Il “gatto” sul tetto che scotta

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Sull’”americano” Grattacielo Rosso delle Generali quella che già qualcuno chiama “un’americanata”

di Roberto Curci

 

“Si potrebbe andare tutti quanti allo zoo comunale / per vedere come stanno le bestie feroci / e gridare “Aiuto, aiuto, è scappato il leone” / e vedere di nascosto l’effetto che fa”. Carissimo Jannacci, che nostalgia del tuo surreale e sgangherato humour!

Sennonché ora capita – guarda te – che un leone (anzi, Il Leone), anziché scappare, si sia trovato un’ottima, prestigiosa, panoramica tana, da cui può guardare tutti dall’alto con un certo sussiego. Resta il problema dell’”effetto che fa”. Eh già, perché – stando almeno al quotidiano locale – Il Leone, dal 1848 orgoglioso simbolo delle Assicurazioni Generali, se ne starà lassù, in vetta al cosiddetto Palazzo Rosso (ufficialmente Palazzo Aedes, o anche Palazzo Berlam), per un annetto appena. Poi si vedrà. Una sorta di test, dunque, o di rodaggio.

In effetti, che “effetto” farà Il Leone appostato alla sommità dell’edificio realizzato da Arduino Berlam tra 1926 e 1928, dopo lungo travaglio di progetti e progetti (anche non suoi) regolarmente cassati dalle varie commissioni edilizie comunali? Che “effetto” sullo skyline (orrido termine invalso) delle Rive di Trieste, sui viandanti delle medesime e sul loro eventuale senso del Bello, sui refoli della bora che a quell’altezza mica scherza? Salomonica decisione delle autorità: un anno di tempo per verificare quanto quella madornale “insegna”, del tutto fuori misura rispetto alle norme vigenti in materia, regga dal punto di vista statico ed estetico. Magari alla fine al Leone toccherà tornare in gabbia. Ma sembra assai improbabile.

Così al bestione in acciaio satinato (sei metri per tre metri e mezzo: un bestione davvero) è ora consentito di dominare dall’alto la ben più piccina aquila appollaiata sulla cupola del dirimpettaio Palazzo Carciotti. Con un doppio paradosso: che proprio il Carciotti fu, nel 1831, la sede primigenia della Direzione centrale delle Generali (a Venezia, nelle Procuratie Vecchie, si installò la Direzione veneta, preposta all’attività della Compagnia nell’area del Lombardo-Veneto); e che, curiosamente, fu proprio un’aquila il primo simbolo delle Generali, quando ancora si chiamavano Austro-Italiche (un’aquila bicipite, ovviamente, rimpiazzata dal Leone di San Marco nell’anno delle grandi rivoluzioni, il ’48 appunto).

Ci si chiede, a esser franchi, quale impellenza avesse la superba Compagnia assicurativa, nota e attiva in tutto il globo terracqueo, nel decidere di autopromuoversi ulteriormente scritturando, in quell’orgogliosa ma opinabile collocazione, il “suo” Leone, già notissimo urbi et orbi, ai triestini più di tutti. Che le Generali siano sempre state molto attente alla propria immagine (e relative strategie comunicative) è arcinoto, e ci sono fior di pubblicazioni che attestano quanti e quali artisti di rango siano stati precettati, nel tempo, per tesserne l’elogio – in Italia e all’estero – soprattutto attraverso l’uso intensivo dei manifesti murali e di locandine, calendari, immaginette votive. (Da vedere almeno, benché fuori commercio, il ricco repertorio contenuto ne “L’immagine. Il Gruppo Generali e l’arte della réclame”, libro edito nel 2010).

Ma questa ennesima trovata promozionale, diciamolo, suona un tantino eccessiva. Come se una Compagnia ancora piccina e ansiosa di crescere volesse farsi bella con una pavonesca ruota per dimostrare qualcosa a qualcuno. Ma che cos’hanno da dimostrare ancora le Generali, dopo quasi due secoli di gloriosa attività? Qualcuno pensa, e mica ha tutti i torti, che il Maxi-Leone sia “un’americanata”, reiterando senza saperlo l’accusa che fu rivolta da molti negli anni ’20 del Novecento quando si resero conto di quale aspetto e assetto avrebbe avuto il Palazzo Rosso, definito anzi il “grattacielo rosso”. Del resto, già nel ’26, il foglio locale aveva intervistato Berlam, riportando l’opinione della società anonima Aedes (sorta proprio in quell’anno) che propugnava l’erezione di un edificio “americano” (testuale) sulle Rive, e dunque infischiandosene sia della nobile cortina neoclassica e storicistica delle medesime sia di un complessivo profilo architettonico col quale il nuovo edificio avrebbe fatto a pugni.

Ma tant’è. Un anno passa in fretta, e Il Leone attenderà tranquillo di conoscere il proprio destino. Se rimarrà in loco – com’è scontatissimo ipotizzare – si sarà comunque creato un bel precedente, e tutte le norme sulle dimensioni e sui limiti delle insegne stradali cittadine andranno modificate (della serie: perché lui sì e noi no? Solo per un omaggio una tantum al prestigio di una grande Compagnia assicurativa?).

 

  1. S. Rimane un problema non da poco: quello dell’orientamento del Leone. Riassumiamo: alla sua nascita, nelle prime polizze contro i rischi della grandine, il Leone venne raffigurato volto verso sinistra e con una spada sguainata; nel 1881, nel cinquantenario della Compagnia, il marchio venne unificato e si optò per un Leone “andante a destra”, che fu utilizzato fino agli inizi del Novecento, per tornare poi alla raffigurazione originaria (Leone a sinistra). E tale è rimasto, con un carosello di nuovi marchi, tra anni ’70 e ’90, per cui nel logo entrano le parole GENERALI e poi GRUPPO GENERALI. In realtà non è neppure più lecito parlare di marchio o di logo, bensì di nuova “corporate identity” (vedi quanto già scritto a proposito di “skyline”).

Insomma, Il Leone del “grattacielo rosso” è decisamente orientato a sinistra. Ma in questi tempi di trasformismi e ribaltoni, si sa, è bene andar cauti. Non è impossibile che qualcuno, da destra, si inalberi, protesti e rivendichi: “Girate quel Leone!”

 

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