La carriera in salita

| | |

Boris Pahor insegnante

di Roberto Spazzali

 

Fare il professore, anche per il prof. Pahor, è stata un’impresa non molto diversa da quella che tanti giovani affrontano per entrare nel mondo della scuola. Domande, graduatorie, abilitazioni, precariato erano fattori comuni anche in passato. Una strada stretta che Boris Pahor ha percorsa per intero e che raccontata almeno in parte nel fascicolo personale che ho riordinato, insieme a migliaia di altri, nell’archivio dell’Ufficio  scolastico regionale per il Friuli Venezia Giulia.

Nel mondo della scuola Boris Pahor entra nel 1953 come insegnante di sloveno, storia e geografia alla scuola di avviamento professionale di indirizzo agrario con lingua di insegnamento slovena di Cattinara (Katinara, precisa di pugno nella scheda personale) e per dieci anni, dal 1954 al 1964 insegna nella scuola media slovena che dava accesso ai licei, fino alla svolta quando ottiene una cattedra  all’Istituto tecnico commerciale di lingua slovena di Trieste. Non è ancora di ruolo, ma iscritto all’elenco speciale del Quadro speciale del Provveditorato agli studi di Trieste, comprendente tutto quel  corpo docente entrato in servizio durante il periodo del Governo militare alleato. Nel 1960 aveva ottenuto l’abilitazione per l’insegnamento della lingua e della letteratura slovena e l’anno successivo Pahor aveva presentato la domanda di iscrizione in diverse graduatorie, tutte riferite agli ordini e gradi dell’istruzione in lingua slovena, spaziando dalle lettere italiane a quelle slovene, dalla storia dell’arte alla lingua e letteratura francese, nonché lo sloveno, il latino, storia e geografia. Ovunque potesse mettere a frutto le personali competenze culturali acquisite negli anni dello studio. E non erano stati anni affatto facili: dopo aver assolto l’istruzione primaria alla scuola elementare slovena di Roiano tra il 1920 e il 1924, aveva frequentato il ginnasio di Capodistria ottenendo la maturità nel 1935 e proseguendo gli studi teologici a Gorizia per due anni. Però, così annota in un allegato a una domanda di assegnazione provvisoria, quell’esame non era stato riconosciuto valido e pertanto lo aveva rifatto, nel 1940, a Bengasi in Cirenaica, in piena guerra all’età di 27 anni. Ciò gli permetteva d’iscriversi alla facoltà di lettere dell’Università di Padova.

Sì, perché in mezzo c’era stata pure la guerra a scompaginare i piani suoi come di tanti coetanei. Annota nella scheda personale di essere stato arruolato il 9 giugno 1933 e dopo i rinvii per motivi di studio, giunto alle armi il 5 febbraio 1940 con l’assegnazione al 202° reggimento di artiglieria che seguiva nelle operazioni militari in Africa settentrionale aggregato alla Divisione cc.nn. “28 ottobre”  dall’11 giugno 1940 al 5 febbraio 1941,      quindi al Comando Tappa di Bengasi. Tre mesi più tardi, rimpatriato, era aggregato al Deposito del 3° reggimento di artiglieria e alla fine del marzo 1943 al Deposito del 77° reggimento di fanteria, noto come “Lupi di Toscana”. Fatto prigioniero dai tedeschi, così scrive, il 27 gennaio 1944 (quel “27 gennaio” che evoca non poco…),  riconquista la libertà il 27 aprile 1945, segnato dalle conseguenze della deportazione a Dachau. Da quella guerra esce con il grado di sergente e con due croci al merito di guerra  per la campagna 1940-1943 e per la prigionia.

Poi lo studio e la laurea in letteratura slovena conseguita l’11 novembre 1947 con il punteggio di 99/110 con una tesi discussa con lo slavista zaratino Antonio Cronia (1986-1967). Studio severo, proteso approfondire il suo rapporto culturale con il mondo slavo: due esami di filologia slava e altrettanti di lingua serbo-croata.

