Illustrare l’illustre poeta

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La Commedia: una sfida a tradurre in immagini le terzine di Dante (parte terza)

di Walter Chiereghin

 

Con Federico Zuccari, del quale abbiamo parlato brevemente in precedenza, si chiude quasi a ridosso del Seicento una stagione nella quale le arti figurative si erano occupate con intensità e costanza di Dante e del suo capolavoro, per attraversare un periodo, quello del secolo XVII e buona parte di quello successivo, in cui scema l’interesse per la poesia del grande fiorentino, al punto che qualcuno ha parlato di un “secolo senza Dante”, in cui si deve constatare che furono stampate nell’intervallo temporale tra il 1595 e il 1702 soltanto tre edizioni del testo integrale della Commedia, che frattanto aveva assunto nel titolo anche l’aggettivo “divina”, e tutte pubblicate tra il 1613 e il 1629. Lo scarso interesse ha origini lontane, come si è detto in precedenza, per esempio ascrivibili al Bembo e alle sue Prose della volgar lingua, anche se Dante continuò ovviamente ad essere letto dalle classi più colte, perdendo tuttavia la popolarità che aveva assunto fin da quando il poeta era ancora in vita e si riproducevano manoscritti con le prime due cantiche.

Per quanto riguarda le opere figurative, comunque, si produsse un lungo intervallo che si estese fino a lambire l’ultimo quarto del secolo XVIII quando, a partire dalla Gran Bretagna, vi fu una vivace ripresa d’interesse da parte dei pittori, che in un primo tempo si concentrò su quelle che potremmo definire “storie seconde”, prodotte cioè non dalla descrizione del viaggio narrato da Dante, bensì dalle vicende raccontate al poeta da alcuni personaggi da lui incontrati, primi tra tutti Paolo e Francesca e il conte Ugolino. Le drammatiche vicende di queste figure di primo piano che, sebbene peccatori, assumono la fisionomia di vittime per l’ingiustizia dei crudeli trattamenti che hanno subìto e che li hanno condotti alla morte costituirono il presupposto di una latente o talvolta esplicita simpatia nei loro confronti, in quanto simboli di lotta contro il potere opprimente ed assoluto delle convenzioni – è il caso di Paolo e Francesca – oppure di oppressori che negavano loro la libertà, incuranti di colpire con i presunti rei anche i suoi innocenti familiari, come nella tragedia di Ugolino.

Nell’Inghilterra della seconda metà del Settecento il conte Ugolino costituì per gli artisti un forte richiamo, forse anche a cagione della fama acquisita dall’episodio tratto dall’Inferno, in quanto era all’epoca l’unico passo della Commedia che circolasse nella traduzione inglese, ma anche per l’interesse suscitato da un bassorilievo in bronzo attribuito a Michelangelo, approdato colà nel 1718. La scultura era in effetti opera di Pierino da Vinci (1529-1553), nipote di Leonardo, che l’aveva realizzata tra il 1548 e il 1549, ed ispirò sir Joshua Reynolds (1723-1792), celebrato ritrattista, che sul medesimo soggetto, alleggerito delle due figure allegoriche – la Fame, in alto e l’Arno in basso – produsse una tela di forte impatto emotivo. Il dipinto diede la stura a una serie cospicua di variazioni sul tema ad opera di altri autori, che ricollocarono Dante e la Commedia al centro dei loro interessi, ad iniziare da un artista svizzero naturalizzato inglese, amico personale del Reynolds, Johann Heinrich Füssli (1741-1825), autore di numerosi disegni ispirati alla lettura della Commedia, tra i quali una teatrale visione di Dante intento a pronunciare la celebre invettiva contro “Pisa vituperio delle genti” sul ghiaccio del Cocito, alle spalle di Ugolino e l’arcivescovo Ruggeri. Ma Füssli è stato anche creatore di una tela, purtroppo perduta, che però è stata riprodotta in un’incisione a bulino, raffigurante anche’essa Ugolino nella torre con i figli. Il dipinto, esito di una sua polemica lettura di quello del Reynolds, non si limita a delegare all’espressione drammatica del volto la tragedia che si sta prefigurando nella cella della torre, ma la affida all’intera composizione, dal corpicino del figlio riverso sulle ginocchia del padre, al quarto degli innocenti figlioli di cui è visibile sulla scena soltanto una mano, vanamente protesa verso la figura terribile e terribilmente impotente del genitore.

Rientrando nella sfera degli illustratori per l’industria editoriale, bisognerà citare almeno il lavoro di un artista coevo degli altri qui citati, John Flaxman (1755-1826), scultore e incisore di ispirazione neoclassica, che tra il 1792 e l’anno successivo produsse centonove disegni ad illustrazione di tutte e tre le cantiche, curando sia la descrizione della “storia prima” che di alcune “storie seconde”, tra le quali ovviamente non poteva mancare né la morte di Ugolino né Paolo e Francesca sorpresi da Gianciotto. Fortemente innovativo nell’ambito dell’illustrazione della Commedia risulta il suo tratto, che prevede l’assenza di ombreggiature e la mera definizione dei contorni delle figure, restituendo così nitide immagini di chiaro riferimento neoclassico.

Scavalcando il limite del Settecento l’illustrazione del poema dantesco si approssimava al suo incontro con il Romanticismo, che ne garantì una straordinaria ripresa d’interesse nel secolo successivo, non slegata da una rinnovata popolarità ad opera delle incisioni che illustrarono i volumi a stampa.

 

 

John Flaxman

Paolo e Francesca

sorpresi da Gianciotto

illustrazione da volume, 1793

Harvard. Houghton Library