Io e Annie

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Scrittrice e lettrice si incontrano e si confrontano nelle pagine di un libro

di Silvia Zetto Cassano

 

«Mi domando cosa possa significare che una donna si metta a ripercorrere scene risalenti a più di cinquant’anni prima alle quali la sua memoria non può aggiungere nulla di nuovo. Quale convinzione la sostiene, se non quella che la memoria sia una forma di conoscenza? E quale desiderio c’è, oltre a quello di capire, in questo accanirsi a cercare, tra le migliaia di nomi, verbi e aggettivi, quelli che diano la certezza – l’illusione – di aver raggiunto il più alto grado di realtà? Se non la speranza che tra questa ragazza, Annie D, e qualunque altra ci sia almeno una goccia di somiglianza?»

Annie D. – Duchesne – è il nome da ragazza di Annie Ernaux. Annie, in tutti i suoi libri, ha narrato sempre di sé, in prima persona. Lo fa anche in Memoria di ragazza, il suo ultimo libro, in cui sembra voler nascondersi, e dice «la Annie del ‘58» o «la Annie di S.» S. è la località – non nominata anch’essa, sappiamo solo che è in Normandia – in cui Annie vive l’estate dei suoi diciott’anni. Un’estate che trascorre in una colonia: è il suo primo lavoro. Annie non si è mai allontanata così tanto dai genitori. «L’elenco delle sue ignoranze sociali sarebbe interminabile. Non sa telefonare, non ha mai fatto una doccia né un bagno. Non ha mai frequentato nessun altro ambiente al di fuori del suo, popolare, di origine contadina, cattolico. A ripensarci adesso mi sembra goffa e impacciata, perfino sboccata, piena di insicurezze e di modi. La sua vita più intensa è quella che vive nei libri, di cui è ingorda da quando ha imparato a leggere. È grazie a loro e alle riviste femminili che conosce il mondo».

Gocce di somiglianza. Sì, Annie. I nostri diciott’anni sono sfasati, i miei corrispondono al 1963, ma son sempre quegli anni lì. Ci somigliamo, sì. Siamo goffe tutte e due, abbiamo tutte e due la stessa fede sconsiderata nei libri come se in essi ci possa essere la chiave di lettura per il Mondo. Anch’io, come te, leggo le riviste femminili, Grazia, Novella, Intimità. Leggo la piccola posta, intuisco dalle risposte di Donna Letizia o di Adrian che ci sono cose che è bene non fare, come ‘cedere’ o accettare la ‘prova d’amore’ che lui chiede e che sta a noi rifiutare come non ce l’avessimo anche noi, quel desiderio che non ha nemmeno un nome, in quegli anni lì. Tu però, al contrario di me, lo sai cosa sia e soprattutto nessuno è in grado di convincerti a riporlo da qualche parte, anzi. Ti piace Brigitte Bardot, vorresti vestirti come lei, essere come lei. Ma l’Annie che prede il treno per S. è abbigliata da brava ragazza perbene. «I capelli sono raccolti in uno chignon alto dietro la nuca. Porta occhiali da miope che le rimpiccioliscono gli occhi ma senza i quali brancola nella nebbia. Indossa un cappottino blu – ricavato da un loden beige di due anni prima, accorciato e ritinto – , una pesante gonna di tweed – a sua volta ottenuta da un’altra – e una maglia alla marinara. Ha una valigia grigia – ancora come nuova, presa sei anni prima per un viaggio a Lourdes con suo padre e mai più riutilizzata da allora – e una borsa di plastica azzurra e bianca a forma di secchiello comprata la settimana prima al mercato di Yvetot».

E io? Nella mia valigia – verde, di plastica molle, pesantissima anche vuota – ho maglie fatte da con i ferri da mia madre, gonne di terital, qualche abitino colorato, e – pare incredibile adesso che ci penso – un vestito rosa fatto all’uncinetto, sempre da mia madre, tutto a buchetti, che metto sopra una specie di sottoveste scura che non avrò mai occasione di indossare. Niente pantaloni, non è un capo d’abbigliamento consentito per quelle come me, a scuola era proprio proibito indossarli, quindi non ne possiedo nemmeno un paio. Quando arriviamo ci danno anche un grembiule bianco, ma la disciplina è lasca, finisce che vestiamo come ci pare, la direttrice non dice niente, e poi fa caldo, a Tarvisio, quell’agosto.