Gli anni della scuola, poi, dal 1953 al 1967 sempre con la qualifica di “ottimo”: nel 1960 ottiene l’abilitazione per lingua e letteratura slovena con il punteggio di 69/75, ma la sua ambizione è uscire dalla scuola media e passare all’istruzione secondaria: nel 1964 chiede l’assegnazione presso l’Istituto tecnico commerciale “Zoic” per la cattedra di lettere slovene, storia, educazione civica o in sub ordine alla cattedra di lettere italiane dello stesso Istituto con completamento all’Istituto magistrale “Slomšek”. Si sa che ottiene la prima preferenza e nel novembre del medesimo anno presenta la domanda per accedere a una borsa di studio messa a disposizione dalla «Repubblica di Slovenia» purché non contrasti con l’erogazione dello stipendio di insegnante e gli permetta il rientro in servizio all’Istituto tecnico commerciale. Nello stesso anno erano intercorsi degli accordi tra Italia e Slovenia in materia di passaggio al ruolo ordinario degli insegnanti abilitati delle scuole con lingua slovena: Boris Pahor che concorreva per le cattedre di letteratura italiana e slovena, storia, storia dell’arte, letteratura e lingua francese e iscritto nel Quadro Speciale, chiedeva di essere ammesso all’abilitazione didattica, ispezione e prova, per l’insegnamento della storia, come previsto dalla legge del 30 dicembre 1962 n. 1859 che riformava e introduceva la scuola media unica in Italia, precisando di voler essere sottoposto a ispezione e prova davanti a una Commissione esperta nella lingua slovena. Però rinunciava per orientarsi nel 1967 all’abilitazione didattica di lingua e letteratura italiana per la scuola d’istruzione secondaria  con lingua di insegnamento slovena.

Il 13 settembre 1967 si presenta all’esame con un altro candidato: Vladimiro Desco proveniente dal ruolo speciale transitorio, mentre Boris Pahor risulta insegnante non di ruolo iscritto all’albo speciale del Quadro speciale. Per entrambi il colloquio sarà approvato così da ottenere l’abilitazione. La commissione esaminatrice è di tutto rispetto con il critico letterario Bruno Maier, la scrittrice e traduttrice slovena Marija Kacin e il preside dell’Istituto magistrale “D’Aosta” di Trieste Nicolò Nichea, oggi completamente dimenticato ma autore nel 1967 di un dizionario croato serbo-italiano, studioso del melodramma del Settecento, molto attivo negli ambienti culturali triestini e critico letterario su Pagine istriane e L’Arena di Pola. Il colloquio più che esame per Boris Pahor inizia dalla letteratura contemporanea con una dissertazione su Elio Vittorini, Carlo Levi, Umberto Saba, Scipio Slataper, probabilmente proposta come di norma dal candidato con autori che rappresentano i punti di riferimento degli interessi e dei rispecchiamenti culturali e morali e della già sua produzione letteraria, per proseguire con i canonici Boccaccio, Pascoli, Tasso. Si conclude con una “discussione sui metodi di insegnamento e sui libri di testo di storia e letteratura italiana”.

Nel settembre 1968 Boris Pahor, insegnante straordinario presso l’Istituto magistrale “Slomšek” chiede l’assegnazione provvisoria all’Istituto tecnico commerciale “Zoic” per lettere slovene e storia, ma l’anno successivo è ancora allo “Slomšek” quando presta il giuramento, che suggellava allora l’entrata in ruolo, davanti al preside Janko Jež, testimoni i professori Laura Abrami e Vladimiro Turina. Successivamente il passaggio al liceo scientifico “Prešeren” quando partecipa a tre importanti sessioni di lavoro organizzate dal Ministero dell’Istruzione che segnavano negli anni Settanta, in un’epoca di cambiamenti e di nuove sensibilità, una maggiore attenzione alla produzione letteraria regionale e alla presenza e apporto delle minoranze etniche e linguistiche. Nel dicembre 1973 Boris Pahor è a Ravenna per il seminario su Letteratura regionale e letteratura nazionale, nel settembre 1974 a Livorno per quello dedicato alla Cultura delle comunità etnico-linguistiche in Italia e nell’aprile 1974 a Roccella Ionica per partecipare a quello riguardante la Cultura delle comunità greca e albanese in Calabria.  Temi a cui non era insensibile e che erano pure parte sostanziale della sua esistenza, eppure egli non ancora conosciuto al pubblico italiano professore, finalmente e con quanto penare, tra i tanti professori della scuola in Italia.

 

Lojze Spacal (a sin.) con

il professor Pahor

1960 c.a.