La fine del mondo

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di Giuseppe O. Longo

 

Un gruppo di amici. Si trovano una sera a casa di Franco e Carla, che sono appena tornati da un viaggio. Sono andati a vedere la fine del mondo. Hanno trovato sul giornale la pubblicità di un’agenzia. Con la fine del mondo l’agenzia fa affari d’oro, ti puoi immaginare. Fanno le cose come si deve, viaggio organizzato nei minimi particolari. Marito e moglie hanno invitato gli amici per raccontare la fine del mondo. Ci hanno portato a vedere la fine del mondo. Com’era? Interessante. Strana. Una spiaggia deserta, sabbia verdastra a perdita d’occhio. Un mare oleoso, flaccido, senza onde. Il sole basso, al tramonto. Un tramonto eterno. Color rame. Molto caldo. Allora è vero che la fine viene per il troppo caldo. Sì, pare proprio di sì. La morte termica. Ma che c’entra la morte termica. Comunque faceva molto caldo, vero Franco. Mi sono dovuta togliere anche la giacca. E poi? Poi, poi sulla sabbia verde, proprio sotto di noi che stavamo su una specie di sperone di roccia, con un parapetto trasparente, come di plastica, abbiamo visto un granchio. Un granchio. Grande? Non grande, così, come la mia mano, rossoscuro. Sembrava morto, ma poi abbiamo visto che si moveva. Si spostava di fianco, come fanno i granchi. Aveva lasciato sulla sabbia la traccia obliqua delle zampe. Adesso era ai piedi della roccia e sembrava volesse salire. Franco si è sporto, ha allungato la mano, ma la guida ha urlato qualcosa, che dopo dovevano venire gli altri turisti, e così non l’abbiamo preso. Volevamo portarlo con noi. Un animale della fine del mondo. Pensate. Però a salire non ce la faceva. Tentava di arrampicarsi sulla roccia, ma si è rovesciato. Moveva le zampe pian piano. Perdeva un liquido chiaro da sotto. Era impressionante. Faceva pena, come tutte le cose vive che si avviano alla morte. Quel tramonto che non finiva mai. Il silenzio, quel mare immobile. Un odore di cuoio, di metano, di pietra. La fine del mondo. Franco e Carla hanno finito di raccontare. Un momento di silenzio. Applausi della compagnia. Sono tutti molto eccitati. Bevono, mangiano, fanno domande sull’agenzia turistica. Quanto costa. Quanto dura il viaggio. Sono compresi i pasti, il pernottamento. La settimana dopo alcuni di questi amici decidono di andare a vedere anche loro la fine del mondo. Ciascuno però vede una fine del mondo diversa. Distese di neve con bufere indescrivibili sopra altipiani ghiacciati. Una città semidiroccata con bande di robot motociclisti che corrono qua e là inseguendo gli ultimi robot pedoni e ammazzando a randellate i robot cani randagi. Un campo fiorito che ondeggia nel vento come una sinfonia di Beethoven, tra l’erba strisciano scorpioni giganti che tentano di mordere i turisti. Nel cielo campeggiano quattro soli, tre piccoli e fulgidi, uno grande rosso che occupa metà dell’orizzonte e palpita come un fegato di fiamma. Insomma ognuno vede uno spettacolo diverso. Allora questa storia della fine del mondo perde credibilità, non si capisce perché ci debbano essere tante fini diverse. La gente si stufa della fine del mondo, è naturale, l’agenzia turistica deve ridurre il personale e poi chiude. Gli amici si ritrovano a casa di Franco e Carla. Sono tutti perplessi, ciascuno racconta la versione della fine cui ha assistito e cerca di sostenerla. La vera fine del mondo l’ho vista io, l’abbiamo vista io e Luisa, vero Luisa? Ti ricordi quel piccolo pescecane morto che stava infilzato sull’albero? Quella era la fine del mondo. Si accendono discussioni, parlano tutti insieme, si dànno sulla voce, Franco e Carla sono ammutoliti, pensano a quel granchio rossiccio rovesciato sulla sabbia. Dalla finestra traluce un chiarore. Tullio se ne accorge e ammutolisce. Il chiarore si fa sempre più intenso, si ode un rombo come un immenso fruscio galattico. Ad uno ad uno anche gli altri tacciono, vanno alla finestra. Una massa grigia butterata di pietra occupa tutto il cielo. È percorsa da fiamme bluastre, da serpigini elettriche. Luisa urla che cosa succede? È la fine del mondo. Quella vera.