Il ricettario di casa Marchig

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Schmarrn, l’anello di congiunzione di Laura Marchig tra passato, presente e futuro

di Elis Deghenghi Olujić

 

Laura Marchig, fiumana di nascita, è intellettuale colta e raffinata, direttrice dal 2004 al 2014 del Dramma Italiano, Compagnia Stabile italiana che opera in seno al Teatro Nazionale Croato “Ivan de Zajc” di Fiume, caporedattrice dal 2003 al 2009 della rivista di cultura «La Battana» (EDIT, Fiume) e per molti anni giornalista specializzata in argomenti culturali del quotidiano «La Voce del Popolo» (EDIT, Fiume). Donna eclettica, Marchig è anche traduttrice, critico e regista teatrale, autrice di testi poetici, di saggi e racconti, performer e realizzatrice di progetti in cui unisce la poesia al teatro e alla musica jazz, quella che predilige per il suo ritmo sincopato, per il linguaggio altamente espressivo e insieme sofisticato. Nel 2008 il Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano le ha conferito il titolo di Cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia.

Laura Marchig ha al suo attivo numerose raccolte poetiche premiate ad importanti concorsi e tradotte in diverse lingue. È del 2009 la raccolta T(t)erra, edita dalla Casa editrice EDIT di Fiume quale diciottesimo volume della collana «Altre lettere italiane». Dopo la raccolta Dall’oro allo zolfo, data alle stampe nel 1998 nell’ambito della collana «Biblioteca Istriana» (Unione Italiana di Fiume/Università Popolare di Trieste), T(terra) conferma l’autenticità della produzione lirica di questa originale voce poetica, tra le più interessanti della contemporanea letteratura italiana istro-quarnerina. Già pluripremiata e apprezzata autrice di sillogi poetiche, l’autrice fiumana si è cimentata nella narrativa con un singolare e coinvolgente romanzo, Snoopy Polka, sottotitolato “noir balcanico”, pubblicato nel 2015 dalla casa editrice Oltre Edizioni di Sestri Levante nella collana «Narrazioni» curata da Diego Zandel. Nel 2020 il romanzo, pubblicato da Shura Publikacije di Abbazia, è stato tradotto in lingua croata da Lorena Monica Kmet, nota per essere la traduttrice in lingua croata delle opere di Fulvio Tomizza. Nel settembre 2021 nel quinto numero di Letture del mensile
Il Ponte rosso Marchig ha pubblicato in formato digitale Dell’amore oscuro, una «sinfonia della vita in trenta sezioni», come evidenzia Fulvio Senardi nella pregnante prefazione.

Schmarrn, l’ultimo lavoro di Marchig, è stato pubblicato alla fine del 2022 dalla stessa autrice come parte di un progetto che prevede anche un film, La musica unisce / Il mio mondo in un piatto. Darko Jurković Charlie, compagno di vita dell’autrice e da tempo suo assiduo collaboratore, è interprete e autore delle musiche che accompagnano il film. L’opera, che avvia la collana Biblioteca Fedra, accoglie una lettera della poetessa dignanese Loredana Bogliun e la risposta di Laura Marchig alla medesima, una recensione di Corinna Gerbaz Giuliano e una nota di Milan Rakovac. è stata pubblicata in edizione bilingue italo-croata (la traduzione in lingua croata è di Lorena Monica Kmet) in collaborazione con l’Associazione Stato Libero di Fiume e il P.E.N. Club croato, e realizzata con il sostegno finanziario dell’Assessorato alla Cultura della Città di Fiume, il Consiglio della minoranza nazionale italiana per la città di Fiume e la Comunità degli Italiani del capoluogo quarnerino.

