo in cui scappa, sognando di recitare un vecchio testo di Cechov ma soprattutto abbandonando nello sconforto gli alti prelati e tutti i fedeli che attendono con ansia di conoscere il volto e la voce della loro nuova guida spirituale.

In fondo, il nostro viaggio è allora davvero capire, come accade a Piccoli, il desiderio che ci abita cercando di accontentarci il più possibile, perché già solo grazie a questa ricerca spasmodica e dubbiosa potremmo dire di aver vissuto. Rimane tuttavia auspicabile, da esseri dotati di intelletto, cercare di alzare l’asticella delle nostre aspettative e sfidarci oltre il nostro limite personale: questo il vero segreto e insieme l’autentica bellezza dell’essere umano. È il gusto del dubbio che stimola la curiosità, sale della terra e della conoscenza che ci spinge oltre a quello che avevamo pensato per noi, il dubbio è il senso della fede e di tutto ciò che conduce a un’altra magistrale scena del film: sulle note della struggente Todo cambia di Mercedes Soza Moretti costruisce una sequenza in montaggio parallelo in cui si intersecano la via della luce per il papa, la rivoluzione della sincerità, e i prelati che lasciati i libri e lo sconforto si mettono goffamente a ballare. Forse l’inattualità dell’arte cinematografica di Moretti non aveva ancora in mente papa Bergoglio, Lacan sicuramente ha abitato i suoi pensieri, ma trovo che la frase «Io parlo dell’uomo, non del papa» pronunciata dal suo personaggio sveli la natura del film: una raffinata e divertente metafora della vita umana in cui ciascuno ha il sacrosanto diritto di dubitare nella difficile ricerca del desiderio che lo abita.