Il mondo di Francesca Martinelli

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Un’artista eclettica, performer e poetessa fuori tempo, nata nella collina friulana da famiglia di origine contadina e approdata a Trieste

di Francesca Schillaci

 

«Nata in una vecchia soffitta, dove l’albicocco filtra i raggi del buon dio, porto in dote temporale e tormento, bestemmia e santità. Come un poeta sgangherato, a volte deriso a volte amato, traduco la malinconia del mondo sovvertendo le trame del tempo, costruisco reliquiari di santità e rivolta contadina. Mangio merletti sgualciti a colazione per sentire il sapore del passato, per trovare il mio posto nel mondo, e sorrido, sorrido alla disarmonia, alla scompostezza, alla viscerale selvatichezza, al dissenso primaverile, all’odore caldo dei fossi, all’ortica, alle forchette sbiadite con cui mia nonna leggeva le pance delle partorienti, alla rivolta attiva delle mie madri, alla volpe, ad una fanciulla sgraziata…»

Basterebbero queste poche righe per cogliere l’essenza di Francesca Martinelli, artista eclettica, performer e poetessa fuori tempo, nata nella collina friulana da famiglia di origine contadina e approdata a Trieste subito dopo la maturità all’Istituto d’Arte Sello di Udine. Incapace per scelta di adeguarsi al sistema delle cose prestabilite e perfettamente ordinate, l’artista ha continuato i suoi studi assiduamente fino a diventare oggi un’artista e performer riconosciuta in tutta Italia, soprattutto per i suoi Ex Voto. Il movimento dentro le sue creazioni è basato sulla memoria delle quattro generazioni di donne appartenute alla sua famiglia, pilastri che l’hanno arricchita di oggetti antichi, aneddoti del luogo, gesti e opinioni che hanno definito come una trama pazientemente ricamata, la testimonianza di donne antiche che Francesca Martinelli è riuscita a trasformare in forma d’arte.

