Lo Stuparich di Senardi

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L’incancellabile diritto ad essere quello che siamo. La saggistica politico-civile di Giani Stuparich

Sulle tracce di un intellettuale dalla Voce di Prezzolini alla guerra, al fascismo, a un’altra guerra e a quanto ne seguì

Il saggio di Fulvio Senardi […] si propone come un attento esame di una complessa stagione culturale e intellettuale triestina

di Roberto Spazzali

 

Non si esaurisce a Trieste l’interesse per Giani Stuparich e il recente lavoro di Fulvio Senardi, intitolato L’incancellabile diritto ad essere quello che siamo. La saggistica politico-civile di Giani Stuparich, edito dalle Edizioni Università di Trieste (2016) con l’egida dell’Istituto giuliano di storia cultura e documentazione e il contributo della Fondazione CrTrieste, si pone a spartiacque nella copiosa letteratura che si è occupata finora dell’illustre scrittore triestino. Esulante il discorso propriamente critico-letterario – già affrontato da diversi autorevoli studiosi -Senardi orienta la sua osservazione sulla produzione saggistica, ben vero altrettanto esaminata e scandagliata, ma qui posta in attenta correlazione con le vicende biografiche. Il risultato, assai apprezzabile, è appunto un discorso storico che intreccia le vicende personali, le scelte, gli orientamenti, puntualmente rilevati in una misurata quanto significativa produzione. Senardi va diritto al cuore del problema, quando si tratta di esaminare la correlazione, e con essa la coerenza, del pensiero di Stuparich saggista e la continuità o discontinuità del suo impegno intellettuale. Infatti, uno dei primi elementi che emerge dal libro di Senardi, è l’intenzione di offrire uno Stuparich molto lontano da quell’immagine che si stata costruita sulla sua personalità ma che egli stesso ha contribuito alimentare. E in questo senso ci sono diverse analogie tra l’opera di Fulvio Senardi e quella di Roberto Damiani che allora non trovò ampi consensi forse perché metteva in discussione lo stereotipo diffuso.

Ma ciò non riguarda che in parte il lavoro di Senardi il quale parte da lontano, ovvero dai lidi dell’irredentismo dal quale presero il largo verso disparati orizzonti non pochi intellettuali triestini della prima metà del Novecento. Quella giovane generazione, formatasi a cavallo dei due secoli, che interpretava l’irredentismo come movimento riformatore e rivoluzionario di elite in grado di imprimere una chiara impronta di modernità che vorrebbe essere pure una svolta politica. Fallendo però l’obiettivo o perlomeno cambiandolo in corso d’opera; così che ciò che doveva essere espressione di modernità diventò fattore di conservazione, con l’affermarsi della lotta per la sopravvivenza nazionale, in primo luogo contro i tentativi di germanizzazione da parte dell’Austria, nella cui lotta italiani e sloveni del Litorale sembrano per un momento alleati, e poi tra questi ultimi in una competizione per il primato nazionale, politico ed economico su Trieste. Giani Stuparich vedeva delle analogie tra italiani e sloveni ma non coglie le differenze di fondo, quali l’aspirazione a una propria identità nazionale che non poteva trovare spazio nel disegno di unificazione con l’Italia, per cui anch’egli riteneva che l’assimilazione linguistica e culturale era inevitabile. Una valutazione non molto diversa di molti suoi coetanei intellettuali italiani di Trieste che non avevano contatti con il mondo culturale sloveno e forse ne ignoravano l’esistenza. Sarà poi lo Stuparich affascinato dal mondo ceco, che avrà modo di conoscere nel suo soggiorno a Praga, e in particolare dalle sue dinamiche di affermazione che riconosceva simili a quelle attuate parzialmente dagli italiani del Litorale austriaco ma che non vedeva presenti tra i conterranei sloveni. E invece c’erano.

Comunque Fulvio Senardi riconosce in Stuparich la sensibilità di uno scrittore civile – nel conio di giudizio espresso da Elio Apih – che vedeva nell’arte e la cultura i luoghi in cui esercitare maggiormente le finalità educative e nella scuola lo spazio del “lavoro”, quanto poteva essere la famiglia quello della “consolazione”.

Certamente il peso della morte di suo fratello Carlo graverà su Giani, provocando una profonda cesura esistenziale tra un prima e un dopo coincidente pure con la Grande guerra. E avrà pure il tempo di esaminare non solo il senso di quelle scelte irredentiste ma anche il prezzo pagato sul piano personale. Senardi mette bene in luce il serrato esame di coscienza presente in Trieste nei miei ricordi, un’autobiografia che non fa sconti a sé stesso e alla sua generazione, ma che non si traduce in qualcosa di più incisivo: prevale l’animo moderato dell’uomo Stuparich, fondamentalmente conservatore per scelta, che ripiega sulla scuola e nella scrittura narrativa a supplenza di un mancato impegno etico-ideologico negli anni dell’ascesa del fascismo e poi del regime. È medaglia d’oro al valor militare e continua ad essere un buon patriota di cauta ispirazione mazziniana – una scelta risalente agli anni giovanili dopo qualche simpatia per l’austromarxismo quale antidoto ai nazionalismi morbosi – il quale da altrettanto buon italiano della Venezia Giulia, ma non nazionalista, si preoccupava per le aspirazioni del mondo slavo in contrasto con quelle italiane, magari senza esibire tratti di slavofobia.

