Il viavai Praga-Trieste negli anni 30

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Talenti, affinità, inquietudini in un intreccio di arte e cultura

di Roberto Curci

 

Nell’anno più atroce (finora) del millennio sarà capitato a molti di ritrovarsi a “fare ordine” tra i libri di casa, a soffiar via il velo di polvere, a dire “toh”, a scoprire e riscoprire, a leggere o rileggere. E magari è successo di imbattersi in chicche dimenticate o dismesse: al sottoscritto, per esempio, in un sontuoso volume intitolato Les Mystères de la Chambre Noire. Le Surréalisme et la photographie edito nel 1982 da Flammarion. E, di colpo, il flash mnemonico: ma certo!, un libro ordinato in duplice copia da Wanda Wulz, sia per piacer suo sia per farne un gentilissimo dono (sarebbe mancata non molto dopo, la magnifica Wanda: il 16 aprile 1984).

A sfogliare il librone il grato ricordo (e il rimpianto) è però pian piano sopraffatto dalla magia delle immagini. E da una constatazione che affiora: del ruolo di gran rilievo che nell’ambito del Surrealismo, non solo fotografico, ebbero gli artisti cecoslovacchi della prima metà del Novecento, Jindrich Styrsky, Toyen, Karel Teige, lo straordinario “collagista” Jiri Kolar. E siccome un pensiero tira l’altro (lo propizia il nome stesso di Teige, cui fu dedicata nel 1996 la prima mostra allestita nelle recuperate Scuderie di Miramare), c’è di che riflettere anche sullo stretto rapporto che, tra anni ’20 e ’30, si stabilì – a livello artistico ma anche umano – fra Praga e Trieste, o quanto meno fra una certa, rispettiva élite intellettuale.

Facciamoci caso. Da Praga scende a Trieste Felice Frajova, che a Trieste, e poi a Ferrara e a Milano, sarà pittrice col nome di Felicita Frai. Da Praga, via Berlino, scende a Trieste Maria Pospisilova, pittrice d’impronta (pure lei) surrealista. Da Trieste salirà a Praga la pittrice Maria Lupieri, e lo farà proprio in compagnia dell’amica Pospisilova, per conoscere Karel Teige. E da Trieste, ancor prima, era salito a Praga Giorgio Carmelich nell’ultimo anno della sua brevissima vita (che invece su Teige, benché a lui parecchio affine, ironizzerà in una delle sue estreme lettere all’amico triestino Emilio Dolfi).

La Trieste degli anni ’30 (o, almeno, una certa Trieste) riceve una sferzata di energia da questi incroci, tanto più per il fitto reticolo di interessi e predilezioni che si crea proprio attorno a figure come la Frai, la Pospisilova e la Lupieri. Beninteso: molto è già stato scritto su questa sorta di “club” artistico-culturale ampiamente al femminile, ma val la pena di rammentare la vivacità di quel momento storico, ricco di stimoli e fermenti, che vide coinvolti – quasi in un rapporto simbiotico – personaggi quali Leonor Fini, Bobi Bazlen, Gillo Dorfles, Arturo Nathan, Achille Funi, Pier Antonio Quarantotti Gambini e quel Piero Lustig, dovizioso commerciante ma altresì pittore “dilettante” di un certo talento, che sposa proprio una giovanissima Felicita Frai.

Una pattuglia, come si vede, di cervelli brillanti e aguzzi, destinati a esprimersi – in vari campi – con originale personalità, benché con fortune (o sfortune) diverse. Di alcuni di loro si conosce tutto e più, di Piero Lustig pochino, e poco anche della Pospisilova, che comunque, dopo Trieste e un rientro a Praga, scelse come residenza la Svizzera seguendo il proprio marito, console di Cecoslovacchia. E a farci conoscere vita e miracoli della Frai pensò la stessa artista, che nel 1996 diede alle stampe da Scheiwiller un’assai gustosa autobiografia intitolata Mi racconto un po’ da me.

Nata nel 1909, Felice-Felicita venne a mancare dieci anni fa, pochi mesi dopo avere scavalcato i cent’anni. Era stata, sempre, un caratterino vulcanico e anticonformista, e in quest’attitudine ribelle aveva trovato a Trieste quasi una gemella in Leonor Fini, con la quale, in una celebre foto, è ritratta al mare assieme a Piero Lustig . Del resto, Trieste era per la Frai un ben noto luogo del cuore, fin da quando, ragazzina, vi veniva a trovare una zia che qui abitava col marito e con i figli.

Di lei, graziosissima, rimane qui il ritratto che Carlo Sbisà le fece intitolandolo però La disegnatrice (oggi al Museo Revoltella): eterno bastian contrario, la Frai disse però di non riconoscervisi affatto. E rimangono le decorazioni murali e musive nell’atrio del Palazzo Ras di piazza Oberdan firmato da Umberto Nordio (sopravvissute al calpestio degli stivaloni nazisti, negli anni ’43-’45), opere realizzate assieme a quel Funi col quale la Frai avrebbe poi assiduamente lavorato e convissuto a Ferrara e a Milano, prima di dedicarsi in proprio ai soggetti prediletti: quadri di ragazzine in fiore e di fiori senza ragazzine, lievemente zuccherosi a dire il vero.

Se verso la fine degli anni ’20 tra Frai e Fini vi fu una forte sintonia temperamentale, prima che ognuna seguisse altrove la propria strada, addirittura magnetico fu il rapporto tra l’inquieta Maria Pospisilova e l’inquieta Maria Lupieri, ugualmente attratte da un mondo di magie e di misteri, di dimensioni soprannaturali o ctonie rispecchiate nella rispettiva produzione pittorica, oggi in gran parte dispersa. E Praga fu ancora una volta un preciso punto di riferimento, sia per l’artista che da lì proveniva sia per quella che a quella città notoriamente “magica” guardava.

Ma, al di là dei nomi eminenti già citati, il viluppo di affinità e tangenze che venne a crearsi a Trieste in quello spicchio di Novecento potrebbe e dovrebbe allargarsi, fino a comprendere personaggi ancor meno indagati e, ognuno per ottime ragioni, decisamente affascinanti e “diversi”: il pittore e, prima ancora, pianista e musicista jazz Oscar De Mejo (poi marito di Alida Valli); la sorella di Diego de Henriquez, Fiore, poi scultrice (anzi scultore, ma questo è discorso troppo complesso per essere qui affrontato) di rinomanza internazionale; la cartomante Carlotta De Jurco, poi pittrice “medianica” ammirata da Silvio Benco e pupilla di Anita Pittoni.

Ci sono quasi tutti, insomma, in questo sorprendente intreccio di storie e di esperienze: il Gotha e il “demi-Gotha” di una città che, in tempi neppure molto propizi, visse uno dei picchi della sua effervescenza culturale. Troppo spesso mitizzata a vanvera, talora capace davvero – al di là delle leggende – di esprimere e connettere talenti di assoluta caratura e forte personalità.

Chi più, chi meno, sarebbero stati – meritatamente – famosi…

 

 

Foto 1:

Piero Lustig tra

Felicità Frai e Leonor Fini

 

 

Foto 2:

Carlo Sbisà

La disegnatrice

olio su tela, 1930

Civico Museo

Revoltella – Trieste