Il Kosovel di Pahor

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Ripubblicato dalla LEG di Gorizia Srečko Kosovel dello scrittore triestino recentemente scomparso

di Fulvio Senardi

 

L’anno in corso, che ha visto chiudersi la parabola terrena di Boris Pahor, ha arricchito però la sua bibliografia di una preziosa ristampa. Ovviamente ciò non ci compensa della perdita, ma permette una valutazione ancora più ampia del suo impegno intellettuale ribadendo la ricca sfaccettatura della sua attività di scrittore. Si tratta della ripubblicazione, ad opera della LEG di Gorizia, dello Srečko Kosovel, apparso una prima volta nel 1993 per le edizioni della pordenonese Studio Tesi, ma che era da tempo introvabile nelle librerie. Un libro scritto in italiano e che rappresenta la più completa monografia esistente nella nostra lingua sul poeta di Tomaj.

Di Kosovel si era già occupata Marija Pirjevec con un volume nel 1974 (Srečko Kosovel: aspetti del suo pensiero e della sua lirica) ma è evidente che la statura del narratore dà a questo libro un valore particolare. In un passo importante di Oscuramento, il romanzo del 1975 da poco pubblicato in Italia, l’alter ego dello scrittore, Radko Suban spiega ad un incredulo compagno di cella quanto antica e ricca sia la letteratura slovena («per chi volesse interessarsene esprime personalità di spessore»), trovando nell’italiano con cui interloquisce, in carcere come lui per ragioni politiche, un ascoltatore attento e disposto alla fine ad ammettere che «bisogna che ne prendiamo atto», quasi ad esprimere un auspicio per il dopoguerra. Difficile a dirsi se nella prigione nel Coroneo, in attesa della deportazione (o forse di peggio), Suban-Pahor abbia effettivamente intrattenuto un dialogo del genere, di così forte valore simbolico. Resta il fatto che le poche pagine da cui ho citato dichiarano, in prospettiva, la volontà di assumersi un impegno illuministico e pedagogico nei confronti degli italiani di Trieste che si invererà nel ruolo di educatore che Pahor vorrà esercitare, in anni più distesi, come conferenziere nelle scuole e diffusore presso i concittadini di lingua italiana dei valori della cultura slovena: il suo “no” nei confronti della barbarie nazi-fascista, così chiaro nelle opere, e così empaticamente efficace in tante occasioni di incontro con classi di studenti è in fondo indistinguibile dalla rivendicazione del diritto degli sloveni ad affermare la propria cultura. Un punto d’avvio, credo, sul quale a Trieste siamo ormai tutti d’accordo e che ha trovato realizzazione in varie forme di dialogo costruttivo. Qui, nelle frasi che risuonano così nette nella prigione triestina, si legge la giustificazione più esplicita di un’attività svolta da Pahor soprattutto dopo la conclusione del suo ciclo epico sul destino degli sloveni di Trieste (da La Città nel golfo nel 1955 a Nel labirinto del 1984), quel suo inesausto rivolgersi ai giovani ed agli italiani per parlare della cultura del suo popolo e della battaglia che ha combattuta per veder riconosciuta la propria identità.

Ciò non spegne la vocazione narrativa, ma la arricchisce costituendo quasi il completamento dell’affabulazione: il Kosovel di cui parliamo è, come si è detto, del 1993, al 2004 risale un “vademecum” sulla Letteratura slovena del Litorale, al 2014 un volume che raccoglie alcune riflessioni di ordine etico e politico, culturale, in parte stese direttamente in italiano. Un italiano limpido e scorrevole, dove i concetti vengono formulati con chiarezza e le ragioni argomentate in modo fermo ma pacato: in fondo ciò che ci aspetteremmo, ma non sempre succede, da chi fa storiografia letteraria per mestiere.

