Il “terzo occhio” di Mario De Biasi

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Grande retrospettiva del fotografo bellunese alla Casa dei Tre Oci di Venezia

di Michele De Luca

 

Otto anni fa moriva a Milano Mario De Biasi; aveva novant’anni e per decenni aveva documentato il carattere e l’identità degli italiani. La sua fotografia iconica, Gli italiani si voltano, rappresenta la “summa” di questa sua speciale “vocazione”, che resterà nel suo genere insuperata. Era uno dei padri del fotogiornalismo italiano: per mezzo secolo firma di punta di Epoca. Era nato nel 1923 a Sois, in provincia di Belluno, e alla fotografia si era avvicinato in condizioni estreme, grazie ad una guida pratica trovata nel 1945 tra le macerie di Norimberga, dove era deportato. Nel 1953 l’arrivo a Epoca: e poi una solida e intensa carriera, oltre ad una immediata fama internazionale, specie per suoi ritratti alle star del cinema.

Si può dire che De Biasi è stato un “cittadino del mondo”. Ma nel suo sangue vibrava l’anima italiana, che rifulse in una sua serie molto originale, e cioè nella raccolta di baci fotografati in decenni di attività, che, che come s’è detto, gli valse grandi riconoscimenti e mostre nei più importanti musei, dal Guggenheim di New York al Japan Camera Industry Institute di Tokyo. Tante le occasioni espositive anche in Italia, come le recenti mostre “Mario De Biasi – Un mondo di baci”, allestite ad Aosta e alla Galleria Civica di Monza (sua la famosa foto, mitica come quella di Doisneau, del bacio tra due innamorati nella Budepest del 1956), o quella dal titolo “Mario De Biasi, o la Struttura”, attualmente in corso – fino al 27 luglio – alla Galleria 70 di Milano.

Per Epoca, De Biasi ha viaggiato in lungo e largo per il pianeta, dando testimonianza con la sua fotocamera di eventi storici, dalla rivolta ungherese del 1956 (suo vero primo, coraggioso reportage, che gli valse l’appellativo di “italiano pazzo”) all’occupazione sovietica di Praga nel ’68, così come di terribili calamità, dal terremoto del Belice alla fame in Etiopia; ma puntando anche il suo obiettivo, con acuta sensibilità, sulla vita quotidiana della gente, sulle bellezze naturali e architettoniche. Confermando, anno dopo anno, il suo straordinario fiuto dell’evento, colto sempre nei suoi tratti essenziali e “rappresentato” in maniera efficace.

Oltre che fotoreporter, non va dimenticato che De Biasi specie nell’ultimo periodo della sua vita, fu un vero artista, di quelli che “usano” la fotografia come strumento di invenzione creativa e di sperimentazione, passando dal bianco e nero a sondare le potenzialità espressive del colore. Il 1988, nella Torre dei Signori della Porta di Sant’Orso ad Aosta si tenne una sua mostra (“Mario De Biasi. Colori in libertà”) curata da Gillo Dorfles, che così scriveva, sulle pagine del catalogo edito da Musumeci: «Queste immagini hanno il merito e l’inconveniente di essere per molti aspetti affidate al caso, o quanto meno ad un “caso guidato” (come del resto accadeva in molti esempi di pittura informale). Ma questo costituisce anche il loro fascino; nessun pennello potrebbe raggiungere gli stessi risultati. Non solo, ma con questo metodo oltretutto, molte antiche figurazioni, colte da De Biasi nei suoi vagabondaggi nelle più remote regioni del pianeta vengono così a trovare una nuova vita e una inedita utilizzazione. Quei volti e quelle popolazioni che l’incessante ricerca del fotografo aveva captato nei suoi reportage tornano ora ad incarnarsi entro le nuove forme espressive, trasformandosi in qualcosa di ‘altro’, eppure conservanti l’impronta del suo personalissimo stile».

Sono passati oltre vent’anni da quando a questo grande, quanto schivo, fotografo dedicò un bellissimo volume, Mario De Biasi. Fotografia,  professione e passione, la Federico Motta Editore in occasione dell’antologica dedicatagli all’Arengario di Palazzo Reale a Milano, che in un’avvincente sequenza di duecento scatti faceva rivivere l’intero arco della sua carriera; di lui aveva scritto, per l’occasione, Bruno Munari: «La macchina fotografica fa ormai parte della sua anatomia, come il naso e gli occhi». E queste sue suggestive parole risuonano ora nella memoria, con il piacere che desta questa nuova e doverosa attenzione che gli viene tributata con l’allestimento – finalmente – alla Casa dei Tre Oci a Venezia di una grande ed esaustiva retrospettiva, “Mario De Biasi. Fotografie 1947-2003”, curata da Enrica Viganò in collaborazione con l’Archivio Mario De Biasi e organizzata da Civita Tre Venezie e Admira. Va ricordato che si tratta di un suo “ritorno” in grande nella città lagunare, dopo che, dal 16 giugno al 16 settembre 1979, partecipò a “Venezia 79 la Fotografia”, che è stato uno dei più grandi eventi dedicati alla fotografia mai realizzati in Italia, nel corso del quale furono esposte 3.500 foto di 500 artisti e 45 tra i migliori fotografi del mondo i quali insegnarono il loro personale approccio alla fotografia a 1.000 studenti di tutte le nazionalità.

Ci dice Enrica Viganò: «Il fotoamatore neorealista, il fotoreporter di Epoca, il testimone della storia, il ritrattista di celebrità, l’esploratore di mondi vicini e lontani, l’artista visuale, l’interprete di madre natura, il disegnatore compulsivo e creativo. Tutto il suo lavoro è un inno alla vita». La mostra-omaggio alla Giudecca ci offre il racconto dei grandi eventi storici, i viaggi esotici, i ritratti di personaggi potenti e famosi, le scene di vita quotidiana, i volti anonimi, per passare poi al concettuale e all’astratto; ne viene fuori un ritratto a tutto tondo di De Biasi a partire dal fotoamatore neorealista, al fotoreporter di professione, al “testimone” della storia, al ritrattista, all’esploratore di terre lontane, alle sue sperimentazioni formali e alla “scoperta” del colore, all’interpretazione della natura. Le sue fotografie, come sottolinea Denis Curti, direttore artistico della Casa dei Tre Oci, sono brani visivi «di un ‘900 che oggi appare lontano, ma che non smette di muovere curiosità». E di appagare il nostro sguardo, rivitalizzare la nostra memoria, regalarci nuove emozioni.

 

 

Mario De Biasi

Gli italiani si voltano, 1954

© Archivio Mario De Biasi

courtesy Admira, Milano