Il protomartire della Grecia

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Un busto (seminascosto) a Trieste a 200 anni dalla guerra d’indipendenza

di Roberto Curci

 

A Trieste se ne sono accorti solo i pochi che tempo addietro attendevano l’autobus numero 17 e i pochissimi che ora invece attendono il numero 4 (notturno) al capolinea di fronte alla chiesa di San Nicolò e alla sede della Comunità greco-orientale: in città c’è una statua in più, un busto bronzeo dedicato a Rigas Fereos Velestinlis (1757-1798). Chi era costui? Sono ben pochi – scommettiamo –  anche coloro che lo sanno. E che ci fa, poi, seminascosto tra la verzura di un’aiuola, in mezzo al trafficone delle Rive? E perché proprio a Trieste?

La risposta è: non perché a Trieste Rigas nacque, e neppure morì. Ma perché a Trieste, per così dire, cominciò a morire. E val la pena di rammentarlo nell’anno del bicentenario dell’inizio della guerra d’indipendenza greca, dal momento che di quell’indipendenza dall’oppressione ottomana  Rigas fu un antesignano, un profeta e infine pure un protomartire.

Poeta infiammato di passione per la libertà del suo paese, la cui identità era stata praticamente cancellata dai turchi (privata del suo nome, della sua lingua, della sua storia gloriosa), Rigas fu definito «il Tirteo della rinascente Grecia» per il suo prodigarsi in molti modi e molti luoghi nel temerario intento di applicare al suo paese la terapia rivoluzionaria che aveva squassato la Francia. Fu appunto la Francia il primo modello teorico-pratico dell’agire di Rigas, cui fece seguito una cieca fiducia (rivelatasi purtroppo infondata) nell’appoggio che Napoleone Bonaparte, a suo dire, avrebbe potuto fornire alla causa della rinascita ellenica.

Alle poesie accese di amor patrio e di incitamenti alla ribellione, a una traduzione della Marsigliese in chiave neo-ellenica, alla pubblicazione di alcuni pamphlet di rivendicazione nazionale, seguì una costante opera di sensibilizzazione e propaganda svolta anche in città ostili: Vienna, Bucarest, la stessa Costantinopoli. Ma la sua precoce vocazione ribellistica andò poi maturando anche sotto il profilo politico, facendogli ipotizzare un nuovo assetto globale, non solo della Grecia liberata, ma dell’intera area balcanica: il suo lungimirante e utopistico capolavoro, in effetti, rimane la Carta che Rigas immaginò e tradusse in dodici dettagliatissime mappe, per ridisegnare aree e confini di un enorme territorio che da secoli era succube dello schiacciante pan-dominio turco, negatore di ogni nazionalità ricadente sotto la propria giurisdizione.

Lo perdette infine l’eccessiva sicurezza con cui usava muoversi anche su terreni infidi. Nel 1797, deciso a incontrare Napoleone che allora era a Venezia, scese da Vienna a Trieste, ma commise l’errore di farsi precedere dall’invio di un baule zeppo di materiale sovversivo, che venne scoperto dalla polizia asburgica, anche su delazione di un greco residente a Trieste, lealista e dunque avverso ai disegni rivoluzionari di Rigas: se ne fa pure il nome – quello del commerciante Demetrio Economo –, benché la sua “soffiata” non sia del tutto comprovata. Certo è che, quando i gendarmi andarono a prelevare Rigas in una stanza dell’Albergo Reale, sapevano chi cercavano e perché. La morte lenta del propugnatore dell’indipendenza greca cominciava appunto qui.

Nei bauli sequestrati c’era l’intera tiratura, stampata a Vienna senza il nulla-osta della censura, di un «inno patriottico d’assalto», il Thurios che poteva (o avrebbe potuto) essere memorizzato e perfino cantato: «Fino a quando, miei prodi, sulle vette, soli come leoni, vivremo confinati?». Ma, più che dagli scritti fortunosamente sopravvissuti, è forse lecito pensare che il sogno di Rigas traspaia in tutta la sua plastica evidenza nella citata Carta dell’Ellade: un’operazione cartografica colossale per l’epoca, dodici fogli di due metri per due, vivida proiezione visiva (e visionaria) di un progetto onnicomprensivo, destinato a non avverarsi neppure in tempi migliori.

Il penoso seguito della vicenda umana di Rigas è incerto, se non nel suo scontato epilogo, e le fonti divergono sui dettagli. Con certezza si può dire che, imprigionato a lungo dall’Austria (alleata dell’Impero ottomano, da poco uscito da un duro confronto bellico di cinque anni con la Russia), fu infine consegnato – era ormai la primavera del 1798 – ai turchi, per il giudizio finale e l’inevitabile condanna. Scortato dai militari austriaci assieme a sette suoi sfortunati compagni di lotta, raggiunse Semlino, oggi Zemun – quasi parte integrante dell’attuale capitale serba Belgrado –, alla confluenza di Sava e Danubio, quella Malle Villa o Città della Sventura tristemente nota per i massacri compiutivi nei tempi remoti della Prima Crociata.

Qui il passaggio della strana comitiva fu perfino registrato dal locale Monitore: «Abbiamo veduto passare per questa Città gli otto Greci che furono arrestati come autori di scritti sediziosi. Erano legati a due a due e scortati da ventiquattro soldati, da due caporali, da un ufficiale superiore e da un commissario. L’anima del partito al quale questi Greci appartenevano è il Rigas, ricco negoziante nativo della Tessaglia, appassionato sino al delirio per la liberazione della patria, un tempo abitata da uomini liberi. Qualche tempo prima che la Polizia di Vienna avesse ordinato di arrestarlo, il Rigas, avvertito da qualche presentimento, s’era allontanato da quella città, ma fu preso a Trieste, dove s’inferse una stilettata, ma il braccio tradì la sua volontà e il colpo non fu mortale».

La tappa successiva era la vicinissima Belgrado. Qui Rigas fu nuovamente incarcerato e – pare – torturato, tanto da ritentare (ancora invano) il suicidio. La meta ultima doveva essere Costantinopoli, dove l’attendeva la certa sentenza di morte del sultano Selim III. Ma il timore di una fuga nel tragitto o di un tentativo di liberazione da parte delle forze di un amico di Rigas, il bosniaco Osman Pazvantoglu, anch’egli ribelle al dominio ottomano e all’epoca governatore del distretto di Vidin, indusse i soldati turchi incaricati a scortare Rigas e i suoi a una ben diversa ed efferata decisione. Se ne sbarazzarono, semplicemente, strangolandoli e gettandone i corpi nel Danubio. Almeno la data è (o pare) certa: il 24 giugno del 1798.

 

 

Rigas Velestinlis

Scritti rivoluzionari

cura e traduzione di

Lucia Marcheselli Louka

Lint, Trieste 2000

  1. 144, euro 9,00