IMAGO URBIS – Trieste. Una città e la sua anima, di Pietro Spirito, fotografie di Massimo Crivellari

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FOTOGRAFIA

TRIESTE. IMAGO URBIS

di Walter Chiereghin

Partiamo dal sottotitolo: Una città e la sua anima. Già, l’anima di Trieste, che riecheggia il titolo di un libro di Anita Pittoni, pubblicato da Vallecchi nel 1968, ma prima e dopo quel volume, il titolo ricorre in altre occasioni, una mezza dozzina, tra volumi e articoli, di volta in volta firmati da Flaminio Cavedali, da Biagio Marin, da Giuseppe Cobol – con lo pseudonimo di Giulio Italico – da Adolfo Leghissa, da Marija Pirjevec (quest’ultima con la variante L’altra anima di Trieste, riferito alla comunità slovena della città). È dunque così inafferrabile l’anima di questa città da costringere periodicamente poeti e scrittori a tornare sull’argomento, ogni volta probabilmente ritenendo di aver finalmente messo a fuoco quest’anima, per definizione invisibile e in buona sostanza non fotografabile?

S17Nel caso del libro di cui stiamo discorrendo la parola ha cercato – e validamente trovato – nell’immagine il naturale complemento nella sua ricerca dell’anima della città, di quanto cioè, in termini meno legati alla teologia, ne costituisce l’essenza, i caratteri distintivi che la rendono unica, che offrono gli strumenti conoscitivi per penetrarne il senso, i delicati equilibri che la reggono, gli antefatti che hanno edificato il suo presente. È il frutto del lavoro a quattro mani di un fotografo e di un giornalista e scrittore, rispettivamente Massimo Crivellari e Pietro Spirito. Lavoro riuscito, tanto dal punto di vista delle immagini che da quello dei testi, la cui interazione fornisce alla fine l’idea di aver completato un puzzle complesso, o meglio, come in fase di prefazione aveva programmaticamente indicato Spirito, un cubo di Rubik, poiché Trieste “muta le facce a seconda di come il tempo e la storia le combinano. E ci vuole molta abilità” (p. 10).

 

Impeccabili, ovviamente, le fotografie a colori di Crivellari, monfalconese, professionista da quasi vent’anni, dedito a creare immagini per la pubblicità, spaziando dai processi produttivi alle foto di architetture, pubblicazioni su numerose riviste, con incursioni in eventi espositivi di rilievo (lo ricordiamo almeno nelle rassegne Il fuoco della natura” al Salone degli Incanti di Trieste e Il tempo dei fotografi” a Villa Manin di Passariano).

S23Ci accompagna in questa galleria d’immagini la prosa di Pietro Spirito, quotidianamente impegnato nella redazione di articoli per le pagine di cultura del Piccolo, ma anche narratore di vaglia, che proprio questa duplicità dello scrivere rende particolarmente idoneo alla realizzazione del progetto. Come osserva Mary B.Tolusso “è la poetica del nostro autore, quello di porsi su un rischioso abisso, tra la certezza della documentazione e arte, tra il rigore dei fatti e l’abbandono”. Ha un precedente specifico Spirito, un agile volumetto edito da Pagliai a Firenze nel 2011, Trieste è un’altra, per mezzo del quale narrava una sua esplorazione minuziosa, suggerendo al lettore percorsi che toccavano dieci punti nevralgici della città, pretesti per riflettere su storia, architetture e topografia di questa che Saba ha chiamato “la più strana città”.

Dall’incontro tra le due professionalità del fotografo e dello scrittore non poteva nascere che un volume in qualche modo esemplare, magari con qualche concessione a un’immagine patinata della città, senza tuttavia imbozzolarsi in un eccesso di ruffianesco compiacimento. Un’esplorazione che si divarica a toccare da un lato i luoghi canonici noti anche a un turismo di rapina – quattro ore per vedere il Castello di Miramare, Piazza Unità e le rive – dall’altro a descrivere anfratti inesplorati e poco o per niente accessibili, come la città sotterranea, l’Osservatorio astronomico, il Gasometro.

Una città di identità plurime, votata a crogiolarsi nei suoi miti e nei suoi riti, la città dei libri e quella dei bagni (di mare, sia detto ai lettori del resto del mondo), la città della Barcolana, delle grandi navi bianche, dello sport e del caffè, sonnacchiosa e dinamica, la città delle osmize e del vino, la città dei matti, aperta a tutti dalla rivoluzione civile e culturale di Franco Basaglia, la città della scienza, la città di Carlotta, che non è soltanto la vedova di Massimiliano fucilato in Messico, ma anche un grande squalo bianco, femmina, catturato nel Golfo del Quarnero nel 1906 e orgogliosamente esposto imbalsamato al Civico Museo di Storia Naturale.S3

Piace infine che il bel volume si concluda con una pagina dedicata a Ugo Pierri, artista poliedrico e visionario, caustico sbeffeggiatore della società triestina, che ha appiccicato alla città presente il titolo di Necropolis: con questa scelta, nel chiudersi, il libro si dischiude invece a un’altra possibile visione dell’anima di Trieste, scompaginando una volta ancora le facce del cubo di Rubik di una realtà troppo complicata per essere rinchiusa in un unico volume.