L’impiegato triestino Stelio Mattioni

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In un libro della figlia Chiara rievocata la figura e la storia dell’uomo e dello scrittore

di Walter Chiereghin

 

Le biografie scritte dagli eredi di un arista, di uno scrittore, di un politico presentano una duplice e opposta potenzialità: quella di costituire una fonte preziosa di notizie di prima mano, cui si contrappone il rischio di identificarsi come il piedistallo su cui edificare un monumento – possibilmente equestre – alla cara memoria del de cuius.

Si sottrae agevolmente a tale seconda modalità il volume che Chiara Mattioni ha dedicato alla storia e alla figura del padre, lo scrittore triestino Stelio Mattioni, nato nel capoluogo giuliano nel 1921 e decedutovi nel 1997. L’impiegato triestino maestro di storie, edito dall’EUT, edizioni dell’Università di Trieste, ci restituisce, arricchendola di molte informazioni e notizie, un’immagine dello scrittore e della sua attività che s’innesta, completandola, su quella che ciascuno poteva essersi fatta leggendo i suoi testi letterari e ricorrendo ad ulteriori fonti documentali.

Prima ancora di addentrarsi in una breve biografia del padre, già in sede di introduzione, l’Autrice parla diffusamente di Bobi Bazlen, cui riconosce il ruolo di incarnazione del destino nella storia di Mattioni, quando impersonava, con l’allora sconosciuto scrittore, la parte che più gli era propria, quella di “intellettuale maieutico”. I due si erano conosciuti di persona nel 1960 a Venezia, alle Zattere, dove Mattioni, quasi quarantenne, oscuro impiegato alla raffineria Aquila, era andato per incontrare il consulente editoriale delle principali Case editrici italiane, allo scopo di chiedergli informazioni su Umberto Saba, del quale stava redigendo una biografia. Accantonato ben presto Saba, non molto amato da Bazlen, la conversazione si spostò sull’attività letteraria di Mattioni, che aveva fino ad allora pubblicato soltanto una raccolta di liriche. Fu così che Bazlen ebbe modo di leggere un racconto inedito dello scrittore, che fu pubblicato da Einaudi nel 1962, assieme agli altri che compongono Il sosia. Fu, quell’incontro alle Zattere, l’inizio della carriera di Mattioni scrittore e, al contempo, di una grande amicizia (alla morte improvvisa di Bazlen, l’altro confesserà in una lettera che “è stato l’unico amico della mia vita”).

Facendo un salto all’indietro rispetto all’incontro veneziano con Bazlen, Chiara Mattioni ricostruisce la biografia del padre, in quanto “resta indubbio che al di qua di ciascuna pagina scritta ci sono le vicissitudini di chi la scrive. Fino a che punto importanti per comprendere l’opera stessa? Probabilmente opera e biografia sono in diritto e il rovescio della stessa pagina da leggere perciò in trasparenza”. Per questa ragione, il secondo capitolo del volume ripercorre la biografia di Mattioni, dagli anni dell’infanzia nell’appartamento di Via Parini n. 5, i giochi in strada con il cugino Guido Antoni, che sarebbe diventato un apprezzato pittore, quindi un trasferimento in periferia, in Via Battera, cui malvolentieri si dovette adattare la madre. Legge molto, frequenta l’Istituto Magistrale e quindi cerca di fare praticantato come giornalista, ma il padre riesce a trovargli un lavoro d’impiegato alla raffineria, che tuttavia deve lasciare dopo sei mesi perché, nel febbraio del 1941, è chiamato alle armi in un reparto di bersaglieri. Dapprima come soldato semplice, poi come sergente e infine come sottotenente, fu impegnato in zone operative sia in Jugoslavia che in Africa, dove venne catturato dagli inglesi ed avviato alla prigionia.

Ritornerà a Trieste soltanto nell’agosto del 1946, più di un anno dopo la fine del conflitto, trovando una città lacerata dagli ultimi eventi e provvisoriamente amministrata dal Governo militare alleato. Ritrovò il suo posto alla raffineria Aquila, nel quale progredirà lentamente fino ad assumere un ruolo dirigenziale, ma i suoi interessi più autentici erano tutti fuori di là. Riprese a scrivere, ottenendo qualche collaborazione giornalistica, si inserì in alcuni ambienti culturali della città, primo tra tutti il cenacolo di Anita Pittoni, dove ebbe modo di incontrare ogni martedì Giani Stuparich e Virgilio Giotti, assieme ad altri intellettuali tra cui alcuni giovani. Si autoesclude da quegli incontri per una leggerezza: aveva pubblicato sul giornale una confidenza di Giotti, suscitando le ire dell’energica padrona di casa. Nonostante questo incidente di percorso, Mattioni rimase attivo nella vita culturale della città, fino a diventarne, dalla seconda metà degli anni ’70, una figura di primo piano.

