IL TEMPO DIPINTO A OLIO

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IL TEMPO DIPINTO A OLIO

Personale di Alessandro Calligaris a Trieste, nella sala della Piccola Fenice

 di Walter Chiereghin

 

 

Fin dai primordi della sua storia, la pittura ha dovuto fare i conti con la rappresentazione di quanto esula dalle dimensioni di larghezza e altezza cui l’artista è costretto dalla bidimensionalità del foglio, o della tela, o della parete sulla quale disegna o dipinge. Attorno al problema di riprodurre illusionisticamente la terza dimensione, quella della profondità, si sono arrovellati artisti e teorici, a partire dalla raffigurazione di scorcio, sperimentata per la prima volta nella pittura vascolare greca, per poi trovare un più scientifico e realistico compimento grazie agli studi sulla prospettiva nel nostro Rinascimento e poi ancora successivamente, fino al secolo scorso.

Inserire poi ancora un’altra dimensione, quella del tempo e del suo fluire, ha implicato ulteriori e in parte insormontabili ostacoli, cui tuttavia si è cercato di ovviare, ricorrendo per secoli all’allegoria (a Trieste un esempio a tutto tondo è La Gioventù che cerca di trattenere il Tempo, di Donato Barcaglia, custodito al Revoltella), o più recentemente agli sperimentalismi delle avanguardie del Novecento, a partire dal Futurismo.

Di necessità, chiunque tenti di inserire una dimensione temporale e, soprattutto, una riflessione sul fattore tempo all’interno di un’opera figurativa non può non valersi di figurazioni di accentuato contenuto simbolico: basti pensare agli orologi molli di Salvator Dalì in pittura, ma anche a tutta una serie di situazioni nel cinema di Igmar Bergman (L’ora del lupo, la scena dell’incubo del Posto delle fragole , ma soprattutto alla scena della partita a scacchi con la morte nel memorabile Il settimo sigillo, scena, quest’ultima, cui direttamente sembra ispirarsi uno dei dipinti esposti nella mostra della quale, finalmente, iniziamo a parlare).

Rappresentare il tempo è, non da oggi, un leitmotiv ricorrente nella produzione di Alessandro Calligaris, che anche in quest’occasione espositiva alla Sala Piccola Fenice di Trieste approfondisce una volta di più, con oli di generose dimensioni, la tematica che lo affascina e in qualche modo lo sovrasta, come, a ben riflettere, succede a tutti noi.

Nei dipinti di questo autore, che ha saputo affrancarsi agevolmente dalle leziosità sempre in agguato per chi eserciti una consumata perizia iperrealista, il tempo è rappresentato in forma di allegoria, attraverso gli strumenti – clessidre, meridiane, orologi – che sono stati inventati per misurarne l’incessante procedere. Ma la riflessione che compie Calligaris sul rapporto tra uomo e tempo non si limita certo alla banalità di tale rappresentazione allegorica: ciascuno degli altri elementi che di volta in volta entrano nello spazio scenico approntato dall’autore esplicita un nuovo capitolo del suo serrato confronto con la percezione del tempo. Si perviene così a riflessioni che si concretano nella sabbia che sfugge dalle dita semiaperte attorno a un orologio per trasformarsi in sangue che cola stilla a stilla, ineludibile epilogo di un’età che è ormai decrepitezza, oppure nella catena dorata che descrive il tempo come negatore della libertà.

Altre esplicite metafore sono nel carnet di Calligaris, nelle quali quasi sempre è accennata una presenza femminile: penso al toccante La fine di un tempo, dove una clessidra ha esaurito lo scorrere della sabbia al suo interno e questo scadere del tempo è drammaticamente reso da due mani, l’una maschile, l’altra femminile che, protese l’una verso l’altra senza più toccarsi, segnano un distacco acerbo e senza rimedio. Oppure all’inquietante partita a scacchi alla quale già si è accennato parlando del film di Bergman. O ancora nella moneta che mette in assonanza l’immagine col detto “il tempo è denaro”, che svela in una serie opprimente di ruote dentate  il perverso meccanismo che è sotteso a tale modo di dire, che implica un tempo venduto, il costo disumano di un’alienazione che solo gli affetti (ancora una volta la mano protesa di una donna) possono contrastare.

Come si vede, una pittura densa di riferimenti, epifania di sofferte e tuttavia lucidissime riflessioni sulla realtà e sul senso della vita. Di quella dell’autore, ma anche di quella di tutti noi.