Ci sono libri che sentiamo subito “nostri”, che suscitano una immediata empatia e identificazione emotiva. Talvolta non sappiamo motivare con sufficiente distacco e proprietà critica questa nostra reazione. Sentiamo che tra noi e quel libro si è stabilito quello stesso rapporto di prossimità, tra l’emozionale e l’intellettuale, che Goethe ha chiamato “affinità elettiva”. È il sentimento provato da chi scrive queste righe dopo aver letto Schmarrn, un’opera intima e d’atmosfera, vivissima e palpitante che si legge d’un fiato, e conferma l’autentica vocazione dell’autrice alla scrittura, poetica e narrativa: siamo in prossimità di un testo che ha a che fare con la letteratura, almeno come l’abbiamo conosciuta fino ad ora. In questo «ricettario di famiglia» (questo il sottotitolo del libro), in questa storia personale e familiare scritta dall’interno e narrata attraverso il cibo, in questo ininterrotto ed irresistibile flusso di cronache familiari, di piccoli affreschi domestici, in questa galleria di personaggi ritratti, però, senza alcuna qualità elegiaca o bozzettistica o patetica, ritrovo parte del mio mondo, di quel mondo policulturale dove affondano le radici dell’autrice ed anche le mie: riconosco le caratteristiche di quella Europa, culla e mosaico di molte culture, cui l’Istria e Fiume appartengono, ritrovo l’umanissima rappresentazione di «quel magma transfrontaliero in continua trasformazione» nel quale poggiano i piedi dell’autrice, una trasformazione che connota da sempre luoghi posti “sul giro d’aria” dove diverse mani, in successione, hanno lasciato traccia del loro passaggio, del loro modo d’intendere la vita e il mondo: sono luoghi nei quali cultura di mare e cultura di terra si sono fecondamente mischiate, anche in ambito culinario. L’uso in Schmarrn della prima persona è scontato: serve a dare voce alle emozioni primarie e genuine, quelle emozioni irreversibili offerte dall’esperienza personale, concorre a dare forte concretezza e veridicità a personaggi e momenti determinanti per chi scrive, descritti e commentati da mano maestra: «I miei ricordi / non se li è mangiata la memoria, / non ancora, / per questo cucino, / sguscio dalla mente le ricette / che inquadrano i miei pensieri / nel passato, nel presente, / li proiettano nel fluido, / in quel qualcosa che chiamiamo futuro» (Mangiatori di ricordi).

