Immondi librai antiquari

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Saba libraio, la sua storia di mercante e il suo rapporto epistolare col medico che lo ebbe in cura nell’ultima stagione della sua vita

di Walter Chiereghin

 

Il libro si presenta bene, come è quasi ovvio che sia, vista la competenza e l’ormai collaudata attitudine a lavorare in coppia dei due autori, Marco Menato e Simone Volpato, «un sodalizio fra pubblico e privato» (p. 33), essendo il primo direttore – ahinoi, ancora per poco – della Biblioteca Statale Isontina di Gorizia, nonché docente di Bibliografia e Biblioteconomia in varie sedi universitarie del Nord-Est, l’altro commerciante in libri d’antiquariato, studioso ed editore. Un titolo di grande effetto, una copertina sobria ed elegante, legatura così così, ma carte di discreta qualità, adeguatamente corposo – 368 pagine  – soprattutto arricchito da una prefazione di sicuro prestigio, affidata cioè a Stefano Carrai, ordinario di Letteratura italiana alla Normale di Pisa, ma anche autore di un’importante monografia su Saba, pubblicata da Salerno nel 2017: questo Immondi librai antiquari ha molti requisiti per fare qualche rumore nel mondo ovattato degli studiosi e nell’altro, purtroppo non vastissimo, di quanti si interessano a poesia e letteratura.

L’opera è articolata in tre parti, la prima, curata – con qualche cedimento autobiografico e promozionale – da Volpato, tratta del rapporto tra Saba e il medico Umberto Levi (1902-1962), è integrata da una nota di Antonio Della Rocca che traccia un profilo biografico del destinatario delle lettere del poeta e infine contiene la raccolta delle lettere indirizzate al dottore (o a sua moglie e alla figlia), che come vedremo costituisce il nocciolo duro dell’intero volume, quantomeno dal punto di vista biografico. Nell’ambito di tale prima parte è riportato per intero il carteggio di Saba indirizzato a Levi, composto da tredici lettere, due delle quali pubblicate per la prima volta, le altre undici invece già edite da altri in precedenti occasioni.

Nella seconda parte del volume – intitolata Il Novecento di Saba – ancora Volpato si occupa in particolare di alcune ricostruzioni della vicenda commerciale del suo più illustre collega, intrecciando poi argomentazioni, schede ed elenchi ispirati alla ricostruzione delle letture del poeta e in particolare della sua biblioteca privata, incapsulata entro gli scaffali della sua “Libreria antica e moderna Umberto Saba” (dal 1924 “Libreria antiquaria Umberto Saba”), tuttora esistente nell’antica sede di Via San Nicolò 30, grazie alla meritoria tenace opera di tutela di Mario Cerne, erede di Carletto, commesso, poi socio e infine proprietario del negozio.

Chiude il volume Per una storia di Saba libraio, oltre 150 pagine in cui Marco Menato ricostruisce con minuta precisione la storia della Libreria, delle quote cedute e riacquistate, degli aspetti amministrativi e soprattutto del mestiere di libraio antiquario, che Saba sembra fin dall’inizio svolgere con competenza e avvedutezza. Il merito di questa ricostruzione di un ambito così importante nella vita del poeta, il lavoro che avrebbe dovuto assicurargli il necessario che certo la poesia non poteva offrirgli, sul piano economico, risiede nel discernere il grano della realtà dei fatti dal loglio delle narrazioni idealizzanti fornite dal diretto interessato, «perché una cosa va subito demitizzata, ed è l’immagine romantica (abilmente tramandata da Saba stesso) di un Saba poeta, quasi disperato per la mancanza di lavoro, che per caso s’imbatte in una libreria in vendita, l’acquista per rivenderla del tutto svuotata ma poi, vedendo tutti quei libri, s’innamora e la rigenera non avendo mai professato quell’attività, del tutto a digiuno di nozioni di bibliografia e di bibliofilia» (pp. 191-192). Menato dimostra che questa pretesa ricostruzione è del tutto fuorviante rispetto alla realtà dei fatti, che vede invece il commerciante neofita già in partenza discretamente preparato, per un’assidua frequentazione delle librerie, all’epoca numerose a Trieste, con ogni probabilità cliente o almeno curioso anche di quella del socialista Giuseppe Maylander che avrebbe finito per acquistare assieme a Giorgio Fano, il quale gli avrebbe poi ceduto a malincuore la sua quota pochi mesi dopo l’acquisto. La sezione affidata a Menato include inoltre un lungo catalogo composto di 834 schede relative a monografie di soggetto bibliografico, che risulteranno di sicuro interesse per mercanti, bibliofili, collezionisti e bibliotecari, ma difficilmente potranno risultare stimolanti per la generalità degli altri lettori.