Gli ex voto, prima di essere stati fatti propri dalla Chiesa, erano dei simboli propiziatori che si facevano nelle famiglie contadine e borghesi, con degli oggetti appartenenti o meno al corpo, incorniciati e appesi. Francesca ha ridato vita all’antico ex voto, costruendo un suo personale linguaggio artistico, dove merletti, denti, scrigni, antichi libri riscritti interamente da lei, fotografie, medicine e chiavi rappresentano un reliquiario familiare con una precisa valenza anticlericale, che al posto della denuncia offre la provocazione intelligente in forma di storia scritta e appesa a un muro. è l’espressione del caos, della disarmonia, della potenza della parola che fa di Francesca un insieme di linguaggi artistici perfettamente connessi e coerenti con le sue performance e i libri in versi pubblicati. Il caos è una danza di esperienze irripetibili, e per questo autentiche; quindi bisogna coglierle in fretta, farne tesoro, chiuderle dentro un baule vecchio di famiglia e lasciarle crogiolare al tintinnio del tempo che scorre, inesorabile, alterando ogni frammento di vita.
Martinelli ha riempito la sua vita di oggetti appartenenti al passato della sua famiglia, dai fermagli delle nonne con cui è cresciuta, alle foto incastrate dentro antiche cornici che suggeriscono sempre quell’aria austera di un tempo poco svelato. Vecchi vestiti da sposa adornati con orologi da taschino, le mutandine della bisnonna Nancy rese oggetto immacolato dentro la sconsacrazione di una vita svelata senza indugi, la stessa che Nancy ha tramandato alla figlia e alla nipote: nonna e madre di Francesca.
Si pensa spesso che nascere in un piccolo paese di provincia porti con sé l’antica credenza del perbenismo, dell’ignoranza e della devozione spirituale; un ambito in cui la donna cucina, lava e stira e l’uomo lavora, urla e decide. Oppure non manca l’immagine immacolata della famiglia borghese, un quadro di perfetta armonia dove marito, moglie, i due figli e il cane sono la perfetta sovrastruttura sociale che ci serve per dare un ordinato assetto alla nostra esistenza. Attorno a tutte queste immagini, però, si annidano anche realtà oscure, immagini devastanti, cronache di paese che si mescolano ai racconti che la nonna «dai capelli corvini fino a 87 anni» porta con sé. Francesca Martinelli è cresciuta in una tipica casa friulana dove c’erano due cucine e due salotti: una per l’utilizzo quotidiano, l’altra per i giorni di festa. «Sono cresciuta in un contesto matriarcale, ma la donna doveva far credere all’uomo che era lui a comandare. Non è mai stato così». La disarmonia, la sconsacrazione, il diritto di essere autentiche in un contesto che non lo permetteva con facilità sono pulsanti nei racconti interiori delle donne che l’hanno cresciuta: «Mia bisnonna leggeva le pance delle partorienti», mi dice l’artista, «era debole di cuore e passava il suo tempo dentro una stanza per non stancarsi troppo. Frequentava Amabile, chiamata la strega del paese sempre vestita di nero con un fazzoletto in testa. In paese dicevano che avesse fatto la grazia a mia nonna di conservare fino alla morte i suoi capelli corvini». Francesca frequentava quella stanza con la curiosità femmina che si ha da bambine, quando qualcosa di interessante succede dietro a un pomello e hai la fortuna, di poterlo osservare senza riserve. Nascondere le cose è il presupposto di un fallimento, qualcosa da insabbiare, da non ascoltare, altrimenti chissà cosa dirà la gente. Invece non c’era niente da chiacchierare, ma solo da condividere. Fino all’età di otto anni Francesca è stata insieme alla bisnonna e in quella camera da letto ricorda bene l’armadio pieno di libri tra i quali sbucavano dei cioccolatini e a fianco, una bambola di porcellana con le palpebre che andavano su e giù quando la toccava. Affascinata inevitabilmente da elementi che potevano diventare dei simboli, l’artista ne ha creato dei feticci, osannando a gran voce il sacrosanto diritto alla disarmonia delle cose. «Le icone vanno alterate, non possono restare immobili, diventano pericolose». Si ergono a simboli, appunto, che diventano legge nella mente della società e allora Francesca Martinelli le dissacra, le modella, dà loro nuove vite, come la Venere anatomica, simbolo per eccellenza della bellezza apollinea, lei la traduce in scheletro dentro il quale si scorge un cuore anatomico rosso pulsante. Oppure l’azione del No Body dove il corpo non è corpo ma lo è allo stesso tempo, come icona che però sbiadisce, si annulla da sé per evolversi in altro. O ancora il Bestiario, la sequenza di disegni a grafite di animali per lo più ibridi che diventano un incrocio inventato con altri animali, o un busto di donna che cammina con le zampe di un volatile. Martinelli ha delle convenzioni che rispetta con rigore fino a farle diventare delle tracce: l’uccellino morto con la scritta INRI sulla testa è l’elemento per eccellenza che richiama la morte atroce di un essere sublime (Cristo) nel corpo piccolo e indifeso di una vita delicata come quella di un uccellino. Il sacro si mescola al naturalia in senso divino. Allo stesso modo, gli Ex Voto appesi ai muri cosparsi di scritte capovolte che citano volpi, contadini, ladri e assassini sono la rappresentazione di un mondo che non va messo a tacere, ma che è necessario narrare, mostrare, imporre. è il dionisiaco della nostra quotidianità, qualcosa che richiama l’infanzia di alcuni di noi, o semplicemente i pensieri nascosti che non possiamo svelare. I cuori trafitti da frecce, la stasi che si fonde con l’estasi e quindi si muove, si crea, si amplia sono parte della ricerca artistica tra le più alte presenti nella nostra contemporaneità. Non mancano, in questo girotondo di anime passate e presenti i riferimenti letterari e musicali all’interno del suo studio di Trieste in via Aleardi 3, dove Baudelaire forse ascolterebbe, apprezzandolo, De Andrè, o Kiki de Montparnasse si berrebbe un buon drink con Giovanni Lindo Ferretti, l’Ofelia di Amleto si innamorerebbe di Nick Cave. . La città di Trieste porta con sé un modello di arte contemporanea atto ad ampliare la visione del grottesco, dell’oscuro, dell’impalpabile, oltre che di un’emancipazione femminile nell’arte che non fa sconti a nessuno, obbligandoci a guardare l’esistenza per quella che è, in tutte le sue forme, dalle più affascinanti alle più terrificanti. è il linguaggio artistico di Francesca Martinelli.

 

 

 

Francesca Martinelli

Artista visuale e performer, docente di Storia dell’Arte e Arti Applicate. Nata a Udine, vive e lavora a Trieste. Dopo il diploma all’Istituto d’Arte G. Sello di Udine si è laureata in Storia dell’Arte con indirizzo semiologico presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Trieste, Specializzanda, ha assunto come ambito di ricerca il sistema iconografico dell’alterità, mostruoso e grottesco. In seguito ha concentrato la propria ricerca nell’ambito delle avanguardie artistiche e letterarie del ‘900 e del loro sovvertimento del tessuto sociale e culturale. è docente di Storia dell’Arte Contemporanea, Disegno anatomico e Decorazione presso l’Università Popolare di Trieste. Ha studiato a Bologna a fianco di Loriano della Rocca, allievo di Kantor, scegliendo per il suo percorso teatrale un indirizzo sperimentale di avanguardia. Fondamentale, sin dagli esordi della sua ricerca artistica, è la parola, detta o scritta. Dal 2009 presente nella galleria LipanjePuntin Artecontemporanea, che segue e cura il suo lavoro. Ha al suo attivo numerose personali e letture di poesia a Trieste, a Firenze, a Genova, a Pordenone, a Parma.