Il potere perverso delle storie

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Mai fidarsi di uno che racconta storie, meglio fidarsi di se stessi

di Laura Fonovich

 

Ci sono dei libri che andrebbero letti al contrario, camminando a ritroso come un gambero per giungere all’enunciato iniziale. Non perché il testo non sia chiaro e la conclusione sia l’unica parte degna di considerazione, bensì perché quel concetto continui a risuonare incalzante in ogni passo del volume e non ci distragga dal suo proposito. Il libro di Jonathan Gottschall, Il lato oscuro delle storie. Come lo storytelling cementa le società e talvolta le distrugge, è uno di questi. È una chiamata all’azione che coinvolge tutti, è un monito ad addentrarci nella dimensione più profonda del nostro essere. Per quanto a noi umani faccia piacere presupporre che «il nostro comportamento sia vario, differenziato, imprevedibile. Invece non lo è affatto. È uniforme, stereotipato e prevedibile».

Prima di addentrarci nel contrappunto narrativo di quest’opera letteraria che inizia con un incipit meta descrittivo, e prosegue con maestria in un’alternanza armonica tra narrazione e teorie scientifiche per dimostrare che «dietro i più grandi mali della civiltà, c’è sempre una storia che confonde la mente», è bene soffermarsi sulla personalità dello scrittore. Jonathan Gottschall è un docente di letteratura inglese presso il Washington and Jefferson College in Pennsylvania che, da anni, si occupa di letteratura evolutiva. Attraverso un ampio spettro di conoscenze che attingono dalla psicologia, alla scienza della comunicazione fino alle neuroscienze, il suo fine è quello di dimostrare come il potere dello storytelling possa arrivare a distruggere le società. «Niente è meno innocente di una storia» se si considera che l’elemento fondamentale della narrativa è il conflitto.

Secondo l’autore, le storie che più ci condizionano, alla fine, sono quelle che raccontiamo a noi stessi, quelle in cui ergendoci a protagonisti ignoriamo, o meglio nascondiamo, la nostra parte antagonista, il “nostro” essere il cattivo della storia, quando invece «dovremmo imparare a scindere l’esagerazione, la deviazione o l’illogicità del nostro pensiero». Per lo scrittore dipende molto dal lato in cui ti sei trovato in una determinata situazione: «Il demonio non è “l’altro”; il demonio siamo noi. È quello che sarei stato io – che sareste stati voi – se fossimo nelle sue stesse circostanze».

Per poter affrontare i grandi problemi della civiltà, Gottschall suggerisce di iniziare a conoscere meglio i modi subdoli in cui le storie influenzano le nostre menti e le società.

Tutto il libro è permeato da un unico obiettivo, cioè dimostrare come l’utilizzo della comunicazione sia l’arma più influente che l’essere umano ha per condizionare il pensiero altrui. Le storie sono il mezzo più potente per influenzarci reciprocamente, esse, determinando convinzioni così radicate, oltre ad unirci sono altrettanto in grado di dividerci e fabbricare pericolose assurdità. Nel libro non a caso vengono citati diversi esempi di idee cospirative che rasentano la follia, ma che, allo stesso tempo, sono state in grado di influenzare milioni di persone. Quella di David Icke ne è una dimostrazione eclatante. Icke è diventato famoso per aver sostenuto che siamo tutti schiavi inconsapevoli di una razza di lucertole aliene che si nutrono della nostra sofferenza e negli USA, secondo le ultime stime, ha dodici milioni di seguaci. Lascio al lettore riflettere sulla potenza di una narrazione, per quanto assurda possa sembrare, e sul carisma di chi la racconta, altro ingrediente indispensabile affinché una storia abbia un seguito. Ora la grande preoccupazione del professore universitario, in un’era in cui stiamo vivendo il big bang della narrazione, in cui allo stato attuale Fecbook ed i social media ne sono diventati i più importanti editori, è quella che «le storie rischiano di far deragliare le nostre menti, di esiliarci di realtà “altre” e di far a pezzi le nostre società».

