Kirkland: non solo “stelle”

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La recente scomparsa di Douglas Kirkland sollecita a riguardare le sue celebri immagini, a cominciare dai ritratti delle dive del cinema

di Michele De Luca

 

Nato a Toronto il 16 agosto 1934 (è scomparso a Los Angeles il 2 ottobre scorso), Douglas Kirkland lavorò per la prima volta in uno studio fotografico a Richmond, in Virginia. Fu poi assistente di Sherwin Greenberg per un anno. Nel 1961 venne assunto dalla rivista Look: fu allora che gli venne assegnata una sessione fotografica con Marilyn Monroe. Le foto, scattate solo pochi mesi prima della morte della diva, contribuirono alla sua “consacrazione” come grande fotografo. Marilyn era solo uno dei tanti soggetti che doveva fotografare per quel servizio, alle star era stato chiesto come volessero essere ricordate 50 anni dopo. Ma l’anno dopo Marilyn morì e divenne un mito; così le sue foto ottennero un’attenzione e un valore inimmaginabili; «certo – ebbe a dire – non mi sarei aspettato che queste sarebbero diventate alcune delle mie immagini più famose, ma sono entusiasta che lo siano: mi dà un meraviglioso senso di realizzazione».

In più interviste, il fotografo – vincitore di molti premi, tra cui il “LUCIE Award for Outstanding Achievement in Entertainment Photography“ – raccontò di quella notte speciale: «Marilyn si presentò con tre ore di ritardo. Poi scomparve per un momento e tornò indossando solamente un accappatoio. Non c’era luce stroboscopica (una luce che proviene da fonti intermittenti ad alta frequenza, n.d.r.), solamente un semplice proiettore costante che ha contribuito a produrre delle ombre laterali». Per scattare quelle famosissime immagini, Kirkland salì su una ringhiera, posta sopra la diva. «Sapeva esattamente cosa fare. I suoi movimenti, le mani, il suo corpo… era semplicemente perfetto. Era la più sexy. Meglio di chiunque altro. Emotivamente, ha fatto bene ogni cosa. Ha espresso proprio tutto ciò che volevo».

Dopo di che i più celebri nomi del cinema, della musica, della cultura e del “bel mondo” fecero a gara per posare davanti alla sua fotocamera. Divenuto egli stesso una “leggenda” nel campo del fotogiornalismo e della fotografia di moda e di cinema, ha lavorato per le riviste più rinomate del mondo per oltre cinquant’anni, firmando alcuni dei più celebri ritratti dell’élite di Hollywood ed entrato nello staff di Life Magazine vi ha prestato servizio negli anni sessanta e settanta – l’età d’oro del fotogiornalismo – lavorando come unico fotografo per centinaia di film. «La fotografia – sono sue parole – è la mia essenza, è la mia vita. Lo è sempre di più ogni giorno che passa. Ho bisogno di scattare foto allo stesso modo in cui ho bisogno di respirare e ogni giorno che invecchio le immagini mi stanno sempre più riempiendo la vita». E ancora: «La maggior parte delle persone pensa a una macchina fotografica come a un dispositivo buono per fotografare i propri amici o quello che piace a loro. Non è così, l’ho imparato da Irvin Penn, che è stato il mio maestro: è qualcosa di profondo, che va oltre la superficie».

Sarebbe comunque riduttivo, considerarlo soltanto come il fotografo dei divi, perché amava fotografare l’universo dell’ordinary people e la sua inesauribile curiosità lo portava a dirigere l’obiettivo verso qualunque soggetto che colpisse il suo sguardo sempre acuto e inesausto. La sua è stata la «storia di un sognatore con in mano una macchina fotografica». Non si può raccontare di Kirkland, del suo modo di concepire e di praticare per tutta la vita la fotografia meglio che con le sue stesse parole: «Per me la fotografia ha sempre significato immaginare e interpretare le persone, i luoghi e gli eventi. Il mondo lo capisco meglio con una macchina fotografica». Di lui ha scritto Cristina Comencini, «Douglas Kirkland sa che l’immagine deve essere sintetica e ricca, contenere tante informazioni contemporaneamente, perché nel cinema (e nella fotografia) si ha poco tempo per raccontare e bisogna dire tante cose. Douglas si abbandona all’istinto, rischia, cerca. La bellezza non gli interessa fine a se sessa, vuole fermare la vita, per questo è uno dei più grandi registi del “fermo immagine” della nostra epoca, precaria e instabile come il cinema».

 

Marylin Monroe

1961

© Douglas Kirkland