PATELLANI, PROFESSIONE REPORTER

| | |

Una grande retrospettiva al Palazzi Madama di Torino

di Michele De Luca

 

 

Indiscusso protagonista del giornalismo fotografico italiano, Federico Patellani (Milano 1911 – 1977) ha lasciato un archivio di oltre settecentomila foto, realizzate dal 1935 al 1976. Il suo nome compare nel colophon del settimanale Tempo, fondato da Alberto Mondadori sul modello dell’americano Life, nel 1939: con i suoi ‘fototesti’ realizza i primi servizi in cui l’immagine è determinante e ha la parola al suo servizio. Da allora la sua firma non solo è saldamente legata a una testata di alto prestigio, ma anche ad un modo nuovo di fare giornalismo. Una bella retrospettiva a Palazzo Madama di Torino (“Federico Patellani – Professione Fotoreporter”) a cura di Kitti Bolognesi e Giovanna Calvenzi propone un’accurata selezione di foto che restituisce appieno il senso e l’importanza del suo lavoro. Un racconto per immagini, tutte in bianco e nero, che inizia dallo scoppio della guerra (con reportage in Croazia e in Russia) e che continua con le immagini di Milano bombardata e i viaggi nel sud devastato.

Patellani ci racconta soprattutto il nostro lungo ‘dopoguerra’, con le mille ferite da rimarginare sia per gli uomini che per le cose: un meridione lacero ma dignitoso, un’Italia con l’assalto agli improvvisati mezzi di trasporto pubblico, con il frugale pasto degli operai durante la pausa del mezzogiorno, con il rimpatrio dei reduci, ma anche con la gioia di vivere e di ricominciare. In sostanza, un paese che ritrova la sua identità in una tradizione culturale ricca di creatività e di fermenti, che però convive con le sue tante contraddizioni, acuite dall’emergenza postbellica: tra il mito del cinema, le elezioni di Miss Italia, la Topolino e la ‘fuoriserie’, nonostante tanta miseria nei vicoli di Napoli e Palermo e nei Sassi di Matera, la lotta per l’oc­cupazione delle terre, il durissimo lavoro nelle miniere di Carbonia. È importante considerare che queste foto mostravano – si direbbe oggi in ‘tempo reale’ – l’Italia agli italiani, invitando tutti, con la forza delle immagini, a una continua e pressante ‘autoanalisi’ attraverso le pagine dei rotocalchi di grande diffusione popolare. Era un successo incredibile della fotografia, divenuta medium insostituibile per l’informazione, oltre che per la formazione.

Aggirandosi tra le fotografie di Patellani c’è una parola che più di ogni altra ne descrive il tratto: onnipresente. Roma, Milano, Australia, Equatore, Totò, Ingrid Bergman, Luchino Visconti, Kirk Douglas, Ungaretti, De Sica, Anna Magnani, Rossellini, Mann e Montale, giusto per citare alcuni nomi. Lui c’è stato e ha scattato, registrando il presente e consumando le suole, da vero giornalista. Allo scatto nudo e crudo del reportage, però, ha saputo mescolare sapientemente la lezione del cinema e una sensibilità artistica fuori dal comune. Per questo motivo i suoi ritratti non sono solo testimonianze di eventi, ma si trasformano in uno sguardo curioso e particolare sul mondo, raccontato attraverso una potente capacità evocativa, perfettamente rappresentata (è una foto cult) dalla donna sdraiata di spalle di fronte alla carcassa di un aeroplano in Acquapendente (Viterbo) 1945. Non è possibile vederne il viso, ma è sufficiente il contesto, la cura dei dettagli, la lieve tensione di una posizione quasi innaturale e al tempo stesso reale per poter affermare di trovarci di fronte a un disegno più grande, grazie al quale la mente è libera di immaginare.

“Un tempo i giornali che andavano per la maggiore si guardavano dal pubblicare fotografie, e tenevano alla nudità delle pagine come ad una tradizione dalla quale non ci si può staccare senza cadere nel ridicolo o nel banale. Poi apparve qualche fotografia, timida come chi è poco sicuro della propria sorte: era l’esperimento, la sonda gettata nella profondità della massa dei lettori. La fotografia vinse e i giornali si attrezzarono per i nuovi gusti”. Così scriveva il fotografo in un vero e proprio saggio, intitolato Il giornalista nuova formula, diventato, nel tempo, una sorta di “manifesto” e apparso la prima volta in Fotografia. Prima rassegna dell’attività fotografica in Italia, a cura di E.F. Scopinich (Editoriale Domus, 1943). Si tratta di un’importante riflessione sul rapporto tra il mezzo fotografico e la comunicazione di massa e sull’incontro “fatale” tra la “carta stampata” e la fotografia, oltre a una testimonianza sulla propria professione e sulla sperimentazione che la nuova esigenza di cultura visiva imponeva alla produzione giornalistica; da noi, il primo importante tentativo venne fatto, come si diceva, dal mitico settimanale Tempo, e la sua grande diffusione ben presto raggiunta in Europa fu la prova più evidente della vittoria della formula “giornale settimanale fotografico”. E Patellani poteva, con soddisfazione, affermare: “La fotografia ha vinto. Per la sua impareggiabile comunicatività ed infine perché frena ed inquadra tanta fantasia spesso inutile”.

Il lavoro di Patellani, il quale seppe interpretare il fotogiornalismo con forte impegno civile (il suo, come ha scritto Oreste Del Buono, “era un modo di guardare non solo per sé, ma anche, contemporaneamente per gli altri, i più che non sanno guardare, che hanno bisogno di essere sollecitati a una presa di coscienza della realtà come al concepimento di un sogno”), e che in tempi in cui non c’era la televisione fece entrare il mondo nella percezione visiva di un pubblico sempre più vasto e più “popolare”. Ha ricordato suo figlio Aldo: “Nei momenti di lavoro, durante i viaggi o l’esecuzione di un reportage, era in genere molto disteso. La sua creatività nasceva da una tensione che rimaneva interiore, che non si manifestava verso l’esterno. Avere una macchina fotografica in mano, scattare delle foto in cui credeva lo appagava, lo rendeva felice. Quando capiva che il racconto fotografico cominciava a prendere corpo, manifestava la sua soddisfazione che si comunicava a chi gli stava vicino e lo conosceva a fondo”. Fu comunque sempre ben consapevole del come fosse difficile “il fondere in una sola fotografia i valori documento-bellezza”. Cosa, però, che a lui riusciva benissimo.Federico Patellani, Luchino Visconti, 1960

 

Federico Patellani, Luchino Visconti

Federico Patellani, Anna Magnani