Per Antonio Fogazzaro

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Anche la letteratura è piena di pregiudizi, e poi è vittima delle mode e del capriccio di veri o presunti maestri che si divertono a smontare il canone letterario per rimontarlo a piacimento

di Alberto Brambilla

 

Per una specie di pena del contrappasso da decenni mi ostino a studiare – o forse sono costretto da un segreto ordine interiore, o magari da oscuri sensi di colpa – gli autori che da liceale odiavo o irridevo o, ancora peggio, ignoravo del tutto. Due nomi su tutti: Carducci e De Amicis, la retorica e le lacrime, le trombe e l’ocarina. Negli anni ho compreso che le cose sono ben diverse da quando ero liceale, che anche la letteratura è piena di pregiudizi, e poi è vittima delle mode e del capriccio di veri o presunti maestri che si divertono a smontare il canone letterario per rimontarlo a piacimento, oplà come sono bravo! Così, a parte i giganti che nessuno (pur smaniando e trattenendosi a stento) osa attaccare, molti scrittori sono di volta in volta innalzati e poi cacciati nel limbo, colpevoli d’essere diventati antipatici, o reazionari o altro ancora. Un esempio da manuale (di letteratura italiana innanzi tutto) è quello del vicentino cattolico (pruriginoso) e modernista e predecadente (Malombra, Malombra!) Antonio Fogazzaro (1842 – 1911). Autore assai prolifico, ebbe molta fortuna in vita e poi fasi alterne sino a precipitare nel dimenticatoio odierno. A parte qualche maniaco, chi legge infatti oggi Fogazzaro? Forse, se ancora è presente nelle storie letterarie o ci sta nel Programma (tagliamo, tagliamo!), qualche diligente stakanovista liceale innamorato della prof.

Per anni io stesso, mea culpa mea culpa, me ne sono orgogliosamente infischiato del bell’Antonio, forse a causa degli ammonimenti e suggerimenti del nume Gianfranco Contini, il quale amar non potea lo scrittore terso e piano che per farsi leggere e comprendere usava una lingua di “assoluta neutralità formale” senza cioè torsioni espressionistiche, un italianetto solo sporcato da qualche goccia veneta (e non di grappa). Così, a parte una paginetta col profumino di risotto e tartufi che si spandea nell’aere mosso dalla breva, nulla era da lui antologizzato e dunque degno di lettura. Ipse dixit.

Frequentando per anni l’ambiente veronese, ogni tanto mi allungavo nella palladiana e apparentemente cartesiana Vicenza, dove il mito di Fogazzaro ancora sopravviveva, e sopravvive tuttora grazie alle amorevoli cure dell’Accademia Olimpica che sponsorizza l’Edizione nazionale delle opere del figlio suo illustrissimo. Comitato per l’Edizione dove ai miei tempi regnava con grazia e intelligenza gentile Ferdinando Bandini. Confesso che negli anni ottanta del secolo scaduto fui addirittura cooptato in tale comitato e mi assegnarono l’edizione critica del Daniele Cortis. Per varie ragioni, litigi e invidie di parrocchie universitarie, decisi di lasciare e ogni tanto me ne pento. Mi ero però sorbito parecchi suoi romanzi, prima per prepararmi a dovere al compito ingrato di tale edizione, poi per diletto e un po’ per masochismo. Devo dire che rimasi favorevolmente impressionato dall’autore vicentino, uno dei pochi a descrivere (sia pure a modo suo) l’Italia postunitaria nei suoi risvolti, spaziando dalla politica – con in primo luogo il dramma dell’impegno cattolico in un Regno massone e antipapista – alla religione (ancora attuali le sue riflessioni del rapporto di quest’ultima con la scienza), all’amore più o meno sublimato alla condizione sociale dei ceti medio alti. Con una voglia di esserci e di partecipare, anche in qualità di Senatore del Regno; e quindi con un impegno che coinvolge diverse tipologie testuali (poesie, romanzi, interventi giornalistici eccetera). E anche con un’apertura mentale europea non comune in quell’Italietta, come testimoniano i numerosi carteggi, solo in parte editi. Non a caso fu più volte il candidato italiano al Premio Nobel per la letteratura.

Del clamoroso successo dell’autore, appare ora una testimonianza importante e convincente. Sponsorizzata dalla meritevole Accademia Olimpica di Vicenza è da poco stato pubblicato un volume di gran peso (655 pagine!) curato con paziente erudizione da Giulia Brian: Fogazzaro e i suoi editori (1874-1911), con una sapiente nota introduttiva di Adriana Chemello. Come direbbero i sapientoni, si tratta davvero di una full immersion nel complesso mondo editoriale e giornalistico, all’alba di un’ ennesima trasformazione tecnologica. Da artigianale – con le piccole tipografie che si trasformano in case editrici – a industriale, con conseguenti cambiamenti nei rapporti con gli autori (e i lettori). I libri diventano anche e soprattutto merce che va confezionata ed abbellita graficamente, e ugualmente deve essere pubblicizzata a dovere attraverso recensioni ad hoc. Fogazzaro, sebbene in una posizione economicamente di forza, regge bene all’urto della modernità, anzi in qualche modo ne è in parte guida e quasi sempre laboratorio esemplare. Un libro dunque che non serve solo a misurare la straordinaria varietà e il largo successo dell’opera fogazzariana, ma offre uno spaccato di storia dell’editoria e anzi della cultura italiana fra Otto e Novecento.

 

 

Fogazzaro e i suoi editori

(1874-1911)

a cura di Giulia Brian

Accademia Olimpica

Vicenza 2020

  1. 655, euro 22,00