Intervista a Diana De Rosa

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In questa sua enorme esplorazione di archivi come mai così spesso è il cibo la “guida” per fare storia e microstoria di classi sociali, scuole, ospedali, istituzioni, politiche pubbliche?

Nei miei lavori mi sono imbattuta spesso nel cibo e poiché esso è un importante indicatore della condizione sociale di una popolazione ne ho fatto oggetto di ricerca parlando in particolare di istituzioni, e di persone o avvenimenti ad esse legati, come il manicomio, l’ospedale, l’istituto dei poveri, le carceri, le navi, ossia di quelle istituzioni isolate dove il cibo diventa anche strumento di ordine e disciplina, come lo è del resto la refezione scolastica dove lo scolaro per averla doveva comportarsi bene. In sostanza l’alimentazione è uno degli strumenti per raccontare la storia della città e delle sue istituzioni.

I ricreatori furono un’innovazione molto avanguardistica a Trieste. Sappiamo se nel resto d’Italia la refezione scolastica c’era?

In Italia vi erano per lo più gli oratori, i ricreatori furono una nostra istituzione del tutto originale che affiancò la scuola nell’opera di educazione. Nelle scuole italiane la refezione scolastica, costituita ugualmente da una minestra e un pezzo di pane, era in vigore ma in un contesto scolastico più arretrato rispetto al sistema d’istruzione austriaco.

Trieste si racconta sempre come città dal passato “ricco”, lei dimostra libro dopo libro quanta enorme povertà ci fosse: è un naturale processo della memoria collettiva, o un caso particolare?

Trieste mostra un bel viso, quello della ricchezza materiale e culturale, ma vi è una faccia nascosta, quella segnata dalle vicende del ceto popolare e operaio, che pur fece funzionare e progredire la città che conosciamo, ed è a quest’ultimo che ho rivolto la mia ricerca.

Si nota, in tutti i contesti storici e politici (Austria, Italia, regime fascista, occupazione tedesca, Governo militare alleato, Italia repubblicana) un’attenzione forte e costante al nutrire “pubblicamente” i bambini. Deve sorprenderci o no?

L’attenzione per l’alimentazione infantile, dai lattanti agli scolari, che si ha a partire dalla seconda metà dell’Ottocento, deriva dalla constatazione dell’alta mortalità infantile. Si trattava di una questione morale, sociale e sanitaria che mobilitò la beneficenza, la scienza, la medicina. Si diceva anche che venivano sprecate forze che avrebbero potuto far progredire e sviluppare la società. Durante il fascismo le numerose istituzioni pro-infanzia avevano lo scopo di creare una “razza sana” al servizio della Patria.

La fiaba del Fagiolo magico, che ha scelto come introduzione, premia il bambino, per i bambini di Trieste l’unico premio era invece che i fagioli non finivano mai. Che messaggio affida alla fiaba, unico sottile suggerimento in un testo limpido e scevro da qualunque interferenza personale?

Il bambino che riesce a raggiungere la pentola dei fagioli doveva essere povero, disciplinato, obbediente, meritevole, più tardi ne avrà accesso perché usufruire della refezione diventerà un suo diritto indipendentemente dallo stato sociale ed economico.

Qual è il documento che stavolta l’ha sorpresa o emozionata di più?

Tra i tanti documenti che ho consultato per scrivere la storia della refezione scolastica, ve ne è uno che mi ha colpito, si tratta dell’appello di madri slovene di Prosecco che durante la prima guerra mondiale supplicano che nella scuola venga introdotta la refezione perché “i nostri bambini deperiscono e muoiono…”.

 

  1. z.

 

Fig. 1

In colonia, 15 luglio 1953

Archivio Giornalfoto

CMSA GF NP 935 (ex 1432)