Così non è, come avevamo anticipato più sopra, per il carteggio con Umberto Levi, il medico di cui Saba fu paziente negli ultimi anni, dapprima a Trieste, in seguito, nell’estremo periodo della sua vita, alla clinica goriziana “Villa San Giusto” dei Fatebenefratelli, dove morì il 25 agosto del 1957, «dissero d’infarto», come scrive Nora Baldi. Di tale corrispondenza, posta in risalto fin dal sottotitolo del volume, due sono le lettere finora inedite, attualmente nelle collezioni della Biblioteca Statale Isontina, e di queste la numero 13, datata [Trieste] 5 marzo 1955, contiene elementi che si qualificano come “confessioni”, tali da gettare, forse, nuova luce sulla biografia di Saba, ma di ciò siamo veramente poco convinti.

Riportiamo comunque i due passi. Nel primo di essi il poeta riferisce di avere un figlio segreto, nato fuori del matrimonio e mai riconosciuto: «Sono tremendamente solo anche perché ho preteso questa condizione. Non ho mai voluto che qualcuno potesse prendersi cura di me perché mi sarei sentito offeso e in colpa. Dapprima verso mia figlia che non ha la tempra mentale per curarmi e sollevarmi; è una donna di una debolezza estrema […] Avrei voluto che a prendersi cura di me ci fosse un figlio più forte; lo avrei avuto se non l’avessi respinto. Ma come potevo, stretto dall’odiato-amato amore di due donne, presentare un figlio? Per giunta sano e di un’altra donna? Lina ne sarebbe morta» (p. 62). Questa prima “rivelazione” non ha riscontri esterni al contenuto della lettera, se non in uno strano incontro di Stelio Mattioni con una donna – narrato da Chiara, figlia del biografo di Saba nel volume L’impiegato triestino maestro di storie (EUT 2016). L’incontro fu preceduto da una telefonata nella quale la sconosciuta annunciò allo scrittore, di essere in possesso di informazioni su un tale Sergio, che asseriva essere figlio naturale del poeta. Alla telefonata seguì poi un incontro, al quale si presentò, sul posto di lavoro di Mattioni, una donna di mezza età che intendeva barattare una ventina di lettere autografe di Saba con l’assunzione del figlio alla raffineria Aquila, dove appunto lavorava lo scrittore. Nel dichiararsi impossibilitato ad accedere a tale richiesta, Mattioni si vide consegnare, in regalo, una delle lettere, che risultò in effetti autentica, datata 2 luglio 1929 e indirizzata a Erna Poleselli, già commessa nella libreria di Via San Nicolò. Un successivo tentativo di Mattioni di riprendere contatto con la donna, fu senza successo, perché di lei si erano perdute le tracce. Come si vede, dunque, ulteriori attestazioni circa l’esistenza e l’identità di questo figlio naturale del poeta sono legate soltanto all’esile dichiarazione telefonica resa al suo biografo.

L’altro punto scabroso della lettera del 5 marzo 1955 riguarda una duplice tragedia del 1922: due suicidi, a poche settimane di distanza, di due giovani sorelle, entrambe già commesse nella Libreria antiquaria. Leggiamo Saba: «in quella libreria ho sempre convissuto con il senso di colpa di aver spinto a morire due giovani ragazze di cui amai con fervore la loro giovane carne; due sorelle che, per la vergogna di tale sentimento e per aver sottratto dei libri decisero di uccidersi. E per me che ebbi tanta parte in questa loro decisione, giocando sulla loro giovinezza, fu una continua fonte di ansia e di dolore convivere con la loro morte. La libreria fu il luogo della mia morte e ciò è la pena» (pp. 62-63). Alcuni aspetti di questa tardiva “confessione” sono ben noti e riassunti da Roberto Curci nel suo Via San Nicolò 30 (Il Mulino, 2015): Margherita, detta Rita, Frankel, di 22 anni, viene trovata suicida per avvelenamento da acido fenico in un bosco vicino al Castello di Miramare il 19 aprile 1922, mentre la sorella Malvina, di un anno più giovane, percorrerà la medesima via senza ritorno il 20 giugno di quello stesso ’22 in Via G. Murat, presso il Passeggio S. Andrea. Entrambe le ragazze sono state, per un breve periodo, commesse nella libreria antiquaria, ma nulla, al di fuori di questa sorta di confessione intervenuta a trentatre anni di distanza dai luttuosi eventi, autorizza a confermare l’autoaccusa del poeta. Anzi.

