Incontro con Roberto Tiraboschi

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“Ho sempre avuto interesse a rappresentare il doppio che c’è in ognuno di noi, quella specie di duplice anima, in cui si nascondono certi aspetti oscuri”

di Viviana Novak

 

In occasione della presentazione del suo ultimo romanzo L’angelo del mare fangoso. Venetia 1119 presso la libreria Minerva di Trieste lo scorso 19 aprile, Roberto Tiraboschi si è concesso al pubblico dei suoi lettori con la simpatia e la cordialità che costituiscono i tratti più marcati del suo temperamento. “Tra il lavoro dello sceneggiatore e quello dello scrittore non c’è alcuna differenza. Il compito è sempre quello di creare delle immagini. Offrire un mondo dei cinque sensi attraverso una descrizione che faccia leva sulle percezioni sensoriali, in cui poter calare il lettore come lo spettatore…” È con questa sua anticipazione che mi gioco la prima domanda che avevo in mente di fargli, su che cosa porta uno sceneggiatore, impegnato da anni a lavorare per il cinema (Silvio Soldini, Marco Pontecorvo e Liliana Cavani sono solo alcuni dei registi con cui ha collaborato) a cimentarsi con il genere del romanzo.

È un’occasione piacevole quella di lasciarsi andare tra divagazioni varie senza un preciso filo conduttore, dal momento che neanche il mio intervistato ama il ritmo serrato di domanda e risposta.

Conosco ormai da parecchi anni Roberto Tiraboschi, da quando venne a Trieste per presentare uno dei suoi primi romanzi, Sguardo11, con cui iniziò la collaborazione con le Edizioni e/o: affascinante storia, dalla conclusione un po’pirandelliana, di un’adolescente alle prese con i problemi della pubertà, che scopre verità nascoste di vita familiare, spiando attraverso il monitor dell’impianto di sorveglianza di un parco-giochi semi-abbandonato. Un mondo virtuale e nebbioso da cui prende lentamente forma il reale.

Poi è stata la volta di Sonno, romanzo thriller, dai risvolti psicoanalitici. Una storia nata da un’esperienza autobiografica: quella del figlio Sebastiano che nei primi anni di vita non riusciva a dormire. Lo scrittore si è trovato così a esplorare i misteri del sonno lucido, del sonno guidato cosciente, della dimensione onirica e a condurre il lettore alla conoscenza con patologie come la narcolessia o la parasonnia violenta, mentre la vicenda narrata assume i contorni di un giallo, ricco di suspense e colpi di scena.

Un’attenzione alla psicoanalisi che si rintraccia tra le sue righe, anche nella produzione più recente, quella delle storie noir, che hanno dato vita ai tre romanzi della saga medievale (La pietra per gli occhi, La bottega dello speziale e L’angelo del mare fangoso) in cui i personaggi si muovono nella cornice di una Venezia colta negli afrori delle acque melmose, negli aspetti più prosaici ma anche più fiabeschi. Personaggi che ti rimandano alla mostruosità gotica, al gusto dell’eccesso, dove il fantastico poggia su una topografia reale, ricostruita minuziosamente grazie a studi e ad approfondite ricerche d’archivio.

La tentazione di un confronto con le arti figurative scatta immediata. E giustamente certa critica vi ha colto i colori e i contorni grotteschi della pittura di Brueghel e di Bosch nella folla che si muove tra calli e botteghe, sospesa tra l’acqua e la terra, nella vita tumultuosa della città lagunare. “Intorno al bacino centrale erano sorti nuovi squeri attrezzati con piani inclinati di larice e fosse di due braccia di profondità, nelle quali i marangoni lavoravano sul fondo dello scafo. Sul retro degli squeri erano stati disposti i depositi di legname del Cadore lasciato a stagionare e le fucine dei fonditori dove i fuochi non venivano mai spenti.

Voci, richiami, lo stridio delle seghe dei remeri, lo sbattere delle tele dei velari. Un formicolio ordinato e fitto, ormai in competizione con la folla che si muoveva ogni giorno davanti alla darsena di San Marco.” (L’angelo del mare fangoso, p. 87)

Un esempio di come nelle pagine del romanzo la scrittura, attraverso la costruzione di una sapiente trama lessicale, crei forti suggestioni, nell’incanto di sonorità antiche all’interno del brulicante caos veneziano.

Come è nato il tuo interesse per il mondo medievale al punto tale da pensare ad una saga?

Ho sempre avuto interesse a rappresentare il doppio che c’è in ognuno di noi, quella specie di duplice anima, in cui si nascondono certi aspetti oscuri. In fin dei conti questo doppio è presente anche nel medioevo, periodo in cui convivono aspetti contrastanti dell’animo umano: c’è una grande spiritualità, ci sono la fede e il senso del divino. A tutto ciò si unisce e si contrappone una crudeltà senza limiti, in un’epoca di esecuzioni capitali, in cui si smembravano e laceravano i corpi dei condannati a morte. Il monito da offrire alla cittadinanza era la giustificazione che si dava alla macabra rappresentazione. Per questo il genere del romanzo medievale noir mi è sembrato il più adatto a descrivere certe pulsioni dell’animo umano.

Anche l’amore per Venezia dev’essere stato determinante e non solo nella costruzione degli sfondi…

Venezia è un amore comune a molti scrittori. Le sue atmosfere, la sua musica antica, i suoi odori, uniti all’interesse per la vita del suo medioevo, hanno costituito degli sprazzi che mi hanno indotto a provare, a vedere se tutti questi elementi si potevano combinare insieme. Così è nata l’idea del romanzo thriller medievale. Una scommessa anche per l’editore. A questo, poi, si è aggiunto un interesse ad esplorare certi aspetti della vita quotidiana, in particolare quello del lavoro all’interno delle antiche fornaci veneziane.

Da un critico sei stato paragonato a Suskind…

Sicuramente il mio modo di scrivere, ricorrendo frequentemente all’uso delle percezioni sensoriali, può far ricordare certe pagine di Suskind. Gli odori, le luci, i colori della laguna danno vita ad immagini, non diverse da quelle che si creano per il cinema attraverso la sceneggiatura. Ma forse in comune con lo scrittore tedesco, specie se pensiamo al romanzo Il profumo, c’è la scelta del personaggio: il malvagio affascinante che diventa un efferato omicida, da cui traspare quel doppio dell’animo umano, di cui parlavamo prima.

Manifesti un interesse costante per la componente psicoanalitica …

Sono stati gli anni universitari in cui diedi vari esami di psicoanalisi ad avvicinarmi a questa disciplina. Poi si è aggiunto l’interesse per i fenomeni paranormali ed extrasensoriali. E tutto ciò rientra poi nel mio mondo narrativo.

I tuoi padri ideali?

Per usare una frase non mia dirò che “i libri nascono dai libri”. Amo molto Dickens e in particolare Stevenson, perché accanto ai temi dell’avventura e del fantastico c’è quello dell’inconscio e della duplice componente dell’animo umano. E poi c’è l’invenzione dei folletti che suggeriscono all’autore la trama dei romanzi e la realizzazione dei suoi obiettivi. Non è casuale in Sonno la citazione di Stevenson da parte di un personaggio.

 

A questo punto mi accorgo che la nostra conversazione sta assumendo il ritmo dell’intervista tradizionale e allora ci concediamo uno spazio per diluire i tempi e lasciare che le chiacchiere volino via, tra pensieri che riguardano il quotidiano, il rapporto coi figli, i nostri amici comuni, i progetti futuri. Parliamo di Roberta Paladini, sua moglie, indimenticabile interprete, oltre che di altre pellicole, del film di Pupi Avati Storie di ragazzi e di ragazze, della scelta di vivere a metà tra Roma e Venezia, del bisogno di calarsi con sempre maggiore frequenza nel silenzio sospeso delle calli per poter scrivere e studiare, della madre pittrice, che ha voluto recentemente ricordare con una mostra retrospettiva, i cui quadri conferiscono una luce particolare alla casa che possiede a Venezia. Parliamo anche dell’esperienza indimenticabile vissuta scrivendo la sceneggiatura per Pa-ra-da, il film di Marco Pontecorvo incentrato sulla vicenda umana e professionale del clown franco-algerino Miloud, che nei primi anni ‘90, attraverso l’insegnamento della clownerie, offrì una nuova vita agli orfani di Bucarest, stanandoli dal sottosuolo in cui vivevano, in fuga dagli orfanotrofi del regime. Una storia vera che ancora commuove e pone l’arte come strumento essenziale di riscatto umano. Mi accenna, quindi, al suo sogno: che la saga medievale possa un giorno diventare materia per il cinema.

Una domanda ancora gliela devo fare a proposito dei nuovi progetti di scrittura e così mi viene concessa una piccola anticipazione sul prossimo romanzo, che non sarà più ambientato nel medioevo, ma riguarderà l’odierno mondo giovanile: protagonisti due compagni adolescenti, uno col problema della dislessia. Sarà la scoperta della lettura e delle sue magnifiche potenzialità l’elemento trainante della trama. “Ho imparato ad amare i libri attraverso il mio più caro amico che non sapeva leggere” dirà il ragazzo coprotagonista. E presumibilmente il titolo sarà Un libro mi ha salvato la vita.

Un ritorno?

Si è un ritorno alle problematiche del mondo giovanile, un ritorno ai primi tempi di Sguardo11, un romanzo sulla lettura. Desideravo da tempo costruire una storia che intercettasse gli interessi del pubblico giovanile, ma che al contempo potesse essere letta da genitori e insegnanti. Io da ragazzo non amavo i libri e mi sono sforzato di riproporre le stesse sensazioni che provavo leggendo durante l’adolescenza. Anche in questo nuovo romanzo l’esperienza autobiografica è stata determinante. L’idea era nata come trama di una sceneggiatura da proporre a Marco Pontecorvo, poi ne ho fatto un romanzo.

Il mio folletto, a questo punto, si agita e mi suggerisce che è il momento di chiudere, non prima di essermi assicurata un’anteprima di lettura del nuovo romanzo. Da ex insegnante non dimentico tutte le volte in cui ho provato rassegnazione e impotenza di fronte al disinteresse dei miei allievi per la lettura. Forse nel nuovo romanzo di Tiraboschi si nascondono stimoli segreti per “salvare la vita” dei nostri ragazzi scrollandoli dall’apatia e indirizzandoli al piacere della pagina scritta. Ce lo auguriamo di cuore e al nostro scrittore diciamo grazie in anticipo.