Il geniale istinto di Minguzzi

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Alla Rocca di Cento (Ferrara) una mostra dedicata allo scultore bolognese

di Michele De Luca

 

Particolarmente timido ed emotivo (non amava “esporsi” e parlare in pubblico), Luciano Minguzzi (Bologna 2011 – Milano 2004), nel suo studio di Palazzo Bentivoglio della sua città, era assolutamente – come ha scritto nei suoi testi biografici raccolti in Uovo di gallo (Garzanti, 1981) a suo agio, “padrone della (sua) mente”: era lì che arrivavano a concretizzarsi le sue riflessioni, le sue ansie creative, i suoi progetti: “La realizzazione di quanto ho macinato, anche per mesi nel cervello – egli annota – mi riesce facile e spontanea; e quando congedo la mia opera sono felice di lasciarla sola a sbrigarsela con gli uomini, che ne trarranno le conclusioni che credono. Rifuggo dal dare spiegazioni su di essa, come molti interlocutori vorrebbero; in questi casi ritengo inutile e vuota ogni parola”.

Minguzzi studiò all’Accademia della sua città natale; sin dall’inizio la sua scultura rivelò una prorompente carica espressiva ed efficaci potenzialità di “racconto”, maturando le sue linee linguistiche e il suo spessore creativo tra una attenta rimeditazione degli antichi scultori e le suggestioni che gli ispiravano la lezione dei suoi maestri Giorgio Morandi, Ercole Drei, i corsi universitari di Roberto Longhi, l’ultimo Arturo Martini, nonché gli influssi di Giacomo Manzù e Marino Marini, che confluiscono nel sapiente modellato tattile e in una sorta di geniale istintività.

Appena ventitreenne vince una borsa di studio per due mesi a Parigi, dove può approfondire la conoscenza delle sculture di Rodin e Daumier; e nello stesso anno, il 1934, lo vediamo alla XIX Biennale di Venezia, dove poi tornerà nel 1936 e 1938, vincitore del concorso bandito dall’Ente per un rilievo da collocare nel salone centrale delle mostre, e, successivamente, negli anni 1940 e ’42 con una sala personale. Intanto, si registrano le sue presenze alle Quadriennali romane del 1939 e del 1943 (prima di partecipare attivamente alla Resistenza nel biennio successivo). Nelle opere del dopoguerra forte è l’influenza picassiana, da cui Minguzzi trae un forte stimolo alla tensione vitale della sua scultura in termini di fisicità quasi violenta e di sensibilità al racconto popolare, come evidenziano le varie versioni del Cane tra le canne e del Gallo, ma anche delle formelle per la quinta porta del Duomo di Milano realizzate tra il 1950 e il 1952. Dopo i forti richiami verso l’astrazione, nel decennio successivo, lo scultore si immerge in un espressionismo narrativo, incline ad uno sguardo tragico sulla storia recente dell’uomo che si traduce in una testimonianza carica di sensibilità sociale e di coinvolgimento civile.

In occasione del centenario della sua nascita la sua città lo celebrò con una bella mostra (“Omaggio a Minguzzi”, a cura di Michela Scolaro) presso la sede della Fondazione del Monte, promossa della stessa Fondazione (il catalogo venne pubblicato da Grafiche dell’Artiere) in collaborazione con la Fondazione Museo Minguzzi di Milano. La mostra presentava al pubblico un importante nucleo di opere, tra le quali alcuni inediti, tra bozzetti preparatori, sculture in bronzo, legno, cera e gesso e lavori su carta; realizzazioni “autonome” ma anche legate a grandi commissioni pubbliche, di valore civile e religioso, tra cui i monumenti per le vittime dei lager (per cui scrisse Mario De Micheli: “È proprio qui che Minguzzi ritrova la più autentica radice di se stesso, una radice di fiducia e vitalità anche nel cuore della più agghiacciante tragedia collettiva”) e le porte della Basilica di San Pietro in Vaticano e di San Fermo Maggiore a Verona.

Ora, con una grande antologica negli spazi dell’antica Rocca, la città di Cento (Ferrara) rende omaggio al grande artista, rievocando così la figura e l’opera di uno dei più importanti scultori del ‘900, capace , come pochi di creare dalla scabrosa inerzia della materia, le emozioni e i palpiti della vita. Sul bronzo, infatti, lo scultore bolognese ha costruito il proprio percorso di ricerca che si è tradotto nell’essenzialità delle forme e nell’asciuttezza delle linee (prerogativa particolare dei suoi disegni), lungi da tentazioni decorative, sempre guidato dalla lezione e dalla poetica di maestri come Arturo Martini e Medardo Rosso. Ma pur sensibile al dettato della “tradizione”, Minguzzi ha saputo anche operare una vera e propria frattura con quei canoni che in qualche modo vincolano la materia ad una ingessata “monumentalità”, riuscendo, con forte impronta personale e sicuro controllo degli mezzi espressivi, a trasformare l’energia delle forme in efficacia emotiva e narrativa.

Minguzzi, guardando alla tradizione, ma testimone e protagonista della contemporaneità, ha saputo infatti “raccontarci” la condizione umana con forte senso di partecipazione civile, che emerge dai tanti filoni della sua produzione più noti e celebrati, dove la sua potente capacità espressiva trae dal bronzo in particolare la forza dirompente di un messaggio essenziale, eterno e sempre attuale. L’esposizione mette bene in luce questo intreccio tra tradizione e modernità, che è una costante nell’arte di Minguzzi, il quale sulle orme di Martini, Manzù e Marino Marini, guardava agli Etruschi e all’Antelami, a Nicolò dell’Arca e a Jacopo della Quercia, per assimilarne la sintesi e la potente energia espressiva, e ugualmente ammirava la scomposizione e ricomposizione di Picasso e la capacità di far vibrare la materia di Medardo.

All’ingresso della mostra, il visitatore vene accolto dal monumentale Grande contorsionista (1952-89), di oltre due metri, tema molto amato dall’artista come quello degli Acrobati (1954) esposti nelle sale interne insieme a Donna al trapezio, legno policromo del 1956, Donna sul divano (1990), morbidamente distesa in posa plastica, e Op là, ultima creazione del 2000, evoluzione dinamica estrema della sua infaticabile ricerca. Che fino agli ultimi anni fu accompagnata dal disegno e dal lavoro grafico. In mostra sono presentate alcune grandi chine dalle tinte accese, arricchite da colate di vino rosso, spesso su manifesti pubblicitari riciclati sul retro, o i più crudi disegni in pandant con le sculture ispirate alla guerra, tra cui la Fucilazione di Giovanni Minguzzi (1991), zio del padre che venne fucilato nel 1851 dalle forze dell’ordine a Bagnacavallo perché aveva ospitato il bandito detto Passator Cortese, il famoso “eroe” pascoliano, “re della strada, re della foresta”.

 

 

Minguzzi, sculture e disegni

Rocca di Cento (Ferrara)

ORARIO MOSTRA:

Venerdì, sabato, domenica e festivi

h 10-13 / 15.30-19.30

fino al 20 agosto

Ingresso libero INFO:

IAT 051 6843334 – 390

informaturismo@comune.cento.fe.it

www.comune.cento.fe.it: