Italia disuguale

| |

Un Paese come il nostro, in forte declino sotto una pluralità di aspetti, non soltanto economici, ma per esempio demografici, idrogeologici, ambientali, paesaggistici, culturali, dovrebbe stilare una lista dei fattori che determinano queste criticità, assegnando a ciascuno degli elementi che compongono tale elencazione un indice di priorità che li mantenga al centro dell’attenzione al fine di ridurne progressivamente l’impatto.

Raggruppando poi i dati per grandi aree di problematicità, non vi è dubbio che le disuguaglianze costituiscano un fattore non soltanto ripugnante dal punto di vista dell’equità sociale (1.400.000 minori vivono in Italia sotto la soglia di povertà assoluta), ma che si manifesta anche come inibitore della stessa leggibilità dei dati a disposizione. Per rimanere sulle statistiche relative alla povertà assoluta – dati forniti dall’Istat per il 2021 – sappiamo che sono 5,6 milioni gli italiani poveri, pari a circa il 9,4% della popolazione complessiva. Le famiglie che vivono al di sotto della soglia di povertà assoluta sono più di 1,9 milioni, il 7,2% del totale, ma se poi andiamo a verificare meglio, scopriamo che aggregando i dati per area geografica, di tali sfortunate famiglie risiede al nord quelle che rappresentano il 6,7% della popolazione totale, al centro il 5,6% e invece al sud il 10%. Se poi andiamo a verificare anche come se la passano gli stranieri residenti in Italia, scopriamo che tali dati schizzano in un’altra dimensione, con un 32,4% di povertà assoluta.

Anche soltanto questi dati dovrebbero assegnare una priorità molto elevata alle misure che vanno nel senso di una diminuzione della disuguaglianza, agendo in primo luogo sulla leva fiscale, ma anche cercando di procacciare servizi sociali più adeguati, in particolare nel settore dell’istruzione pubblica (risulta in povertà assoluta il 22,4% delle famiglie dove la persona di riferimento è priva di titolo di studio o ne dispone della sola scuola media, mentre il dato scende al 3,9% se tale persona dispone almeno di un diploma di scuola superiore). Anche l’assistenza sanitaria influisce in maniera determinante in molte situazioni, e non abbiamo nemmeno bisogno del conforto dell’Istat per immaginare che altro è ammalarsi a Bologna e altro in provincia di Cosenza o di Vibo Valentia. E abbiamo sfiorato appena uno soltanto dei dati che attestano l’esistenza di un pressante problema relativo alla disuguaglianza che sembra diventare una condizione endemica della società italiana. tale per cui ci si dovrebbe adoperare per ridurre la forbice di ogni tipo di differenziazione sociale.

Naturalmente si sta facendo l’esatto contrario.

Così abbiamo rafforzato il concetto che differenzia i lavoratori dipendenti da quelli autonomi, concedendo a questi ultimi un trattamento fiscale di gran lunga agevolato rispetto ai primi.

E poi, in barba al dettato costituzionale che, all’art. 53, detta un criterio di progressività delle imposte, abbiamo ridotto il numero degli scaglioni, con l’obiettivo dichiarato di arrivare a fine legislatura a un’aliquota unica – la famigerata flat tax – a tutto vantaggio delle classi più abbienti.

E ancora, rischiando una procedura d’infrazione comunitaria, vengono tutelate le condizioni di concessione ai cosiddetti “balneari”, inclusi quelli che in Costa Smeralda sono soggetti al pagamento di un canone annuo di 500 euro per stabilimenti che presentano, per un pasto, un conto di 230 euro.

Il tutto in attesa di una riforma che assegna maggiori autonomie alle regioni, frazionando ulteriormente – tra l’altro – il sistema sanitario nazionale, come non avessimo imparto niente dalla gestione di un’emergenza quale quella della catastrofica pandemia che abbiamo dovuto sperimentare.

Con ogni evidenzia, dunque, evidentemente non ci siamo.