La Dalmazia secondo Music

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di Enrico Možina

 

La prima volta in cui ebbi modo di trattare il connubio tra Music e la realtà insulare dalmata fu all’università, quando il professore, constatando la mia comune origine slovena con il pittore, mi assegnò un approfondimento sull’opera Les Paysannes des iles, esposta presso il Museo di Casa Cavazzini a Udine.

I cosiddetti Motivi dalmati ed i cicli pittorici sui mercati e sulle contadine delle isole fecero seguito, nella prima metà degli anni Cinquanta, alle opere sui Cavallini, primi lavori dell’artista una volta rientrato a Venezia, reduce dai dolorosi anni di deportazione a Dachau.

Les Paysannes des iles è una tempera su tavola di 116 x 89 cm.: l’opera autografa, datata 1953, fu acquisita nel 1981 dal Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Udine, Casa Cavazzini; Zoran Music fu peraltro tra gli artisti più stimati ed apprezzati dalla scrittrice Maria Luisa Astaldi, che nel 1983 donò, assieme al marito Sante Astaldi, la propria collezione d’arte per lascito testamentario al Comune di Udine, collezione che è possibile ammirare proprio a Casa Cavazzini, allestita al secondo piano dello stabile.

La pittura di Music è qui animata da una presenza umana ma invisibile: nell’impostazione bidimensionale e frontale dell’opera, la mancata divisione tra un primo piano ed uno sfondo, l’assenza della costruzione prospettica delle figure, ma soprattutto la mancanza dei loro tratti somatici cedono il passo al “segno”; segni che appartengono alla sfera contadina associata alla natura e alla vita animale.

Questi esseri anonimi, senza volto, sono i testimoni di una realtà fuori dal tempo che si palesa, nell’opera in questione, nella Dalmazia insulare, astraendosi tuttavia dal semplice paesaggio mediterraneo: un paesaggio che si riduce dunque agli elementi essenziali, ad una sintesi che l’artista operava anche nelle incisioni, prediligendo la punta secca che comporta una sentita economia di forme.

Attraverso l’uso del colore steso a secco, assorbito dalla tela che riceve solo una tenue imprimitura, Music provvede all’eliminazione degli eccessi che potrebbero turbare l’armonia della composizione mediante tonalità ocra, grigio e nero.

Quelli de Les Paysannes des iles furono anni floridi per il pittore sloveno che operando tra i propri atelier parigino e veneziano ebbe modo di confrontarsi con le coeve correnti artistiche europee: nel caso preso in esame del paesaggio dalmata, si avvicinò allo stile “più libero e aperto” dell’Informale, memore pur sempre del tratto energico di Tintoretto o di Goya, ammirati al Prado in uno dei suoi viaggi in Spagna tra il 1935 ed il 1936 (è quindi plausibile ipotizzare che l’idea della figura umana come “segno” nasca dalla negazione, proprio come per le macchie di Goya).

Seppure dietro questo mondo arcaico si celino anche monotonia e inquietudine, dettate da un voluto deficit di luminosità, di un uomo che conobbe la sofferenza che viene mitigata attingendo ai ricordi della giovinezza, proprio attraverso le sorde rappresentazioni di una terra ancora primitiva, alla quale profondamente legato (tant’è vero che Music parlava di origini più che di paesaggio), infondendo così nello spettatore quella che da Viviana Vergerio Guerra venne definita come la «struggente dolce nostalgia di Zoran Music».

 

Anton Zoran Music

Les Paysannes des iles

tempera su tavola, 1953.

Udine, Museo d’Arte

Moderna e Contemporanea

di Casa Cavazzini