La Cluet di Trieste

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di Dino Faraguna

 

Nel 1969 la cooperative libraria dell’università di Trieste era in grave crisi e venne rilanciata ad opera di un Consiglio di Amministrazione costituito da persone di varia estrazione che si allearono per dare vita a un nuovo progetto per la cooperativa. Nei primi tre anni di attività, quelli del rilancio, fecero parte del gruppo con incarichi vari, Luciano Zantedeschi, Franco Quadrifoglio, Ottavio Rondini, Giorgio Tumanischvili, Giorgio Spangher, Luigi Russo, Dino Faraguna, Claudio Mayer, Asterios Delithanassis, Eva Schalaudek, Paola Hencke, Giusi Garofalo, Furio Piccini.

La Cooperativa continuò poi la sua attività per molti anni, ma qui interessa sottolinearne l’avvio e la sua interazione con il movimento del ’68.

Nell’anno 1970 venne avviata la vendita di testi universitari scontati, particolarmente utile in un momento in cui la possibilità di accedere all’Università con il diploma di istituti tecnici e l’evoluzione della società che ha caratterizzato quell’epoca incidevano fortemente sull’estrazione sociale della popolazione studentesca.

La sede, adiacente alla Casa della Studente, facilitava l’accesso degli studenti.

Proprio per queste ragioni, il vero avvio del commercio librario partì da Medicina, nella quale i testi erano molto cari. Questo ramo dell’attività partì precisamente da un acquisto di 200 copie del libro di Chimica e dalla trasparente promozione che ne fece Franco Quadrifoglio (membro del consiglio di amministrazione) allora giovane docente, amato dagli studenti, nonostante la sua severità. All’inizio dell’attività, nessun editore faceva credito alla cooperativa né tantomeno lasciava i libri in deposito. Per la prima volta, la cooperativa riuscì a ottenere un deposito dalla Vallardi, per il mitico e molto costoso libro di Anatomia (il Chiarugi). Questo fu l’avvio di un rilancio economico della cooperativa, che poi passò per tante altre tappe, tra le quali i viaggi a Padova per ottenere una scontistica superiore, finché la libreria fu in grado di garantire ordinazioni e mantenere un deposito. Questo sviluppo avvenne in un tempo tutto sommato molto breve.

All’epoca era complicato e molto costoso acquistare i libri stranieri. Nell’era di Amazon sembra impossibile, ma allora c’era il “dollaro librario”, che valeva il doppio o più del normale. E c’era un unico importatore sul quale si poteva contare per gli acquisti.

Con pazienza, un membro del consiglio di amministrazione. Giorgio Tumanischvili, cominciò a scrivere lettere alle case editrici e a reperire così i libri per la cooperativa. La cosa ebbe un tale successo che dovette essere immediatamente affiancato da una brillante studentessa della scuola interpreti: Giusi Garofalo.

Una delle prime ordinazioni fu la bibbia della medicina interna di Harrison: Principles of Internal Medicine, international student edition, che venne importato a 14 mila lire, quando veniva venduto a 50 nelle librerie. Ordinare venti copie sembrava una follia, e invece vennero acquistate nel giro di pochi giorni.

Le riviste non si trovavano facilmente a Trieste. C’era Parovel in Galleria Tergesteo, ma ospitava titoli poco di moda nel ’68. Alla Cluet in breve tempo si poteva trovare sempre: The Monthly Review, i Quaderni Piacentini di Bellocchio con la rubrica dei film di Fofi e Giovane Critica, rivista definita oggi da Flores D’Arcais “La migliore delle riviste che uscivano in quegli anni”, diretta da Giampiero Mughini, allora giovane docente di italiano a Parigi, che lo stesso Flores D’Arcais definisce il più lucido degli interpreti del Maggio francese (anche perché lui c’era effettivamente, a Parigi).

La gran parte dei volantini che hanno caratterizzato quell’epoca venne stampata prima dal classico ciclostile Gestetner con matrici a cera e poi dalla macchina da stampa offset denominata “Maria” con matrici fotosensibili. La firma ufficiale della gran parte dei volantini, a prescindere dal commissionario, rimase per molto tempo “stampato in proprio – piazzale Europa 1”.

Gran parte delle dispense che costituivano il punto di riferimento di molti corsi universitari usciva dalle mani di Asterios, l’unico in grado di far lavorare “Maria” a prescindere dalle sue condizioni tecniche. Numerosi studenti greci si sono avvicendati ad affiancarlo a tutte le ore.

Accanto a volantini e dispense sono usciti dalla tipografia romanzi auto-commissionati da studenti-scrittori, riviste di vario genere e alcune opere della casa editrice Cluet.

