Il livello visibile dell’anima

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Itinerari nell’arte di Franco Chersicola

Una connessione vera tra i luoghi della contemporaneità e quelli dell’origine, in terra dalmata da dove proviene la famiglia

di Enzo Santese

 

 

Nell’odierno panorama dell’arte si registrano presenze a volte più pronte a mostrare tutte le opere prodotte in un determinato periodo senza una meditata selezione, a danno di una ricerca che riduce sensibilmente le proprie dinamiche evolutive per il privilegio accordato ai momenti della comunicazione con le occasioni espositive, considerate – erroneamente – come il momento più alto nel processo di crescita e definizione del fatto creativo. Franco Chersicola (capodistriano di nascita, triestino di adozione) peraltro è sempre andato in controtendenza, scegliendo la dimensione del silenzio come la più congeniale alla riflessione e all’attività d’artista. Ciò è spiegabile in parte con l’assonanza con i suoi punti di riferimento in fase d’avvio: Nino Perizi sul versante pittorico e Bruno Ponte sul piano incisorio, sono stati capisaldi essenziali per affinare e sviluppare un talento che oggi lo pone sul piedistallo di un’autenticità del sentire, fondamentale a rendere pregevoli gli esiti espressivi. L’energia intellettuale e la capacità di comunicazione vengono impegnate al massimo grado da Chersicola nel contatto e nell’azione didattica con gli allievi, nei quali spesso emerge qualche forte personalità sbocciata anche per l’azione vivificante del maestro.

L’arte è un territorio ricco di sorprese per lo stesso soggetto creante che l’attraversa in cerca di sé, dei motivi profondi che lo legano alla realtà, degli slanci pronti a materializzarsi in parvenze antropomorfe, di fronte alle quali la superficie pittorica diventa piano di registrazione di un’emozione provata a contatto con l’esistente e trasmessa all’osservatore nella struttura cangiante dell’impasto cromatico. Franco Chersicola sembra aver affidato per anni alla solitudine del suo studio sulla collina di San Luigi il compito di rendere percettibili le emissioni del mondo circostante, traducendole poi in sciabolate di luce nella logica compositiva, fatta di rigore progettuale con un margine di libertà che il pittore riserva a se stesso nella definizione dell’immagine. I tempi lunghi dell’esecuzione dicono di una cura metodica nel procedimento realizzativo, dove anche gli apporti della casualità sono incasellati in direzioni segniche e gestuali della strategia pittorica. L’azione didattica va di pari passo con quella più squisitamente di ricerca e gli merita a buon diritto il titolo di maestro, che ha un’efficacia iscritta nella metodologia di approccio ai ritmi di apprendimento di allievi nei quali con bell’intuito riesce spesso a cogliere e sviluppare inclinazioni latenti e trasformarle in probanti personalità nello scenario non solo regionale, come dimostrano ampiamente diversi corsisti arrivati a una sicura notorietà.

Franco Chersicola dà l’idea di aver lavorato per la pittura e nella pittura anche quando la sua storia creativa sembra aver avuto lunghi periodi di sosta e riflessione, probabilmente in quel tempo di sedimentazione di acquisizioni passate e sensibilità nuove, che poi sono riemerse alla superficie di un rinnovato fervore di approcci alla superficie; qui ritrova ogni volta il senso della propria appartenenza al mondo, non a una parte indistinta, ma specificamente a quella in cui si è nutrita delle incidenze del genius loci, di quel complesso di caratteristiche native e vitali che legano strettamente il soggetto allo spazio dove si è dipanato il suo segmento esistenziale.

 

Gli umori del tempo e le tonalità dello spazio

 

La mostra In attesa di Nevera presso la Casa dei Carraresi di Treviso (dal 9 dicembre al 3 gennaio 2013), con le tele degli ultimi quattro anni rivela con chiarezza di risultati e ricchezza di suggestioni il filo di una connessione vera tra i luoghi della contemporaneità e quelli dell’origine, in terra dalmata da dove proviene la famiglia. Da quell’universo l’artista recupera alcuni dettagli significanti e sorgenti simbologiche che poi trasfonde in un’opera densa di umori, dove l’elemento figurale resta sullo sfondo come epicentro di un evento creativo che poi si avvale di tutti gli apporti della gestualità, fatta apposta per far virare l’immagine verso l’indistinto di un’energia che governa dall’interno la pittura.

