Il Serse di Hndel secondo Dantone

| | |

In un CD il melodramma di Händel con l’Accademia bizantina e un cast accordatissimo, diretti da Ottavio Dantone

di Luigi Cataldi

 

Il Serse di Händel è fra i pochi melodrammi settecenteschi rappresentati e incisi con una certa continuità. Un recente CD autoprodotto (HDB SONUS, 2022) trasmette la parte sonora di un allestimento andato in scena nel 2019 al Teatro Valli di Reggio Emilia e offre l’occasione di un ascolto singolare. Ottavio Dantone (adattamento musicale, direzione e cembalo), l’Accademia bizantina e un cast accordatissimo offrono dell’opera un’esecuzione filologicamente rigorosa (nonostante la soppressione dei cori e numerosi tagli) e adatta all’orecchio moderno.

«È così facile l’intreccio di questo dramma, che farebbe annoiare il lettore […] fargliene la spiegazione», si legge nell’avviso al lettore del libretto stampato per la prima, andata in scena al King’s Theatre Haymarket di Londra il 15 aprile del 1738. Ecco allora l’intreccio «così facile». Serse (fu il gran re dei persiani dal 519 al 465 a.C.) ama Romilda, che invece ama, riamata, il di lui fratello Arsamene. Ma pure la di lei sorella, Atalanta, ama Arsamene e trama perché il re coroni il suo amore, e lei sia così liberata della rivale. Ci sono poi Amastre, amante abbandonata di Serse, che lo segue in abiti maschili per indurlo a ravvedersi, Ariodate, principe comandante dell’esercito persiano, padre di Romilda e di Atalanta, e Elviro servo buffo di Arsamene. Non servono a favorire le nozze del re le lusinghe del trono, la messa al bando di Arsamene, gli inganni di Atalanta. Serse, alludendo a se stesso, annuncia ad Ariodate che Romilda avrà sposo uguale a lui, Ariodate pensa si tratti di Arsamene e fa subito celebrare le nozze. Dopo funestissima ma breve ira, Serse, riconosciuta Amastre, si pente e la sposa, mentre Atalanta cercherà altrove un altro amante.

Non c’è nulla di serio in quest’opera seria. Oltre a Elviro coi suoi lazzi, tutti i nobilissimi personaggi in scena si offrono al ridicolo, con i loro eccessi d’ira, di gelosia, di ipocrisia, di coraggio fuori posto (per combatter guerre d’amore anziché d’armi). Lo si avverte fin dalla prima scena. C’è Serse innamorato di un platano. «Ombra mai fu / di vegetabile, / cara ed amabile / soave più», canta. L’ironia sta nella scena, non nella musica, ispirata e sentimentale. È il celebre Largo händeliano, la cui composizione ci conduce a un furto e non il solo. Händel ha preso, per porli, rielaborati, in questa e in altre opere, molti spunti musicali dal Xerse di Giovanni Bononcini (Roma 1694), oltre al libretto di Silvio Stampiglia tutto intero (che fece poi aggiustare per le sue esigenze da autore anonimo). Il melodramma di Bononcini è notevole, ma non si trova alcuno che non ammiri il ladro per il capolavoro che ne è uscito. Peraltro la refurtiva era già stata trafugata. L’originale è il Xerse che Francesco Cavalli ha composto su testo di Nicolò Minato e fatto rappresentare al Teatro SS. Giovanni e Paolo di Venezia nel 1655. A quell’epoca la Serenissima era impegnata nella guerra di Candia (1645-1669) contro l’impero Ottomano. La guerra ebbe esito infausto, ma vi era appena stata una vittoria nell’Egeo centrale (1655), che alimentava l’orgoglio militare in città. Ne parla anche il prologo del Xerse e un gruppo di accademici, gli Imperfetti, di cui Minato era animatore, sostennero che Venezia contro i Turchi emulava l’eroismo dei Greci contro Serse. Ecco spiegata l’ironia contro il re persiano nelle scene derivate da Erodoto (Storie, VII, 31 e 34) del platano e del ponte di barche sull’Ellesponto, di cui si mostra non l’edificazione, ma il crollo fra i lazzi di Elviro.

