Il pittore del sogno

Intervista a Toni Zanussi

di Francesca Schillaci

 

Lo chiamo il pittore del sogno, l’artista che della sua sorte di anima sradicata ne ha fatto opera d’arte mettendola a disposizione degli ultimi, i relitti del sistema che emargina e accusa, processa e poi dimentica, lasciando i segni dei graffi per sempre.

Toni Zanussi (Qualso, 1952) è il pittore friulano che accoglie le persone nella sua casa a Stella, una frazione di Tarcento ormai abitata da tre persone, ma che un tempo accoglieva quasi settecento abitanti. Racconta la sua storia con trasparenza e umiltà, spesso abbassa lo sguardo per cercare le parole, forse dentro il groviglio della sua anima, custode fedele di lunghi viaggi sulle navi e di dolori inevitabili che la vita gli ha imposto. Orfano di madre a quattro anni, perde il padre all’età di otto; uno zio sacerdote diventa il suo tutore e lo affida ai collegi religiosi nei quali inizia a dipingere ispirato dalle icone sacre appese ai muri.

Mentre giro intorno ai suoi quadri, nella sua soffitta pregna di colore su tele, di città cosmogoniche (così definite da Gillo Dorfles), sento palpabile il viaggio di questo pittore naufrago e comprendo, riconosco, raccolgo ogni dettaglio del suo vivere. Mi metto a disposizione annullando ogni cellula di me, aperta soltanto all’esercizio dell’accoglienza per poter essere mediatrice e custode del suo racconto.

«La religione non è per me frequentare la chiesa, né credere nell’istituzione che spesso, troppo spesso, ha tradito invece di salvare. Ma la mia anima è spirituale, sento il contatto con il divino attraverso l’umanità. Credo di aver visto Dio in tutti i vecchi dimenticati, i carcerati condannati, nei giovani che hanno sbagliato e a cui non è stata data una seconda possibilità. Nelle prostitute che a vent’anni mi hanno adottato a Venezia, quando girovagavo insieme a un amico che mi ha inserito nelle conoscenze degli artisti. Vedevo dalla finestra lo studio di Emilio Vedova, con grandi vetrate e tele enormi. Lo guardavo dipingere».

Tanti sono i luoghi nel mondo che hanno accolto le sue opere in mostra: dal Friuli agli Stati Uniti, dai Balcani a Parigi. Per mantenersi ha sempre lavorato, iniziando da quelli che vengono considerati i mestieri più umili, come il lavapiatti, il pulitore di gabinetti, il cameriere per una contessa. Mestieri che sono necessari affinché qualunque altro impiego possa esistere nell’infinita catena che ci rende inseparabili, uniti in un flusso umano che non possiamo spezzare, anche se spesso ci proviamo quando consideriamo i mestieri come identificativi delle classi sociali. Il suo ultimo lavoro è stato in banca, un luogo che gli ha permesso di vivere e di esporre in una mostra, anche dopo essersi rifiutato di cedere ai corteggiamenti del nuovo business che prevedeva vendita di pacchetti azionari. Piegarsi senza spezzarsi, conservarsi intatto, pulito nei suoi ideali nati dal disagio, dall’incolmabile mancanza dell’affetto, dalla consapevolezza che la vita è quella che scegli di compiere, non quella che ti viene suggerita.

Lo sradicamento che ha vissuto non l’ha reso vile, come spesso accade, ma punto di partenza che è diventato un sigillo di appartenenza. Ricorda sempre che il merito della sua anima nutrita è da riconoscere agli insegnamenti di padre Maria Turoldo, che nel sociale si è speso per gli ultimi fino alla fine tanto quanto don Pierluigi Di Piazza, che fedele alla sua linea, ha difeso prostitute, ammalati, drogati e rifugiati ricevendo spesso lo sdegno da parte delle altre cariche ecclesiastiche che dall’alto lo giudicavano, perché forse lo temevano.

Toni è l’agglomerato in forma d’arte di queste anime ribelli, nobili messaggere di un principio di uguaglianza, nella sacra convinzione che soltanto attraverso l’amore si ottiene la pace, un amore che spesso è difficile incanalare, gestire, sostenere.

Le sue opere raccontano luoghi immaginati, lidi dell’inconscio, dove dimore fantasmagoriche si incrociano ai voli fluttuanti di esseri alati, marini, inventati, che sono diventati reali dentro le sue tele, nello sguardo di chi le osserva e subito le riconosce. L’utilizzo di tecniche miste come l’aerografo, il pirografo, acrilico, tempere, pastello si uniscono all’utilizzo della malta e al collage su legno. Recupera scarti di vario genere, dai teloni di camion come per la Tenda per la Pace collocata al polo scientifico dell’Università di Udine, agli scarti di lamiere e ferro che si trovano nella Porta di Bagdad, oggi presente al Parco Scientifico Friuli Innovazione e alle porte abbandonate, gettate nei rifiuti che Toni ha reso Porta della Pace, presente al centro Ernesto Balducci di Zugliano.

Molte delle sue opere nate dagli scarti, da pezzi privati della loro ancestrale dignità hanno trovato nuova vita nelle sue creazioni che anche Casa Cavazzini di Udine accoglie e il Palazzo Armeno di Venezia con il suo Albero cosmogonico. è con occhi pieni di stupore che alla fine del viaggio dentro la sua soffitta, beviamo insieme un bicchiere, ci sediamo con sua moglie Loretta, l’amore di una vita intera e decantiamo grati il nostro nuovo incontro, questa volta non più nelle mostre, ma nei muri delicati della sua casa. Non c’è cosa più autentica che cercare gli artisti nelle loro dimore, dopo averli incontrati alle loro esposizioni. È come leggere degli scrittori le loro lettere e non più solo i romanzi: è lì che trovi l’anima, l’uomo, l’essenza.

 

Città invisibile

tecnica mista su MDF, 2005