Mi chiedo quanto possa suonare strano, incomprensibile per molti, il titolo di questa nuova opera di Laura Marchig. Qual è il significato della parola “schmarrn”? Lo spiega l’autrice a p. 55 del libro. Il termine è gastronomico: indica un dolce casalingo di facile preparazione che si ottiene con lo stesso impasto usato per le crespelle e che va spezzettato in padella, meglio se con un cucchiaio («Lo Schmarrn si faceva, seguendo il principio di come era nato, quando accadeva che si stracciasse la pasta per le crespelle. […] Dopo averla fritta [la crespella] in padella, la si metteva su un piatto e la si conciava con un po’ di zucchero e una manna fatta di sciroppo di lampone»). Il titolo è indicativo di come il ricordo di un dolce funga da pretesto per l’urgenza di scrivere una storia personale e familiare, narrata attraverso il cibo e il recupero di antiche ricette riportate in fogli sparsi e ingialliti dal tempo che l’autrice, rientrata dopo una lunga assenza nella casa parentale ubicata nel rione fiumano di Cosala, ritrova nei cassetti e in buste di plastica. Trionfa nell’opera la capacità di innalzare a poesia le vicende di un nucleo familiare, estendendola a un ambiente cittadino che diventa esemplare di un modo di vita salvato dalla scrittura. Nel libro, nel quale testi poetici si alternano a brani di finissima narrativa pregna di raffinato lirismo e nel quale a testi in lingua italiana si affiancano passi in dialetto fiumano tradotti in italiano standard, il cibo è segno di comunicazione domestica e di interazione familiare, è quello degli affetti e della cura, ma è anche un linguaggio parallelo, un punto di vista culturale: la natura e i profumi dei cibi, la loro preparazione sono come tanti capitoli sulla specificità d’una cultura che si manifesta anche attraverso le abitudini e le pratiche alimentari di una famiglia e di un’intera comunità, pratiche e abitudini intese come rinnovato ambito di autorappresentazione e autoricostruzione identitaria. Proprio perché il cibo è linguaggio, è veicolo comunicativo e identitario della cultura di appartenenza, ma è anche contenitore simbolico della propria esperienza, di quella Erfahrung che hegelianamente forgia l’immaginario e la coscienza di sé di una persona ancorandola ad uno specifico contesto sociale e familiare, non è facile negare il nesso tra “l’essere” e il “mangiare”, ossia tra identità individuale e cibo: lo conferma anche quest’opera, perché gli occhi di Marchig si affacciano con meraviglia alle pentole scoperchiate della madre, delle nonne, delle zie ma anche del padre, tanto parco nel mangiare quanto esigente quando si tratta di consumare il piatto chiamato «eterna ricerca del sapere», un padre che in «una casa travolta dai libri» ha trasmesso alla figlia la passione per la lettura impartendole «un’educazione fondata sui principi dell’illuminismo laico, del liberalismo». Quel padre severo, che aveva fatto proprio il «motto kantiano di “libertà, uguaglianza e indipendenza”», le ha impedito di leggere un unico libro: il Mein Kampf, è stata l’unica sua censura. Dopo la morte del padre Marchig si è assunta la “responsabilità” di leggere quel libro inserito dal genitore nell’indice dei libri proibiti. La lettura del libro è stata un bene, dichiara l’autrice, perché «non ci devono essere libri proibiti»: da quella lettura Marchig ha ricavato lo stimolo per creare un intero menù costituito da tre portate. La descrizione dei piatti è stupefacente, grottesca ed esilarante, genera in chi legge un groviglio indescrivibile di emozioni. Lo stile è corrosivo, travolgente, esuberante, mentre il tono è quello aspro e spietato della satira, lo stesso praticato abilmente dall’autrice nel romanzo Snoopy Polka.

Di fronte all’idea perorata da Marchig che sia più giusto parlare di radici plurime e interconnesse o rizomatiche, in relazione alle radici storiche di una cultura e civiltà, e di fronte all’idea che le tradizioni culinarie in Istria e a Fiume per secoli si siano intrecciate creando delle inattese quanto originali sintesi, rimane pur tuttavia la percezione che anche l’autrice di Schmarrn, intenta a restituire ciò che può dell’umanità vissuta nell’atavica casa di Cosala, attribuisca un ruolo privilegiato e consideri prioritarie le proprie radici, la memoria della propria gente, di quella «genia le cui origini si perdono in quel complesso ambito etnico, linguistico, culturale ampliamente conosciuto con il nome di Mitteleuropa», e il sogno della propria infanzia. Le esperienze legate a percezioni psichiche e a momenti fondativi vissuti nella prima infanzia e nell’adolescenza sono costellate da rituali legati ad alimenti e pietanze i quali negli anni si caricano di valenze mitiche e rimandi simbolici ad una serie di eventi e di scenari che contribuiscono fortemente a costituire l’identità “originaria” di ogni individuo: un’identità che tuttavia Marchig, la quale rivendica il suo background culturale e familiare misto, reputa essere il risultato di un processo incessante, di un percorso sempre in fieri che implica l’accettazione del mutamento: «La vita diventa prigione di fatica e dolore per chi non accetta il cambiamento».