Ma la storia dei prestiti non finisce qui, perché Minato aveva ricavato le scene dell’azione principale dalle Ingelosite speranze (1651) di Raffaele Tauro il quale, con aggiustamenti suoi, non aveva fatto altro che tradurre Lo cierto por lo dudoso (1625) di Lope de Vega. La commedia lopiana è ambientata a Siviglia nel giorno di S. Giovanni e mette in scena la rivalità amorosa di re Pietro I di Castiglia e Leon (il personaggio storico a cui si ispira regnò dal 1300 al 1359) e del fratellastro don Enrique per donna Giovanna. Dunque il bell’impianto drammaturgico è di Lope de Vega, la traduzione italiana di Tauro, l’ambientazione persiana con l’aggiunta delle scene erodotee di Minato, poi ci sono le musiche di Cavalli, di Bononcini e di Händel.

I londinesi non apprezzarono molto la versione händeliana di questo melodramma, che, dopo sole cinque recite, fu dimenticato fino al 1924, quando una ripresa a Göttingen aprì la strada all’apprezzamento dei contemporanei. Opera troppo moderna e poco regolata per il pubblico, abituato al rigore del melodramma metastasiano, in cui l’azione procede solo nei recitativi e le arie sono tutte con da capo e tutte d’uscita. Nel Serse i recitativi sono brevi e le arie di varia forma e posizione (d’uscita, d’entrata, al mezzo, con e senza da capo). Troppo moderna, forse perché troppo antica, visto che il modello più prossimo è quello del melodramma del Seicento, scolpito nel libretto di Minato e in gran parte mantenuto da Händel. Rudolf Steglich, curatore dell’edizione critica della partitura (Halle 1958), sostenne con ragione che Serse «rappresenta una tappa importante nello sviluppo dell’opera seria barocca verso il dramma giocoso di Mozart». Ed effettivamente si avverte nel Serse quello che Mozart chiamava «divino dileggio», forse perché fra i libretti del Seicento veneziano, che ne sono pieni, andò spesso a curiosare anche l’altro creatore del dramma giocoso: Lorenzo da Ponte.

Oltre ai flauti già previsti da Händel, Dantone dà maggior colore all’orchestra con due oboi e un fagotto, che sostituiscono o raddoppiano alcune parti degli archi e vivacizza la parte improvvisata del basso continuo alternando o sovrapponendo cembalo, arciliuto, violoncello e violone. L’orchestra è duttile e in perfetto accordo con le voci.

La parte principale, che Händel scrisse per Caffariello, uno dei più celebri castrati del tempo, è affidata a Arianna Vendittelli, soprano robusto nei toni acuti e capace di scure coloriture in quelli gravi. L’interprete rende del personaggio i toni di sincero, ma ingenuo trasporto amoroso (Ombra mai fu), di ira e disperazione (Se bramate d’amar chi vi sdegna), di scoraggiamento (Di tacere e di schernirmi) con efficacia e, sicura dei propri mezzi, in perfetto affiatamento con l’orchestra, si congeda con un’aria di virtuosismo estremo, Crude furie degl’orridi abissi. Serse si innamora non di una donna, ma di una voce che canta. È quella di Romilda, il cui amore è cementato dal dispetto verso il re (evidente nel duetto L’amerete? L’amerò) e della gelosia verso la sorella (Se l’idol mio rapir mi vuoi), caratteri che Monica Piccinini, con voce limpida, rende con essenzialità. Anche per Arsamene la costanza nell’amore è frutto dell’incostanza dei sentimenti. Marina de Liso coglie del personaggio le velleità (Sì, la voglio e l’otterrò), il vittimismo (Meglio in voi col mio partire), la teatrale disperazione (Amor, tiranno amor). È fantasiosa nelle coloriture delle riprese, accurata nelle sfumature e nei fraseggi. Atalanta ordisce inganni e trame che facilmente si sventano. Il suo palese egoismo, di fronte a quello dissimulato degli altri, suscita simpatia più che risentimento. Francesca Aspromonte ne esalta l’umanità (Voi mi dite che non l’ami) e la spigliatezza (Un cenno leggiadretto). È agilissima nei fraseggi e precisa nelle coloriture, forte nell’emissione, spontanea nella recitazione. Delphine Galou, contralto agile e raffinato, non forza i toni della furiosa Amastre, ma li affronta con agilità e decisione (esemplare è Saprà delle mie offese). Luigi De Donato, basso profondo a suo agio anche nella parte acuta del suo registro interpreta efficacemente il carattere fatalista e un poco stordito di Ariodate. Elviro, corrispettivo musicale del “gracioso” di Lope, è Biagio Pizzuti, baritono capace di alterare a scopi comici la sua agile voce.