Lo stato d’animo di chi prevede a breve una tempestosa esplosione meteorologica si traduce in un magma cromatico che suggerisce l’idea di un vortice, ma può essere la quantificazione visiva di una dichiarazione di poetica, per la quale Franco Chersicola articola non solo il suo repertorio di accortezze tecniche, ma soprattutto la sua tensione verso il fatto d’arte che si certifichi già con la sua struttura e i suggerimenti interpretativi che instilla nella sensibilità degli osservatori: anche quando elementi figurali sono riconoscibili in filigrana, appaiono completamente liberi dalla ponderalità e dalla prospettiva, come fossero immersi nel flusso di un’avventura onirica, ottenuta all’incrocio di un fenomeno di marcatura del segno e gradazione del gesto.

C’è sempre uno stato d’attesa generato dai dipinti di Chersicola, che sembra porre l’osservatore sul punto di percepire un tema che sta per rivelarsi come parvenza fenomenologica della realtà confinata nella dimensione dell’indistinto; questa tensione all’indeterminato è fonte da cui scaturisce la vita nelle sue forme più diverse. L’artista umanizza alcuni tratti del paesaggio, trasformandoli in personaggi veri e propri di un’epopea dell’anima. Il m’è dolce naufragar di leopardiana matrice diventa in Chersicola l’abbandono consapevole alle braccia della nevera, che è quindi combustibile per un viaggio fantastico nelle lande del sogno.

Di quadro in quadro la figura si eclissa e riemerge non nell’interezza anatomica ma in qualche porzione che si fonde con il magma di increspature sottilmente materiche, con l’intrico di segni che si ammatassano in alcune zone della tela, con l’evanescenza di tenuità cromatiche in un vibrante compendio che suggerirebbe un richiamo a Francis Bacon rivisto alla luce di una bella disposizione di fronte al mistero della vita, a Giusepe Zigaina per quel modo di interpretare la superficie quale foglio di registrazione delle proprie inquietudini risolte peraltro in esiti convergenti con gli apporti di luce, all’americano Cy Twombly per quella nervatura segnica su cui la pittura allude a una profondità fisica e mentale insieme. Ma in un’analisi filologica dell’opera di Chersicola non è difficile isolare decantazioni culturali che è andato convogliando in una sintesi che gli appartiene a pieno e che lo rende agevolmente riconoscibile nel panorama della ricerca soprattutto in regione. La recente rassegna personale (dal 14 aprile al 9 maggio 2017) presso la Lux Art Gallery di Trieste, con la sollecitante ricchezza delle proposte, lo ha ampiamente confermato: il mondo interiore si dispiega nell’idea di un paesaggio che a volte sembra essere sul punto di precisarsi in una limpida prospettiva nella congiunzione tra terra e cielo all’orizzonte; in alcune tele dà l’idea di svaporare in ambiente liquido, oppure di quantificarsi in epifanie simbiotiche tra umano e vegetale che sono il nesso percettibile tra il fisico e lo spirituale. Nella poetica di Chersicola tutto muove da una ragione dell’anima che poi si declina in tante sfumature del segno, del gesto, della stesura; qui l’aderenza ai valori della terra sono evidenti nell’uso delle tonalità che viaggiano dai verdi ai neri passando attraverso le modulazioni dell’ocra e di qualche tinta acida.

E spesso nel vasto reticolo di segni incisi si prospetta una presenza femminile che esprime il tratto di una profonda connessione tra slancio sensuale e rilievo misterico, come fosse il paradigma di un’idea di bellezza che simbolicamente si confronta anche con i dati di una realtà ambigua. La duplicità delle figure, desunte dalla classicità mitologica, come i centauri, accorpa in sé il dato della forza bruta e dell’intelligenza, nel cui equilibrio va ricercata la ragione di aderenza all’esistente.

Per questo l’opera di Franco Chersicola poggia su un retroterra di convinzioni che nella gran festa della vitalità esistenziale sanno illuminare le sfumature differenziate del reale e dell’immaginario, talora nella convergenza tra fisico e onirico.