Il TSFF 33 di nuovo su grande schermo

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di Stefano Crisafulli

 

È bello tornare al Politeama Rossetti, uno dei luoghi di proiezione del Trieste Film Festival n.o 33, assieme al cinema Ambasciatori e al Teatro Miela, e vedere finalmente su uno schermo grande le opere selezionate dai due infaticabili direttori artistici, Fabrizio Grosoli e Nicoletta Romeo, e dal loro staff. L’anno scorso, di questi tempi, eravamo costretti al solipsismo casalingo del festival sulla piattaforma ‘Mymovies’ (che oggi invece si dimostra un’utile integrazione a fine festival, per chi ha perso qualche film), con schermi non adatti alla visione cinematografica e connessioni internet non sempre all’altezza. Certo, ci sono le mascherine e i Green pass che non ci fanno dimenticare la situazione pandemica ancora in atto, ma almeno siamo tornati, come ormai si usa dire, ‘in presenza’. Ed è bene che facciamo tutto il possibile per rimanerci.

Detto questo, il trentatreesimo festival, dedicato quest’anno alle donne, sia come registe, sia come protagoniste delle storie raccontate dai cineasti dell’Est europeo, non ha deluso le aspettative. A partire dal film d’apertura fuori concorso, Evolution (in italiano Quel giorno tu sarai) dell’ungherese Kornel Mundruczo, sceneggiato da Kata Weber, che ha toccato i temi della memoria della Shoah e del trauma subito da più generazioni di famiglie ebraiche disseminandoli attraverso tre storie intrecciate tra loro, sino ad un altro film fuori concorso, Deset u pola (Una storia di vicinato non proprio amichevole), del veterano Danis Tanovic presentato domenica 23 gennaio al Rossetti, che ha saputo descrivere, con leggerezza e intelligenza, la Sarajevo di oggi, presa tra gli effetti nefasti della pandemia e la tentazione di abbandonare uno stile di vita tradizionale per le sirene di una modernità rampante che obbedisce solo al denaro. Tanovic mette in scena un’amicizia tra due ristoratori della città vecchia che rischia di incrinarsi per la smania di uno dei due di non accontentarsi di ciò che ha, ma una sfida per determinare i migliori ‘cevapi’ di Sarajevo metterà poi le cose al loro posto. Tra i documentari va segnalato quello triestino di Giampaolo Penco su Bobi Bazlen – Uno zaino pieno di libri, di cui parliamo a parte, mentre a vincere la sezione è stato Tvornice Radnicima (La fabbrica dei lavoratori) del croato Srdan Kovacevic.

Bisognerebbe, ora, accennare anche ai film in concorso. Va detto subito che a vincere il Trieste Film Festival è stato Intregalde di Radu Montean, almeno così ha decretato la giuria. Però forse avrebbe meritato di più qualche altro titolo, come ad esempio Kelti di Milica Tomovic, a cui è stata attribuita comunque una menzione speciale e che ha vinto anche il premio Cei. Ma, si sa, la scelta non è sempre facile e spesso non mette d’accordo gli addetti ai lavori. Per i cortometraggi, invece, la scelta di premiare il kosovaro Pa vend (Da un posto all’altro) di Samir Karahoda, storia vera di una squadra di ping pong che, per allenarsi, deve utilizzare i luoghi più impensabili, come una sala per matrimoni o un magazzino, è condivisibile, così come il premio del pubblico dato al corto Big di Daniele Pini. Già, i premi del pubblico: oltre a Big, li hanno vinti anche Mrak di Dusan Milic e, con merito, il felice documentario Film Balconowy del polacco Pawel Lozinski. Ma il fatto di votare con il QR code (per motivi ‘ecologici’… forse erano più comprensibili quelli sanitari) non ha aiutato le operazioni di voto, almeno per tutti quelli che non ne possono più dell’onnipresente QR code!

 

Deset u pola

di Danis Tanovic