Annie, come me, è emozionata dall’idea di andar via. «È abbagliata dalla sua libertà, dall’estensione della sua libertà. Guadagna i primi soldi, compera ciò che ha voglia di comprare, dolci, il dentifricio E’Mail Diamant, rouge. Quella vita è tutto ciò che vuole, Ballare, ridere, far baccano, cantare canzonacce goliardiche, flirtare».

Tutte e due ci aspettiamo chissà che, per entrambe la vita è una sinfonia ancora alle prime battute. Per Annie «Tutto è desiderio e orgoglio», Annie vuole a tutti i costi vivere una storia d’amore. “La mia memoria fallisce nel tentativo di restituire lo stato psichico creato dal sovrapporsi di desiderio e proibizione, dall’attesa di un’esperienza sacra e dalla paura di ‘perdere la verginità’».

A questo punto le gocce di somiglianza tra me e Annie si diradano. La colonia di Tarvisio è per me un ulteriore gineceo, dopo quello delle magistrali. Femmine, siamo tutte femmine. Adesso che ci penso mi dico che è magari è stato un bene, ho avuto il tempo – abbiamo avuto il tempo, noi ragazze – di fare esercizi di consolidamento del femminile che la presenza di un solo maschio avrebbe resi impossibili, abbiamo avuto lo spazio per ridere e ridacchiare, per cantare fra noi, per parlare di noi e fra noi. Bella, questa maglia, ti sta bene. Non legarti i capelli, tienili sciolti. Con gli occhi che hai di vuole il mascara, non sai come si fa? ti faccio vedere, ti presto il mio. Come sto? Bene, stringi di più la cintura. Sì, io il moroso ce l’ho, no, non è il mio fidanzato, guarda che quando ti leghi basta, è finita. Il mio mi asfissia, mi tocca scrivergli ogni giorno, beata te che non hai nessuno, domenica vien su a trovarmi, e si porta dietro anche sua madre. Eh, che storie fai, come «non mi guarda mai nessuno» piantala, sì che ti guardano, basta che li guardi anche tu, non ci vuol niente, coi maschi, che credi, e tu sei carina, quando ci danno il pomeriggio libero andiamo in centro a guardare gli alpini, ci facciamo guardare, no, il vestito rosa meglio di no.

Annie fa un altro percorso anche perché nella colonia di S. i maschi ci sono. Lei sa quel che vuole, mi verrebbe da dire che le sembra di saperlo, ma includerebbe un giudizio su di lei, e non è giusto, quel che vuole le dà una strepitosa energia, anche in questo non mi somiglia. Ottiene quel che vuole, Annie D., Annie di S., e adesso, a distanza di tanti anni, mi racconta come, e lo fa con una tale assenza di pudore, senza omettere alcun dettaglio mortificante, che mi manca il fiato e mi dico non è possibile, quel che accade è insensato, quasi atroce, terribile. Da dove le viene tutto quel coraggio di scriverne? «È la mancanza di senso di ciò che si vive nel momento in cui lo si vive che moltiplica le possibilità di scrittura». È proprio così, Annie. Ci somigliamo anche in questo. Come te precocemente «Ho iniziato a fare di me stessa un essere letterario, qualcuno che vive le cose come se un giorno dovessero scritte». Che peccato, mi vien da dire, a momenti, quando mi sconforto. Ci somigliamo anche per il senso del tempo che ti ha spinta a scrivere, che spinge anche me – che curiosa coincidenza – a voler raccontare della Silvia di quegli anni lì. Lo sto facendo, chissà quanto ci metterò a finire. Come te scartabello i miei diari; come te, osservo le mie fotografie, come se potessi trovarci qualcosa di quella Silvia che non c’è più, ma che tuttavia c’è ancora. Io e te, adesso, stiamo nello stesso tempo, e ci dà affanno «Il tempo davanti a me si accorcia. Ci dovrà essere un ultimo libro, come c’è un ultimo amante, un’ultima primavera, ma nessun segnale per saperlo prima. L’idea che potrei morire senza aver scritto di colei che presto ho preso a chiamare ‘la ragazza del ‘58’ mi ossessiona. Un giorno non ci sarà più nessuno per ricordarsene. Ciò che è stato vissuto da quella ragazza, e da nessun’altra, resterà inspiegato, vissuto invano»

 

Copertina:

 

Annie Ernaux

Memoria di ragazza

Traduzione di Lorenzo Flai

L’orma editore, Roma 2017

  1. 256 euro 18,00