Il giardino/orto è completamento della casa di Cosala, ne prolunga l’essenza e l’apparenza, è la parte forse più importante del rammemorare, un luogo strategico dove corre il confine tra pubblico e privato. Luogo di felicità, dove la realtà si trasfigura in ebbrezza di sensazioni e di visioni interiori, di epifanie che formano il tessuto poetico dell’opera, esso è una sorta di epicentro, di santuario per la famiglia dell’autrice che ne fa uno dei suoi altari: «sono la Regina di questo orto, / sua umile serva», confessa nella lirica Madonna della Misericordia. Descritto nelle diverse ore del giorno e nelle diverse stagioni quel luogo edenico pur nella sua imperfezione (la terra è argillosa, non adatta nemmeno alla coltivazione delle carote che quando vengono raccolte sembrano «esperimenti da laboratorio, stelle difettose a cinque o sei o sette punte, poppe di vacca stanche e disperate, senza più vitello da allattare»), stimola l’immaginario dell’autrice, sollecita i suoi sensi, assume il ruolo di catalizzatore delle sue riflessioni, scandisce la vita intima e crea l’atmosfera necessaria perché lo sguardo si posi amorevole sulle creature che lo popolano, finanche quelle dannose come gli afidi e le cimici delle piante, perché anche queste hanno diritto d’esistere. Quell’orto ha una valenza simbolica: è la testimonianza di quanto sia necessario accettare il cambiamento di cui sopra per impedire che la vita vada sprecata in inutili e deleteri rimpianti e farlo, suggerisce Marchig, “coltivando” la mente e dando libero spazio a quella sana curiosità che sono lo strumento imprescindibile «attraverso il quale è possibile scoprire nuovi orizzonti»: «Gli orti sono la prova regina del fatto che i mutamenti fanno parte dell’ordine delle cose e che gli strascichi del dolore e le nostalgie non siano che un mal adattamento all’idea che viviamo in un tutto in continua evoluzione ed in continuo movimento. Un orto si trasforma di stagione in stagione, di giorno in giorno, e non tenta di rimanere avvinghiato con le radici all’idea di un presente continuo».

Con Schmarrn Marchig realizza due compiti che si è prefissa: rafforzare il legame tra la propria attuale esigenza di aderire alla vita e alla realtà presente e al contempo dare voce a quella lunga catena di insegnamenti morali e di valori consegnati in primo luogo da genitori e parenti, ma anche dalla memoria abissale e stratificata che hanno i luoghi, gli oggetti, i beni materiali tra i quali la casa, origine e incrocio di vite, perno di ogni nuova partenza e resa dei conti di ogni ritorno, luogo di raccoglimento in sé e di accoglienza. Nella casa a Cosala l’autrice coabita con quei «segreti ospiti», con quegli «alati trasmuti angeli d’oro», con i “fantasmi buoni” che in quella casa sono vissuti prima di lei, già evocati nella lirica Angeli della casa della sezione To them della silloge T(t)erra. Di questa casa e del suo orto Marchig è un “guardiano provvisorio”: mantiene in vita tradizioni e abitudini, si premura di tenere in ordine la cucina «perché i fantasmi / possano passeggiare senza intoppi» (dalla lirica Ed ora… posta in chiusura dell’opera a mo’ di epilogo), è impegnata nel recupero e nella salvaguardia di parole (anche dialettali) e saperi relegati sovente in spazi di marginalità e in ambiti esclusivamente domestici. Custode «di questo piccolo templio di famiglia», Marchig sente il bisogno di passare il testimone, di condividere e lasciare in eredità alle future generazioni l’amore per il passato, di lasciare tracce «della nostra presenza, in altre mani». Si comprende allora il significato della dedica dell’opera al figlio Martino, al quale ricorda di cospargere lo “schmarrn” con sciroppo di lampone come indicato dalla nonna Maria Triscoli in Marchig, «la generalessa», «simbolo di un’Europa di mezzo che ha contribuito a definirci, ma che non sarà mai più la stessa» (A Martino, ricordandoghe de no’ dimenticar / che sora ghe va el sciroppo de frambua).

 

Laura Marchig

Schmarrn

Ricettario di famiglia

Umjetnička organizacija

Fedra art projekt, Rijeka 2022

  1. 254, euro 19,00