La specifica destinazione del volume su Kosovel spiega anche il particolare approccio di Pahor al suo soggetto. Lo scrittore si mantiene sulle generali quanto ad ascendenze di ordine filologico interne al processo evolutivo della lirica slovena (rilievi che, se troppo approfonditi, rischierebbero di arenare il discorso in un arido specialismo); vita e opere, invece, in capitoletti intercalati da citazioni dalle prose e dalle poesie di Kosovel, sono raccontate cercando di avvicinare il poeta alla sensibilità di un lettore interessato ma non esperto della materia. Uno di noi dunque Kosovel, sia pure benedetto dal dono della poesia, un uomo che soffre, lotta, spera, si abbatte, si rialza, intrattiene gratificanti legami familiari e amicali, matura una sua posizione di ideologia e di estetica, sia pure nella parabola brevissima di un’esistenza durata solo 22 anni e svoltasi, come per tanti triestini, dal Carso al mare, nell’amore per una terra – spesso indicata, come in Slataper, con l’immagine-simbolo del ginepro, la cui bacca è amara e il cespo spinoso – che nessuno di noi riesce a vedere come una landa arida e inospitale quale apparve agli occhi di molti fanti italiani della Grande Guerra. Un Kosovel insomma che, pur senza tradirne la specificità, Pahor fa assomigliare un po’ a noi tutti e a se stesso. A costo di aprire una garbata polemica con Marc Alyn, il suo esegeta francese (Kosovel – presentation, choix de textes, Paris, Seghers, 1965) che vede in lui un casto poeta che la donna né attrae né ispira, lettura che pare a Pahor un’eresia, convinto com’è che «l’amore per la vita di Kosovel [ma sta ovviamente parlando anche di sé, NdA] non è immaginabile senza la carica di eros femminile al quale il poeta anela» (p. 114). O una più garbata ancora con Alojz Rebula, che ha sostenuto la tesi di una finale “conversione”: «non si può che accettare con rispetto la documentazione presentata  […] da Rebula del trapasso cristiano e cattolico del poeta; resta però la constatazione che tanto nella sua lirica e nei suoi scritti quanto nella corrispondenza egli è aperto a tutti i valori e a tutti i dubbi umani» (p. 123). Ineccepibile il sintetico tratteggio dell’evoluzione poetica, in un testo arricchito di fotografie e illustrazioni, che aiutano a capire anche per via indiretta (le incisioni di Černigoj) il senso del “costruttivismo” di Kosovel, un’espressività che assomiglia, sul piano formale – nell’appropriazione dello spazio della pagina da parte di una parola  trattata come “entità” grafica, nel suo specifico valore “segnico” – a certe tavole del futurismo italiano, pur non sposando di quello il culto irrazionalistico della velocità e della violenza. In fondo il “costruttivismo”, che ebbe grande fortuna in Russia, soprattutto durante e dopo la Rivoluzione, aveva un obiettivo analogo al cubismo, insieme al quale mosse i suoi primi passi: evocare sulla tela o sulla pagina la tridimensionalità della realtà. Con un di più di impegno rivoluzionario (e infatti i capolavori costruttivisti si riconoscono spesso nella cartellonistica che chiamava il popolo russo a combattere contro le armate bianche e a battersi per l’edificazione del socialismo). Non c’è solo questo però in Kosovel: partecipe, in un primissimo momento, della Slovenska Moderna, una corrente che reagisce al realismo dell’ultimo Ottocento recuperando motivi romantici per declinarli in senso simbolistico e decadentistico, è attratto dall’impressionismo, quando si tratta di cantare i fenomeni della natura carsica, in direzione di quel “lirismo ambientale” per cui è giustamente famoso («Un sommesso bisbiglio di pioggia autunnale / si perde nel cupo fogliame / e nel vento il ramo si piega al ramo / quasi a baciarlo», p.29, traduzione dallo sloveno di Gino Brazzoduro, uno dei grandi mediatori italiani della letteratura slovena), e non disdegna i toni forti e i tratti taglienti dell’espressionismo, che lo vede poeta «aggressivo […] e promotore di ribellione» (p. 93), capace di «stoccate

ore dolenti ora sarcastiche» (p. 68), e non solo verso la Società delle Nazioni che pareva voler ignorare il destino di oppressione della minoranza slovena nell’Italia sabauda. Totalmente immerso insomma nell’atmosfera dei tumultuosi anni Venti, epoca inventiva e ribelle se mai ce ne furono, ma non ancora in grado, pur a fronte di risultati altissimi, di articolare una sua poetica di sintesi. Un capitolo a parte, ed è cosa significativa, viene dedicato da Pahor all’amicizia “napoletana” di Kosovel, relazione intrattenuta con Carlo Curcio: Carlo Curcio, l’intellettuale e amico napoletano. È abbastanza intuitivo come questo rapporto abbia potuto determinare assai poco del percorso umano e poetico di Kasovel, ma – ed è un “ma” rilevante – l’amicizia tra i due giovani intellettuali (Curcio è stato giornalista e quindi docente universitario), iniziata in modo assolutamente casuale (il napoletano, ufficiale dell’esercito, era distaccato al Comando di Duttogliano e si adoperò nel primissimo dopoguerra affinché Karmela e Anica, le sorelle di Srečko, potessero rientrare a Tomaj provenendo dalla Slovenia), serve a Pahor per dimostrare come potrebbe essere facile, a partire da un’empatia nutrita di condivisi valori umani e culturali, l’amicizia tra popoli un tempo nemici. Deciso a visitare le capitali dei nuovi paesi europei sorti dal disfacimento dell’Impero Curcio chiede a Srečko, nel 1922, di fargli da cicerone nella visita a Lubiana. L’incontro dovette essere gratificante se nel novembre dello stesso anno Curcio scrive al nuovo amico apostrofandolo come «Caro amico, confratello Srečko» (va detto che il “confrère” dell’originale – le lettere, che Pahor in parte cita, sono scritte in francese – significa “collega” piuttosto che “confratello”, perdendo in francese qualcosa dell’affettuosità della somigliante parola italiana). Nel prosieguo, tuttavia, si parla di «sincerità, amicizia, tenerezza»; espressioni dunque inequivocabili. L’ultima lettera citata da Pahor risale all’agosto 1925, nove mesi prima della morte del poeta. È, questa volta in italiano, e il Voi sostituisce l’abituale Vous dell’apostrofe francese: Curcio invita l’amico a partecipare a una nascente impresa editoriale, la rivista «Europa». Concludendo così: «Ringrazio questa occasione per essermi riavvicinato a voi. Credo che siate a Tomaj: dolcissimo paese, dei più dolci ricordi miei. Saluti a tutti i vostri: assai caldi, cordialissimi saluti. A voi un fervido abbraccio. Scrivetemi. Addio». Che dire? La bella paraboletta di un’amicizia sbocciata in tempi difficili e sotto infausti segni del cielo. Che ci consegna un’eredità morale e un messaggio di cui fare tesoro. Sapremo esserne all’altezza, noi italiani e slovenci di Trieste-Trst?

 

 

 

Boris Pahor

Srečko Kosovel

LEG, Gorizia, 2022

  1. 154, euro 16,00