Il figlio perduto

| | |

L’esperienza devastante della perdita di un figlio morto suicida

di Viviana Novak

 

Un giovane figlio che muore suicida. Può una madre tentare di conoscerlo attraverso   le pagine scritte che lui ha lasciato dietro di sé? Può confrontarsi con un dolore che non ha scampo scoprendo ciò che non sapeva o aveva ignorato? Potrà trovare un motivo di sopravvivenza pensando che l’energia vitale del figlio sta permeando la vita che la circonda? E infine: quale potente strumento di conoscenza è il dolore?

Sono solo alcune delle domande che nascono leggendo Spirito libero(Ed. Sensibili alle Foglie, 2017), un racconto lungo e sofferto, scritto a due mani da Fabiana Degrassi e dalla psicoterapeuta Ernestina Cariello. Un libro che tutti dovrebbero leggere, soprattutto genitori e insegnanti, chiamati spesso a confrontarsi, impreparati, con i disagi e le sofferenze di un mondo giovanile, che manifesta la propria fragilità nell’isolamento e nella rinuncia alla vita, e trova negli stupefacenti l’illusoria via di fuga da un pianeta che appare estraneo.

Fabio è apparentemente un ragazzo come tanti altri, ha frequentato una scuola superiore, ha una bella sensibilità, è un po’ zingaro e molto curioso. Ma il malessere che cela lo conduce a esplorare certi percorsi fino alla propria autodistruzione.

Il lungo racconto fatto dalla madre si svolge sulla scia dei ricordi e delle trascrizioni delle pagine di diari che Fabio ha scritto in un ritmo che si fa via via più convulso, come aumenta il male della dipendenza. Distrugge la propria vita e quella della famiglia, che impotente assiste all’orrore del figlio, il quale, in preda a un demone bastardo, spacca tutto ciò che trova intorno. “Gli episodi psicotici sono stati da allora sempre più frequenti. Cambiavano tipologia e caratteristiche ma restavano fuori dagli schemi del comune vivere quotidiano”(p. 35).

E lei a posteriori cerca le spiegazioni che non è riuscita a darsi prima, in un tentativo di esplorazione anche del proprio io. “Forse avremmo dovuto parlarti, chiederti dove fossi stato; non abbiamo trovato il coraggio di affrontarti. Hai ragione tu – tesoro mio – quando annoveri la Paura, sensazione che nasce dal pensiero del fallimento, tra i peccati capitali” (p.46).

Un dialogare ininterrotto con l’assenza, nella convinzione che qualcosa di noi rimane in forma di energia anche dopo la morte. Il testo sacro induista La Bhagavad Gita, che Fabiana trova nella stanza di Fabio (forse l’ultima lettura con tante sottolineature), offre un ultimo insperato motivo di sopravvivenza nell’elaborazione del lutto: “La vita non è determinata dall’esistenza o non esistenza di un corpo fisico. Non è mai stato il corpo a darci la vita, siamo stati noi, piuttosto, a dare la vita al corpo. L’anima è sempre esistente e quell’anima è ciò che noi siamo: manifestazione dello Spirito Eterno. L’anima non muore mai”.

“Sei al di là delle nuvole ormai, nel mistero a te ora svelato. Sei spirito libero e amore puro”(pp. 58-59). Questa la risposta finale di Fabiana.

La Cariello, in qualità di psicoterapeuta con esperienze di psicologia transgenerazionale, si trova vicino alla madre nel lungo percorso, fatto di colloqui, di sfoghi disperati alla ricerca di un sostegno e forse di una via di speranza. Vedrà Fabio per la prima volta quando si recherà al suo funerale.

E in Spirito libero si trova ad affiancare Fabiana nel suo lungo e drammatico racconto, un raccontare che non conosce reticenze o falsi pudori, che tocca le corde più profonde dell’emotività, senza chiedere pietà o condivisione e proprio per questo un racconto vero.