Dopo gli accordi italo-jugoslavi di Osimo, aderì al movimento di protesta che s’era sviluppato in città e che diede luogo alla costituzione della Lista per Trieste, movimento largamente maggioritario, come risultò alle elezioni amministrative, quando sbaragliò i partiti con riferimenti nazionali. Mattioni, diversamente da altri intellettuali triestini (Tomizza, ad esempio, e Mascherini o i pittori Spacal e Sormani), fu candidato dal cosiddetto “Melone” e si impegnò in quella vivace campagna elettorale, senza tuttavia procacciare voti per sé, comprendendo di essere distante, per indole e interessi, dalla politica attiva. Sempre di più, difatti, lo assorbiva il lavoro di narratore, esercitato metodicamente, chiudendosi per quel paio d’ore che separavano il ritorno dall’ufficio all’ora di cena. Come testimonia la figlia: “scriveva di getto, per un romanzo non ci metteva mai più di un paio di mesi. Poi ribatteva il testo a macchina in due copie su carta velina (revisione contestuale) e lo consegnava a mia madre, da sempre la sua prima lettrice”.

L’attività di narratore lo aveva portato a pubblicare con Adelphi, dopo i racconti editi da Einaudi col titolo Il sosia, il romanzo Il re ne comanda una (1968, seconda edizione 1969) i racconti di Palla avvelenata (1971); e ancora i romanzi Vita col mare (1973) La stanza dei rifiuti (1976) e Il richiamo di Alma (1980), finalista al Campiello. Quest’ultima opera segna, inopinatamente, una battuta d’arresto nella carriera dello scrittore, dal momento che Adelphi gli rifiuta ulteriori pubblicazioni e così Mattioni si rivolge a una piccola Casa editrice milanese, Spirali, che non si affacciava certo sul grande mercato editoriale a livello nazionale, per i tipi della quale pubblicherà comunque quattro altri romanzi. Il rifiuto di Adelphi è vissuto con sconforto dal Nostro, che incomincia ad accarezzare l’idea di non pubblicare più, anche se continua a scrivere con la consueta metodicità, occupandosi di storie maggiormente calate nell’attualità, rese con un periodare più asciutto e stringato.

Il frutto del suo lavoro “da romanziere inedito” non è tuttavia perduto: con un gesto di grande generosità, proprio qualche settimana fa, nel marzo di quest’anno, la famiglia ha donato all’Archivio di Stato di Trieste quarantanove faldoni che costituivano l’archivio del loro congiunto. In essi, oltre ad appunti, alla corrispondenza, alle recensioni, una serie impressionate di inediti, tra i quali sette romanzi, più uno incompleto, come ci anticipa nel settimo capitolo del suo prezioso volume Cgiara Mattioni. È reso quindi disponibile agli studiosi un patrimonio documentale di primario interesse per aggiungere ulteriori particolari alla conoscenza di questo autore che si è rivelato come uno dei più importanti e originali nel panorama letterario giuliano della seconda metà del Novecento.

Premessa ormai ineludibile di ogni accurata ricerca in quella miniera di carte il libro di Chiara Mattioni, che compone un’immagine a tutto tondo dell’attività letteraria del padre, accompagnando il lettore in una lunga passeggiata nella biografia dell’impiegato triestino “maestro di storie”, nei mondi della sua creatività, persino nella topografia della sua Trieste, descrivendo gli “itinerari di una città che non esiste”, come li definisce l’Autrice, ma anche compendiandone la fortuna critica, arricchendo il tutto da un completo apparato iconografico e, da ultimo, da una serie di testimonianze di quanti hanno avuto la ventura di conoscere personalmente lo scrittore.

 

Copertina:

 

 

Chiara Mattioni

L’impiegato triestino

maestro di storie.

Vita di Stelio Mattioni

in una città perduta

EUT, Trieste 2016

  1. 240, euro 14,00