Fulvio Senardi si sofferma più volte sulla delusione provata dalla generazione”redenta” di Stuparich – una generazione comunque sopravvissuta all’olocausto della trincea e che se fosse rimasta integra avrebbe sicuramente segnato un altro destino per Trieste – davanti un’Italia reale così profondamente diversa da quella immaginata, dove i reduci sono qui i vinti, cioè gli ex nemici ora diventati sudditi italiani, dove mancava del tutto un programma politico, dove erano evidenti i vuoti lasciati dal declino dei liberalnazionali e dalla crisi dei socialisti. Vuoti riempiti rapidamente dai velleitarismi rivoluzionari dei repubblicani e dei legionari fiumani, dallo squadrismo fascista, dai nazionalismi, dal massimalismo, dal comunismo. Ciò può anche spiegare uno dei tanti motivi che portarono Stuparich a prendere le distanze, a farsi critico verso le barbarie della guerra, a sentirsi moralmente preoccupato per quell’affermato stile mentale in cui la guerra era sempre più modo di vita.

Però Senardi ricorda che quella generazione di Stuparich abdicò davanti a Mussolini e non si oppose al fascismo, tanto che lo scrittore triestino non aderì alle iniziative dell’antifascismo – fin quando ciò era pubblicamente permesso – facendosi invece interprete di un antifascismo senza ideologie (è il giudizio di Elio Apih), per principio culturale e ripudio della violenza. Certo, Stuparich, da spirito moderato, prende le distanze dal fascismo, ma non obietta il senso dell’ordine e della conservazione e non avrà contatti con il mondo degli esuli antifascisti. Non fece alcuna riflessione sulle leggi razziali che lo riguardarono assai direttamente. Certamente Giani Stuparich visse momenti doppiamente difficili, rispettato con algida indifferenza e snobbato nella sua attività letteraria, a cui si devono doverosamente aggiungere le leggi razziali che colpirono sua madre, sua moglie e lui di conseguenza. Non è qui il caso di rinfocolare le polemiche suscitate dalla scoperta fatta da Senardi di una tardiva iscrizione di Giani Stuparich al Partito fascista, nel febbraio 1940. Più che debolezza o conformismo, così interpreta Senardi quell’atto che sicuramente gli pesò, si deve pensare alla volontà di difendere la propria attività e dignità intellettuale e con essa di porre a riparo la sua famiglia dagli effetti di uno squadrismo razzista che tornava a menare le mani.

Va da sé che Stuparich non farà mai accenno all’episodio, lasciandolo sepolto nel proprio intimo. Nei mesi dell’occupazione nazista – soffrendo l’arresto e la reclusione nella Risiera di San Sabba da cui sarà tratto grazie alla forte intercessione di tutte le autorità italiane presenti a Trieste – egli si accosterà all’attività del Comitato di liberazione nazionale, per tramite dei vecchi amici repubblicani, ma senza farne parte. Scriverà i testi di due volantini commemorativi Nazario Sauro e Guglielmo Oberdan, rifiuterà qualsiasi incombenza o incarico politico allora e dopo, salvo poi farsi animatore del Circolo della cultura e delle arti, cioè il suo ambiente dove dimostrò senza dubbio notevoli capacità di promozione ed organizzazione culturale.

Nel dopoguerra è autorevole firma per la La nuova Stampa di Torino ma non si occuperà delle correità dell’italianità giuliana col fascismo, adottando piuttosto la tesi crociana del fascismo come parentesi della storia italiana. Anzi, secondo Fulvio Senardi, lo scrittore triestino, chiuso nel suo mondo, continua l’opera di difesa ad oltranza delle scelte del ’15 – siamo pure negli anni caldi della questione di Trieste – in cui egli si sente investito da una personale “missione spirituale” per Trieste, sostenendo l’idea della difesa dell’identità italiana, senza mai un accenno alla presenza cittadina di un’altrettanto vigorosa cultura slovena. Ci sarà, questo sì, nel 1952 un tentativo, lambito, di cogliere alcune contraddizioni presenti a Trieste: l’istinto di conservazione, la difesa oltranzista dell’identità italiana, la sensibilità per il progresso e la scienza. Ma egli non vedeva strumenti per combinare i fattori oppure modi per superare le criticità e, appunto, le contraddizioni.

Il saggio di Fulvio Senardi va oltre una bio-bibliografia ragionata della saggistica stupariciana, e si propone come un attento esame di una complessa stagione culturale e intellettuale triestina. Gli spunti di intelligente provocazione non mancano.

 

 

Copertina:

 

Fulvio Senardi

L’incancellabile diritto ad essere

quello che siamo≫

La saggistica politico-civile

di Giani Stuparich

EUT, Trieste, 2016

  1. 310, Euro 20.

Il volume è anche scaricabile

gratuitamente dal sito

https://eut.units.it/