Da un semplice esperimento che possiamo fare su noi stessi, possiamo osservare quanto ci possa condizionare emotivamente una serie televisiva tanto da farci affezionare ai personaggi e a volte soffrire quando la stessa finisce. Secondo due ricercatori dei media della Stanford University, Clifford Nass e Byron Reeves, citati nel Lato oscuro delle storie, il cervello umano non si è ancora evoluto per poter affrontare un ambiente saturo di simulazioni realistiche di persone o cose, per cui quando vediamo nelle storie immagini convincenti di situazioni umane, il nostro cervello le elabora come fossero reali. Situazioni fittizie direttamente collegate al trasporto narrativo e alle nostre emozioni, che ci fanno dissociare parzialmente non soltanto dalla realtà, ma anche da noi stessi. «Ma non dovremmo lasciarci ingannare dall’idea del piacere che ne traiamo. Le storie non sono inerti nei loro effetti. Consumiamo storie golosamente nel corso della nostra esistenza, e diventiamo ciò che mangiamo».

Gottschall, per spiegare il valore evolutivo della narrazione, supera in modo eloquente, e probabilmente per molti accademici azzardato, il concetto di Homo Sapiens (persona sapiente) definendolo Homo fictus (persona finzionale). In esso condensa i due forti istinti dell’essere umano, quello di narrare e quello di utilizzare strumenti: «gli esseri umani sono animali che utilizzano le storie come strumenti». Le grandi teorie della cospirazione, che respirano come l’aria queste teorie, persuadono attraverso il meccanismo del dislocamento, ossia arrivano a spostare un’idea da uno scenario ad un altro, superando l’inerzia attraverso la forza narrativa a loro più consona. Lo scrittore americano John Garden a questo proposito definisce i narratori come «propagandisti segreti, perché per essere efficaci devono essere subdoli e indiretti.» Tecniche narrative che colossi come Google, Amazon e Facebook utilizzano alla perfezione. Attraverso i nostri comportamenti sul panopticon digitale sanno come ci comportiamo minuto per minuto, ci conoscono meglio di qualsiasi altra persona, e utilizzano con maestria questi dati per targettizzarci con narrazioni coinvolgenti ed eccitanti per persuaderci a compiere un’azione piuttosto che un’altra.

Dall’altro canto è cosa nota che il successo di alcuni regimi derivi dal fatto che hanno capito che per dominare il mondo reale bisogna prima dominare “storilandia” monopolizzandone le narrazioni. In questo, secondo fonti riportate da Gottschall, la Cina e lo Stato Pontificio all’apice del loro potere, sono stati maestri. «La guerra delle storie è probabilmente la più pervasiva e consequenziale forma di competizione umana: la lotta per imporre la propria narrazione a spese di quella dell’altro». Il suo successo? Il suo propagarsi perché, come direbbe Toltstoj, la sua vera forza risiede “nel contagio emotivo”. È l’emozione che guida il potere persuasivo delle narrazioni e più la perturbazione emotiva è intensa, più è probabile che venga condivisa socialmente. Con l’utilizzo dello storytelling spinto all’estremo, secondo il ricercatore, ora più che mai, grazie alla rapida diffusione su internet, «stiamo vivendo una pandemia del pensiero cospiratorio». Un’articolata costruzione di thriller avvincenti che prevalgono sulla noia di chi smitizza i complotti, i quali ahimè non hanno una storia da offrire, ma solo verità collegate a dei fatti reali. Pertanto, Gottschall esorta a sviluppare «una personale attitudine al sospetto delle semplificazioni moralistiche delle storie», perché in questo momento «le false narrazioni non solo battono le narrazioni vere, ma le sovrastano completamente in base a ogni metrica di diffusione sulle piattaforme dei social media».

In una disamina della campagna elettorale del Gran Trombone (Donald Trump), Gottschall dimostra come abbia vinto le elezioni presidenziali non per la bontà del programma elettorale, ma perché è stato geniale nel rappresentare la parte del “cattivo” utilizzando i media senza che gli stessi se ne rendessero conto.

 

Jonathan Gottschall

Il lato oscuro delle storie

Come lo storytelling cementa

le società e talvolta le distrugge

Traduzione: Giuliana Olivero

Bollati Boringhieri, 2022

  1. 274, euro 24,00