Io sono Li

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di Stefano Crisafulli

 

La poesia, la bellezza delle immagini, la complessità delle relazioni umane: tutto questo si trova in Io sono Li, piccolo grande film presentato da Andrea Segre nel 2011 alle Giornate degli Autori della Mostra del Cinema di Venezia, che ha fatto conoscere il regista padovano al grande pubblico con il suo primo lungometraggio dopo gli esordi documentaristici. Una storia folgorante, che prende lo spettatore fin dalla prima inquadratura e non lo lascia più. Una storia fatta di silenzi, di acqua e di fuoco, di mestieri antichi, di linguaggi e universi e persone che, a volte, si possono incontrare, nonostante tutto, nonostante l’ingiustizia di un mondo che separa, che getta discordia e che scioccamente non vede ciò che è simile nella differenza, ma solo ciò che tiene lontano.

Il titolo già dice molto, almeno per chi vuole ascoltare. Io sono Li, ha, infatti, un doppio significato: indica il nome della protagonista, Shun Li (interpretata dalla bravissima attrice Zhao Tao), una donna cinese che è venuta in Italia a lavorare e, per farlo, è stata costretta a lasciare suo figlio in Cina; ma indica anche una dislocazione, un essere altrove. Li lavora prima come operaia a Roma in una fabbrica tessile e poi viene trasferita in un bar a Chioggia, frequentato prevalentemente da vecchi pescatori. Tra questi c’è Coppe (Marco Paolini), ormai prossimo alla pensione, ma soprattutto c’è il suo amico Bepi, alias Rade Serbedzja, anche lui pescatore come gli altri e anche lui, essendo di origine serba, straniero come Li. Fra i due nasce un’amicizia che, a poco a poco, potrebbe anche trasformarsi in qualcos’altro, ma gli impedimenti sono tanti, tra i quali il divieto imposto a Li dal padrone del bar di frequentare clienti italiani. Che cosa unisce Bepi e Li? La lontananza dai rispettivi paesi d’origine, ma anche la cultura della pesca e l’amore per il mare. Senza dimenticare la poesia. Li festeggia ogni anno, come da tradizione, il poeta cinese Qu Yuan, accendendo delle candele dentro piccoli fiori di carta e facendoli galleggiare sull’acqua e Bepi viene soprannominato, un po’ scherzosamente, dagli altri ‘il poeta’, perché gioca con le rime. Attorno a loro ci sono due mondi, quello chiuso, a volte anche razzista, di Chioggia, sintetizzato dal personaggio di Devis (un inedito Battiston nelle vesti del cattivo) e quello altrettanto chiuso della comunità cinese. In entrambi i mondi, però, si aprono ogni tanto squarci di umanità e di solidarietà reciproca: sia tra i pescatori, logorati da un lavoro duro e poco redditizio, sia tra i lavoratori cinesi, sradicati e senza diritti.

Alla poesia delle parole e dei silenzi si aggiunge la poesia del luogo. Chioggia è situata nella stessa laguna che bagna Venezia e, pur in piccolo e senza turisti, presenta gli stessi problemi: l’acqua alta, ad esempio, che invade il centro. Ma la laguna è anche fonte di sostentamento per i pescatori e zona di convivenza con la natura per i suoi abitanti. E quando è velata dalla nebbia, come in certe inquadrature di Segre (che si è avvalso di un direttore della fotografia del calibro di Luca Bigazzi), mostra ancor di più tutto il suo fascino. In particolare nell’ultima scena alla Tarkovskij, con il fuoco che brucia sull’acqua.