Nell’immediatezza dei fatti, in una lettera ad Aldo Fortuna datata 2 giugno 1922, nemmeno due settimane dopo il primo suicidio, Saba scrive, dopo altre notazioni relative a questioni commerciali: «Ti scrivo poco e male, perché sono ammalato. La mia signorina si è uccisa, due giorni dopo il mio ritorno a Trieste. Era una ragazza ben singolare, ch’io ebbi il torto di nemmeno vedere fin ch’era viva, ma il modo come s’è uccisa m’ha fatto accorto d’aver avuto accanto per sei mesi una creatura che avrei dovuto ammirare e curare. Era cugina di mia moglie: ti parlerò di lei quando ritornerò a Firenze» (da Quanto hai lavorato per me, caro Fortuna, p. 162). Appena un lieve rammarico, dunque, per non aver nemmeno veduta la ragazza, nei sei mesi in cui l’aveva con sé nel negozio; tanto esile il senso di colpa, riferito per di più a una superficialità di rapporto che implicitamente nega la narrazione, resa a Levi più di tre decenni dopo, in cui parla di «due giovani ragazze di cui amai con fervore la loro giovane carne». Oltre a ciò, nient’altro sembra turbare il poeta nei mesi successivi alla duplice tragedia delle due Frankel, che lo vedono al contrario impegnato a consolidare la sua fama letteraria: scrive in versi e prosa, pubblica, pochi giorni dopo il suicidio di Rina, Preludio e canzonette su Primo Tempo, e poi i sonetti di Autobiografia, e ancora I Prigioni, esce il primo saggio sulla sua poesia di Giacomo Debenedetti. Tutto ciò appare incompatibile con il tormento di atroci sensi di colpa dai quali dichiara tardivamente di essere stato attanagliato, tre decenni e passa dopo i fatti luttuosi. Col che non s’intende negare in termini assoluti – sarebbe d’altronde impossibile – il facile cedimento a richiami della sensualità propri di quei suoi anni, e segnatamente con le giovani commesse che si avvicendavano nei locali della sua libreria, ma ciò non basta a confermare un diretto rapporto di causa-effetto tra una presunta relazione carnale con le due ragazze e il loro gesto disperato. Cristina Benussi, nel suo breve illuminante saggio su Figure femminili nell’opera di Saba (Umberto Saba. Sei donne per un poeta, Ibiskos 2003) esprime con sintetica nettezza un giudizio in questi termini: «L’uomo Saba, vecchio, si cimenta con giovani donne. Satiro» (p. 215). Si può convenirne, ma almeno ricordando che negli anni ’20 del secolo scorso la sensibilità generale in materia era affatto diversa da quella che utilizziamo oggi: termini quali “sessista”, “maschilista”, “abuso”, “violenza di genere” e “stalking” non godevano della valenza psicologica e sociale che, fortunatamente, rivestono oggi. E comunque Saba nel 1922 non era un vecchio, non avendo ancora compiuto i 40 anni, né le presunte “vittime” delle sue attenzioni erano minori.

Come mai, allora, questa tardiva duplice confessione di Saba al suo medico? Non esiste una risposta certa, come di frequente avviene per molti aspetti della storia personale di Saba: forse la necessità di stabilire un rapporto di intimità col dottore al quale continuamente sollecitava ricette che lo confortassero dalla sua dipendenza dalla morfina, forse semplicemente una di quelle sue ingegnose ricostruzioni della propria biografia. Non abbiamo elementi per saperlo con sicurezza, a differenza di due peraltro assai benevoli recensori del libro che, sulle colonne del Foglio e del Piccolo sembrano ridurre alla lettera n. 13 e alle sue confessioni ex post l’importanza del volume, quasi che il resto delle pagine fosse una paccottiglia riempitiva. Una visione scandalistica e riduttiva, che la serietà dell’impegno dei due curatori probabilmente non merita.

 

 

Marco Menato

Simone Volpato

Immondi librai antiquari

Saba libraio, lettore e

paziente di Umberto Levi

Biblion, Milano 2020

pp. 370, euro 25,00