Due opere principali hanno caratterizzato l’attività editoriale del periodo sessantottino della Cluet Editrice: La lotta in Istria 1890-1945 di Paolo Sema e Quadernicontro

La lotta in Istria ha impegnato lo staff Cluet per un’intera estate. Fu stampato fisicamente in una tipografia esterna, ma curato dalla Cluet. Rimane l’orgoglio di aver fornito un servizio ad una persona vera e amabile, il senatore Paolo Sema, per un contributo storico centrale per chi si accosti a quel periodo.

Quadernicontro fu una rivista nata per stampare, quasi in contemporanea con New York Times e Washington Post, il rapporto Mc Namara.

Tra i più recenti film di successo in distribuzione nelle sale di tutto il mondo c’è la sintesi cinematografica della pubblicazione del Rapporto Mc Namara, con regia di Steven Spielberg: The Post, tutta incentrata sulla libertà di stampa. Oggi non moltissimi ricordano chi fosse Robert Mc Namara, pochissimi dei nati dopo gli anni ’60.

Segretario alla difesa USA con J.F. Kennedy e poi con L.B. Johnson dal ’60 al ’68 in piena guerra del Vietnam, è stato una figura centrale nell’amministrazione Kennedy e poi Johnson, così come lo era Gromiko per l’Unione Sovietica. Concluse la sua carriera politica proprio con lo scandalo del rapporto pubblicato da New York Times e The Post e oggetto del recente film di Spielberg.

Qual è stata la sostanza del rapporto e perché scatenò uno scandalo?

Tutti i presidenti da Truman in poi sapevano che la guerra del Vietnam era impossibile da vincere e tennero nascosti i rapporti che lo dichiaravano in modo inequivocabile. Ma i contenuti dei rapporti vennero sempre taciuti e la guerra continuò soprattutto per ragioni politiche, per dimostrare la forza degli USA al mondo.

In quegli anni il Rapporto costituì una bomba: dimostrò che Mc Namara, storico segretario alla difesa USA dal 1960 al ‘68 , era a conoscenza dei rapporti che giudicavano impresa impossibile la guerra del Vietnam . E questa fu certamente una delle motivazioni, come ebbe poi a dichiarare lo stesso Mc Namara, che lo indusse alle dimissioni sotto la presidenza di L. B. Johnson, che era succeduto a Kennedy dopo l’assassinio di Dallas.

E tutto ciò per una guerra nota negli Stati Uniti per i 60.000 soldati che vi hanno perso la vita in un ventennio. È stata la guerra che ha ucciso più di tre milioni di vietnamiti, soprattutto civili in seguito a bombardamenti a tappeto e all’uso di armi chimiche.

Nel complicato quadro del conflitto nel Sudest asiatico, nel 1971 viene alla luce lo scandalo del Rapporto Mc Namara. Proprio alla Cluet di Trieste, prima di qualsiasi altro editore in Italia, si decise di tradurre immediatamente il rapporto e di pubblicarlo. In quel momento, la Cluet era gestita da un gruppo eterogeneo che aveva come comune denominatore un impegno diretto o indiretto nel ’68 universitario: studenti, professori universitari, ex studenti appena laureati, professionisti che erano alleati nell’impresa di avviare la cooperativa libraria. Quando scoppiò il caso del Rapporto Mc Namara la guerra del Vietnam era il simbolo dell’imperialismo americano, ma anche della guerra stessa. E uno degli slogan del ’68 è stato “facciamo l’amore non la guerra” (certamente più di “Hasta la victoria siempre”). Scattò il desiderio di schierarsi, ma anche di operare concretamente. Pareva ormai poco efficace l’assemblearismo rivendicativo, gli slogan per gli slogan.

La Casa editrice Cluet scelse di avviare un’iniziativa editoriale che partì dal Rapporto Mc Namara ma che si estese alla guerra del Vietnam e diede origine alla rivista Quadernicontro, nome simbolico di uno degli aspetti del ’68. Contro i costumi imperanti, contro i pregiudizi, certo contro i “baroni”, contro il perbenismo e le convenzioni senza contenuti. Soprattutto se si vuole mantenere l’essenza di novità, che ha riguardato più il cambiamento dei costumi, la lotta ai privilegi, che la celebrazione dei leader. Ed era proprio così.