Ernestina Cariello la conosco da sempre, nella maniera in cui ci si conosce tra vecchi compagni di scuola, ma mi rendo conto che di lei oggi so pochissimo. Incontrandola, dopo la recente presentazione del suo libro, mi parla del percorso che l’ha portata, conseguita la laurea, a specializzarsi in psicoterapia con indirizzo psicosomatico, del bisogno di occuparsi degli altri nella relazione di aiuto, passando dal mondo della dipendenza a quello della salute mentale. Un percorso che dapprima si realizza nel volontariato e che poi le permetterà di trovare la sua collocazione istituzionale nell’Azienda Sanitaria. Fondatrice, inoltre, dell’Associazione Hyperion e Assodigiada, che si occupa di nuove forme di dipendenza, come il gioco d’azzardo.

“Narrare l’accoglienza, lo sguardo, l’ascolto, l’incontro con l’altro è proprio quanto di più prezioso deve accadere nel lavoro di cura che gli operatori nei servizi di salute mentale sono chiamati a fare.” Queste le parole con cui Peppe Dell’Acqua nel 2012 presentava con un personale coivolgimento il primo libro della Cariello Profumo di brodo (Caosfera Edizioni, 2012), una raccolta di otto racconti che nascono da esperienze vissute come psicologa terapeuta nel Dipartimento di Salute Mentale di Trieste.

Ritratti di un’umanità lacerata e dolente, che manifesta la propria sconfitta nelle varie forme della dipendenza. Storie di strappi e solitudini, che nei distretti della salute mentale appaiono “nude” nella loro drammatica vulnerabilità. Come la giovane donna, assistita nella sua abitazione, che ricerca la propria “salute” nella perpetuazione di un rituale: preparare il brodo di carne una volta alla settimana ed offrirlo, con la semplicità di chi porge all’ospite una tazza di caffè. “Quel profumo di brodo ce lo porteremo via da lì scendendo le scale dopo pochi minuti, ci accompagnerà nel cortile popolato da gatti speranzosi e colombi burloni, si insinuerà in noi riaprendoci a ricordi e immagini di accudimenti conditi di amore che appartengono al nostro passato, e per sempre ci rimanderà l’immagine di Elena, forse semplicemente ora se stessa in quel gesto d’offerta che le nasce spontaneamente da dentro e mai ricevuto da nessuno.”

 

Quale bisogno ti ha spinto verso la scrittura?

Ho visto la malattia di tanti, ho vissuto l’infarto di mio padre e ho capito che quasi sempre la vita non lascia traccia di sé. Per cui ho sentito l’urgenza di tradurre nella pagina scritta il senso della mia vita e del lavoro nel sociale e nella relazione d’aiuto con i pazienti. La morte di mio padre, poi, ha determinato in me una maggiore   sensibilità e la propensione nei confronti degli aspetti terapeutici della terminalità e dell’evento-morte.

E il caso che viene raccontato in Spirito libero?

Il mio ruolo è stato quello di supporto alla famiglia, per cui ho conosciuto Fabio attraverso le parole dei genitori. Un esempio del suo specifico disturbo: le censure dell’io si dissolvono, si manifesta l’inconscio puro e si genera quindi l’aggressività.

Il libro che ho scritto a due mani con Fabiana vuole essere soprattutto uno strumento terapeutico. Volevo che conoscesse suo figlio attraverso la scrittura, senza la mia mediazione. E così è stato.

Ma questa è una storia che molti dovrebbero conoscere…

Certamente può essere utile a quei genitori che ignorando molte cose dei loro figli   sottovalutano l’importanza di certe esperienze. Pensiamo a certi disturbi di Fabio che si sono dapprima manifestati nei problemi scolastici, poi nella difficoltà ad orientarsi, quindi nelle difficoltà di relazione. Il fumo e altre sostanze hanno agito nello spazio di alcuni anni. Fabio li ha voluti sperimentare tutti… e alla fine anche la morte.

E io Fabio l’ho amato tanto.

 

Un amore che traspare da certe righe finali, in cui la terapeuta si spoglia del suo ruolo professionale e come una seconda madre si rivolge a lui con tenero umano trasporto mentre lo immagina nella sua veste di bambino-guerriero: “Tesoro ci sono qua io che ti proteggo, non andare alle tue guerre da solo, perché ci sono io con te, puoi arrabbiarti e piangere, indispettito da ciò che ti colpisce, ma ci sono io che consolo il tuo pianto…”