In scena tra classici e nuovi testi

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Dostoevskij, Zeller, Palazzeschi, Covacich, Crivelli e Schiller sui palcoscenici triestini.

di Paolo Quazzolo

 

Mese denso di appuntamenti teatrali quello appena trascorso. Iniziamo con Il giocatore, riduzione teatrale dal celebre romanzo di Dostoevskij, proposto al Rossetti per la stagione del Teatro Stabile, dalla compagnia del Teatro Bellini di Napoli. Lo spettacolo, diretto da Gabriele Russo, completa una sorta di trilogia proposta dalla compagnia napoletana attorno all’idea di perdita della libertà: dalla violenza gratuita di Arancia meccanica (visto due stagioni fa), all’opprimente ambientazione di un ospedale psichiatrico di Qualcuno volò sul nido del cuculo (proposto lo scorso anno), sino a questo Giocatore, ove il protagonista diviene schiavo del gioco d’azzardo. Il testo è costruito su due piani: quello in cui si racconta la storia di Aleksej e dei suoi compagni, tutto immerso in un mondo quasi irreale, fatto di ossessioni, numeri della roulette, rilanci, speranze, angosce e disperazioni; e quello, più reale, in cui si muove Dostoevskij stesso, il quale scrisse questo romanzo nel breve volgere di soli 28 giorni, sotto ricatto da parte del suo editore, forte delle condizioni di povertà in cui era caduto lo scrittore proprio a causa del gioco. Bella e scorrevole la messinscena del Teatro Bellini, con una compagnia affiatata a capo della quale troviamo lo stesso Gabriele Russo.

Spettacolo che ha affrontato un altro problema sociale è Il padre, in scena al Rossetti con Alessandro Haber e Lucrezia Lante della Rovere. Il tema proposto dall’emergente drammaturgo francese Florian Zeller è quello dell’alzheimer: Andrea, padre forte e amato dalla figlia Anna, inizia un po’ alla volta a perdere l’orientamento, i ricordi, le certezze. Se in un primo momento le situazioni di imbarazzo che si vengono a creare provocano una sorta di involontaria comicità, via via che la commedia procede i toni divengono sempre più melanconici e commoventi. L’idea drammaturgica è quella di vedere l’azione attraverso gli occhi del protagonista, ponendo quindi lo spettatore nella mente turbata di Andrea, facendone così condividere lo spaesamento e la confusione. Senza dubbio quella del Padre è una delle interpretazioni meglio riuscite di Haber, che riesce a calarsi con grande intensità nei panni del protagonista, accompagnato da una convincente Lucrezia Lante della Rovere, in uno spettacolo confezionato con eleganza da Piero Maccarinelli.

Al Teatro Bobbio, per la stagione della Contrada, è andata in scena la trasposizione teatrale di uno dei grandi romanzi del Novecento italiano, Sorelle Materassi di Aldo Palazzeschi. Proprio La Contrada, alcuni anni fa, produsse una fortunata versione teatrale dell’opera a cura di Fabio Storelli, in cui le tre sorelle del titolo erano interpretate da Lauretta Masiero, Isa Barzizza e Ariella Reggio. Questa volta l’agile adattamento in un atto è stato pensato da Ugo Chiti per la regia di Geppy Gleijeses; sulla scena tre grandi attrici italiane: l’autoritaria Lucia Poli, la dolce Milena Vukotic e l’energica Marilù Prati. Tutte brave a rendere la storia delle tre zie anziane, la cui vita viene stravolta da un nipote approfittatore che le porterà alla rovina economica. Lo spettacolo, accurato nella parte visiva, ha trasmesso tutta quella melanconia crepuscolare presente nel romanzo di Palazzeschi senza tuttavia rinunciare a un pizzico di toscana pungente ironia, cui si contrappone la saggezza popolare della serva Niobe, la brava Sandra Garuglieri.

Alla Sala Bartoli ha debuttato Anomalie, la nuova produzione del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia. Il testo teatrale è tratto dall’omonimo libro di racconti di Mauro Covacich, in cui l’autore ripercorre il conflitto nella ex-Jugoslavia quale simbolo delle atrocità dei conflitti di tutti i tempi. Si tratta di un trittico che, inserendosi in una sorta di filo conduttore individuato quest’anno dallo Stabile nei suoi spettacoli di produzione, propone tre drammatici racconti di guerra che vedono protagonisti un cecchino, tre ragazzi che si ritrovano per giocare a basket e due innamorati. Nonostante la buona volontà dei quattro attori – Filippo Borghi, Federica De Benedettis, Andrea Germani e Riccardo Maranzana – la riduzione teatrale di Igor Pison (anche regista dello spettacolo), non riesce a conferire forma compiutamente scenica al testo, che conserva una forte connotazione letteraria, ritmi a tratti troppo lenti, tensioni che solo nella parte finale riescono a toccare lo spettatore.

Nuovamente al Teatro Bobbio per assistere a una replica di Egon e Jim, atto unico di Renzo Crivelli incentrato sulle figure del pittore espressionista Egon Schiele e dello scrittore James Joyce. La commedia costituisce la parte finale di una trilogia teatrale dedicata alla figura del grande autore irlandese e che comprende Nora Joyce: l’altro monologo e Il maestro e Cicogno. Nella Trieste del 1912 l’autore immagina che i due grandi artisti – effettivamente presenti in città in quel periodo – si incontrino casualmente su quello che allora si chiamava molo San Carlo. Ne scaturisce un dialogo in cui si intrecciano esperienze personali, ricordi, emozioni, discorsi sull’arte e speranze per il futuro. Lo spettacolo, già andato in scena, è stato riproposto in una nuova versione curata con eleganza e linearità da Daniela Gattorno, che ha guidato un collaudato gruppo di giovani attori, da Giacomo Seguglia, Francesco Godina ed Enza De Rose, sino al più esperto Valentino Pagliei, impegnato nel doppio ruolo di attore e musicista.

Concludiamo la carrellata con un grande classico, Intrigo e amore di Schiller proposto al Rossetti dal Teatro Stabile di Genova per la regia di Marco Sciaccaluga. Il tempo non clemente o forse il timore (infondato) di confrontarsi con un testo troppo impegnativo, hanno purtroppo fatto sì che il pubblico (almeno alla prima) fosse molto esiguo: un vero peccato sia perché lo spettacolo era bello, sia perché il testo di Schiller, soprattutto nell’ottima versione italiana di Danilo Macrì, scorre via rapido, coinvolgendo sin dalle prime battute lo spettatore nelle dinamiche sceniche e narrative. Sciaccaluga, regista di lunghissima esperienza, crea uno spettacolo in cui al centro assoluto stanno gli attori: lo spazio scenico, infatti, è un’asettica sala prove d’orchestra (l’idea parte dal fatto che il protagonista, il vecchio Miller, è un maestro di musica) in cui si muovono i personaggi supportati unicamente dai loro costumi d’epoca e da pochi oggetti d’attrezzeria spesso “inventati” in mezzo alla selva di sedie e leggii che affollano la scena. Ottima la prova di tutti gli interpreti, da Alice Arcuri e Simone Toni nei panni dei due sfortunati amanti, ad Andrea Nicolini il viscido Wurm, da Stefano Santospago il terribile von Walter, sino al dolente Miller di Enrico Campanati e alla sciocca Frau Millerin (che in questa versione, ponendo una arbitraria pezza a una inspiegabile dimenticanza drammaturgica di Schiller, ricompare all’ultimo atto), di Orietta Notari.