L’ARIA CHE TIRA

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“L’anno moriva, assai dolcemente. Il sole di San Silvestro spandeva non so che tepor velato, mollissimo, aureo, quasi primaverile, nel ciel di Roma. Tutte le vie erano popolose come nelle domeniche di maggio.”

Così, nel 1889, Gabriele d’Annunzio faceva iniziare Il piacere, il suo romanzo di maggiore e più duraturo successo. Oltre un secolo più tardi, anche l’anno che ora sta finendo muore assai dolcemente, nella Roma celebrata dallo scrittore e, praticamente, nel resto del mondo. Lungi tuttavia dal costituire un accattivante incipit della narrazione di un’intricata vicenda amorosa, il tempo atmosferico che grava con una pesante cappa di smog sulla capitale italiana e sulle altre città del pianeta è forse il più inquietante segno dei tempi (questi ultimi in senso cronologico) che l’attualità ci pone davanti, a livello globale.

Gli aeroporti di Pechino sono paralizzati dall’inquinamento che impedisce una sufficiente visibilità (mentre i ventuno milioni e mezzo di dannati che abitano la capitale cinese sono costretti a respirare quella porcheria allo stato gassoso), la gente gira in maniche corte nella Quinta strada di una New York in questo periodo di solito coperta di neve, la pioggia ha sostituito la neve in Finlandia, persino a Rovaniemi, il paese, oltre il Circolo polare artico, dove vive Babbo Natale.

Tutti elementi che rendono agevole la vita dei cronisti obbligati a riempire quotidianamente un giornale, certo, ma anche segni inequivocabili di un degrado delle condizioni di vita nelle nostre città e in genere del nostro pianeta che fa intravedere una catastrofe finale irreversibile se non si approntano con urgenza e sistematicità opportune contromisure che rendano più respirabile l’aria.

L’uso di combustibili fossili come carbone, gas e petrolio, le attività industriali, la mobilità di persone e merci e la deforestazione sono le prime cause di un intollerabile incremento delle emissioni di gas serra quali il metano, il protossido d’azoto, e l’anidride carbonica (CO2), principale causa del riscaldamento globale. Gli scienziati hanno avvertito che se le emissioni continueranno ad aumentare, supereremo la soglia oltre la quale il riscaldamento globale diventerà irreversibile. È stato calcolato che questa soglia corrisponde a un aumento della temperatura media di due gradi centigradi rispetto ai livelli pre-industriali, ma dai trend delle emissioni attuali siamo avviati verso un aumento di circa cinque gradi. La conferenza di Parigi, conclusasi l’11 dicembre, ha fissato un obiettivo di contenimento al di sotto di un grado e mezzo per i prossimi anni, il che dovrebbe farci tirare un respiro di sollievo. Dovrebbe, appunto, perché siamo ormai avvezzi alle esitazioni, ai rinvii, alle inadempienze, ai ritardi e alle defezioni rispetto agli impegni assunti con la sottoscrizione dei protocolli. Kyoto insegna, e la fiducia in governanti e parlamentari è merce più rara ancora che una boccata d’aria fresca, anche perché essi sono esposti alle pretese di potentati economici e di lobby i cui interessi solo occasionalmente coincidono con quelli del resto dell’umanità.

Sono ovviamente importanti i meccanismi legislativi e i finanziamenti alle necessarie azioni da intraprendere per la difesa dell’aria e in contrasto al surriscaldamento dell’atmosfera, ma quanto oggi appare altrettanto importante è la creazione di una diffusa cultura dell’ecologia tale da modificare il modo di porsi in relazione all’ambiente dei singoli e delle comunità, oltre che delle organizzazioni sovranazionali.

È questo il presupposto per avere qualche speranza di invertire la tendenza, di uscire da questo maledetto tunnel che avvolge le giornate di tanta parte delle terre che abitiamo. Altrimenti, se non dovesse prevalere nemmeno l’istinto di autoconservazione, saremo chiamati prima o poi tutti a combattere un’altra guerra, sporca come tutte le altre, ma combattuta stavolta contro noi stessi, o anche peggio, contro i nostri figli.