La cultura ufficiale, quella dei giornali, dava uno spazio limitato al Rapporto, senza il peso che avrebbe meritato e sottolineando soprattutto la libertà di stampa che permetteva la diffusione di notizie contro il governo. Alla Cluet c’era chi traduceva gli articoli, chi componeva i testi, chi faceva le matrici, chi parlava al telefono con Hanoi per avere il testo del Libro bianco di Hanoi (cioè la voce della Repubblica Democratica del Vietnam), chi stampava in modo da poter uscire in contemporanea. Tutto in una atmosfera da “prima pagina” ben lontana dall’immagine parolaia delle assemblee, dei discorsi senza fine, degli “hasta la victoria” in cui viene identificato certo sessantottismo da parodia alla Ecce Bombo, immagine ancora così presente oggi nelle mostre e nei libri del cinquantenario. Ma non era così: si lavorava intensamente, con entusiasmo e sete di cultura.

Il rapporto usciva sul numero della domenica del New York Times, che noi ci procuravamo alla base americana di Aviano. Il 22 giugno 1971 il signor Robert H. ci mandò da Jim G., il quale ci diede il domenicale NYT del 13 giugno, cioè proprio quello con cui iniziava tutta la storia.

Poi ci procurammo da Hanoi e traducemmo dal francese il Libro bianco della Repubblica Democratica del Vietnam. Il libro bianco e il rapporto vennero fatti uscire assieme nel primo e unico numero di Quadernicontro della Cluet.

Il Rapporto Mc Namara fu così pubblicato con un’introduzione del prof. Giampiero Cotti Cometti, (curatore del volume Archivio per il Vietnam, ed. Sapere, Milano 1969), che delineava nel Quaderno della Cluet un quadro inedito. Alcuni passi esemplificativi:

«I documenti qui presentati sono carte segretissime del governo statunitense. La loro pubblicazione è stata resa possibile da una “fuga” deliberata dei documenti stessi ad opera di un lavoratore intellettuale che, per il suo lavoro, ne era venuto in possesso… si tratta di qualcosa di più di una fuga… si tratta della dimostrazione inequivocabile della sostanziale falsità delle dichiarazioni ufficiali dei governanti americani sul punto principale della loro politica estera del dopoguerra. A fronte delle dichiarazioni pubbliche di pace e democrazia nella politica estera fomentavano la guerra, non rispettavano i trattati e utilizzavano elezioni cosiddette libere per i propri interessi economici e politici. Non era una novità per chi si occupava di politica e il Libro bianco di Hanoi (pubblicato assieme al Rapporto Mc Namara) ne è la chiara conferma. Ma ha altro peso la confessione esplicita del reo sui propri delitti… Non va dimenticato che se oggi il dubbio sulla onestà dei propri governanti rode molte coscienze americane, questo stesso popolo non ha mai avuto soprassalti morali per il genocidio del Vietnam. Ha cominciato a mugugnare perché troppi dei “loro ragazzi” ci rimettevano le penne nelle foreste vietnamite.

Invece proprio i reggicoda di casa nostra stanno cercando di trasformare questo implacabile atto di accusa contro il sistema imperialista in un peana alla “grande libertà di stampa” statunitense, alla “sanità” di un paese e di un governo che può permettersi questi lussi.

Per i democratici di tutto il mondo questa è un’occasione per chiarire la natura della politica imperialista, in quale considerazione tenga l’uomo.»

Mc Namara si era dimesso da Segretario alla Difesa nel ’68, per contrasti con il Presidente Johnson e divenne successivamente Presidente della Banca Mondiale mettendo al centro della sua azione la lotta alla povertà. Si pentì pubblicamente delle scelte sulla guerra del Vietnam “ci sbagliavamo, ci sbagliavamo terribilmente” nel libro In Retrospect. E lo ribadì in numerose occasioni pubbliche, fino alle lacrime.

Ebbe poi a dichiarare “Noi delle amministrazioni Kennedy e Johnson che abbiamo partecipato alle decisioni sulla guerra del Vietnam abbiamo agito in base a quanto abbiamo pensato che fossero i principi e le tradizioni di questa nazione. Abbiamo fatto le nostre scelte alla luce di quei valori. Eppure abbiamo sbagliato, terribilmente sbagliato. Lo dobbiamo alle generazioni future spiegarne i motivi. Credo davvero che abbiamo fatto un errore non di valori e intenzioni, ma di giudizio e capacità. Pensavamo che la guerra del Vietnam andasse inquadrata nel contesto della guerra fredda, e che ci sarebbe stato un effetto domino nel Sud Est Asiatico, invece fu una guerra civile” (R. S. McNamara, Architect of a Futile War, Dies at 93. New York Times. Tim Weiner. July 6, 2009).

Di questo si dava diretta testimonianza a Trieste, grazie alla Cluet, subito dopo il ’68.