Illustrare l’illustre poeta

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La Commedia: una sfida a tradurre in immagini le terzine di Dante (parte quinta)

di Walter Chiereghin

 

Vi è un dipinto che introduce la visione ottocentesca e romantica del poema dantesco, La barca di Dante, opera di Eugène Delacroix (1798-1863), presentata per la prima volta al Salon des Beaux Arts di Parigi del 1822, ispirato dall’episodio del canto VIII dell’Inferno che narra dell’attraversamento dello Stige sulla barca di Flegias, l’incontro con Filippo Argenti e l’approssimarsi alle mura della città di Dite. Il quadro, per le forti connotazioni drammatiche poste in evidenza per le minacciose figure dei dannati – di chiara ascendenza michelangiolesca – che sembrano moltiplicare l’aggressione dell’Argenti fu «immediatamente adottato dai contemporanei come vero e proprio manifesto del Romanticismo» (Lucia Battaglia Ricci).

Profondo conoscitore della Commedia e autore di un ciclo di disegni che lo impegnò in particolare negli ultimi tre anni della sua esistenza è stato il poeta, incisore e illustratore inglese William Blake (1757-1827). Il lavoro di questo geniale artista per quel che riguarda l’illustrazione della Commedia, si discostò con decisione dalla precedente – e spesso anche dalla successiva – tradizione iconografica, risultando quindi largamente incompreso dai contemporanei. Tale suo impegno fu purtroppo interrotto dalla morte, ma ci sono rimaste centodue sue tavole (settantadue dell’Inferno, venti del Purgatorio, dieci del Paradiso). L’originale inventiva visionaria dei suoi disegni, realizzata a volte in aderenza al testo dantesco, in altri casi discostandosi alquanto da esso, collimarono tuttavia con gli interessi speculativi dell’autore, anche altrove affascinato, in diversi contesti spirituali e creativi, al concetto di colpa, di punizione, di vendetta e di perdono, il che rende la sua opera di illustratore espressione di una lettura delle terzine dantesche di rilevante profondità. Con tutto ciò, come si è detto, a quel suo originale corpus di disegni non arrise un’adeguata fortuna nei suoi contemporanei, e bisognerà attendere il secolo XX perché esso fosse utilizzato integralmente dall’industria editoriale.

Del tutto diversa la fortuna che arrise invece all’opera di illustratore di Gustave Doré (1832-1883), che col poema dantesco si cimentò con alacrità ed anche lui con differente impegno tra le tre cantiche (settantadue tavole ad illustrare l’Inferno, contro le quarantadue dedicate al Purgatorio e soltanto diciotto al Paradiso), realizzando tuttavia un corpus di straordinario successo editoriale, sia tra i contemporanei che successivamente, fino ai giorni nostri. Allorché si accinse a dar corpo al progetto di illustrazione dell’opera, Doré entrò in conflitto con l’editore Hachette, che tuttavia, all’uscita del volume dedicato all’Inferno, – pubblicato a spese dell’illustratore nel 1861 – dovette ricredersi per lo straordinario successo di vendite, patrocinando le successive ristampe e quindi pubblicando nel 1868 il volume contenente le altre due cantiche. Di gusto tardo romantico, l’opera di illustrazione ideata dal Doré si avvale, oltre che della consumata perizia dell’artefice, di un’impostazione scenografica di grande effetto, resa ulteriormente più drammatica dalla bicromatica contrapposizione di bianco e nero, da una cura attenta della caratterizzazione dei paesaggi che fanno da sfondo alla plasticità dei nudi di chiara ascendenza michelangiolesca dei dannati. L’insieme di questi fattori è di decrescente importanza via via che si percorre il tragitto verso la conclusione del viaggio ultraterreno del poeta, come tra l’altro è denunciato dalla rarefazione del numero delle illustrazioni di cui s’è detto e dal fatto che sovente si supplisce alla carenza di figure ed episodi di potente drammaticità attraverso coreografie di angeli e di beati ritratti in processioni e in visioni di seriale composta levità entro luminose atmosfere di una letizia che appare un po’ forzata, come si addice all’idea che Doré e prima di lui l’Alighieri dovevano essersi fatti della Chiesa trionfante.

Contemporaneo (suo malgrado) del Doré fu l’italiano Francesco Scaramuzza (1803-1886), autore di un’illustrazione della Commedia imponente per il numero delle opere – duecentoquarantatre tele su cartone, settantatre per l’Inferno, centoventi per il Purgatorio e cinquanta per il Paradiso – e per la qualità del disegno. Il lavoro dello Scaramuzza subì un’interruzione proprio in ragione del successo commerciale conseguito dal Doré con la pubblicazione del suo Inferno, ma fu in seguito ripreso e completato nel 1879. Condividendo con l’autore francese una comune ispirazione romantica e nonostante la medesima fonte d’ispirazione e la contemporaneità dei due progetti illustrativi, l’opera dell’italiano si declina in forme composte e meno teatrali, diffondendo una tonalità elegiaca in quasi tutte le opere, ispirandosi certamente al magistero del Correggio, che lo Scaramuzza, vivendo e lavorando principalmente a Parma, doveva conoscere per la presenza di una pluralità di opere del maestro nel territorio emiliano.

 

Eugène Delacroix

La barca di Dante

olio su tela, 1822

Parigi, Musée du Louvre