“LA GRANDE MADRE” A PALAZZO REALE A MILANO

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Una mostra sulla donna nell’arte del Novecento

di Corrado Premuda

 

 

Oggetto del desiderio, madre benevola o oppressiva, musa ispiratrice, lavoratrice emancipata, altra metà del cielo sottomessa all’uomo. L’immagine della donna si è evoluta ed è stata investita di ruoli molto differenti tra loro nel corso del Novecento. Si potrebbe osservare e commentare l’intero andamento del secolo scorso attraverso i cambiamenti che la società ha visto alternarsi intorno alle donne. Ed è un po’ questa la chiave che sta dietro alla mostra “La Grande Madre”. Più di cento artisti, italiani e internazionali, interpretano con le loro opere (che spaziano da pittura a scultura, da fotografia a performance a cinema) in particolare la rappresentazione della maternità nel ventesimo secolo, fino ad arrivare ai nostri giorni.

Nel bel catalogo edito da Skira (400 pagine, 39 euro), Gioni spiega il senso della mostra: “È costruita come un grande album di famiglia: una raccolta di immagini e ritratti che raccontano di avventure esistenziali nelle quali la storia ufficiale si intreccia alla biografia personale.” Ecco il punto centrale: le opere selezionate hanno un sapore intimo, sono la voce degli artisti che parla di un tema considerato, prima del Novecento, quasi sacro e intoccabile. “Emerge un’immagine molteplice e complessa della madre, lontana dagli stereotipi più frustri e rassicuranti: è il lato più oscuro, umbratile, quasi lunare della maternità che molti degli artisti e delle artiste del Novecento hanno descritto nelle loro opere.”

I movimenti all’inizio del secolo scorso, in particolare il Futurismo e il Dadaismo, interpretano la donna, il suo corpo e il suo ruolo, al pari di una macchina, una natura artificiale, a volte da usare e sfruttare al pari di un’automobile (oggetto-simbolo per i futuristi) altre volte come strumento di piacere e tortura, con un ambiguo senso di masochismo. Malgrado ciò, è il periodo in cui fanno capolino le prime donne artista: Benedetta, Mina Loy, Valentine de Saint-Point, Rosa Rosà. Attraverso di loro, specie nelle fotografie che documentano vere e proprie performance ante litteram o interpretazioni a metà tra il cinema e il teatro, la figura materna diventa un guerriero, una presenza potente, con l’esaltazione del mito della generatrice di uomini.

Ma è con il Surrealismo che il mondo dell’arte si tinge decisamente di rosa. Dora Maar, Leonora Carrington, Frida Kahlo, Dorothea Tanning, Leonor Fini, Meret Oppenheim contribuiscono a creare un nuovo immaginario del femminile: rielaborando le teorie di Freud con le più diverse mitologie, parlano di donne consapevoli del loro potere, pronte a inventare nuove regole, alternative a quelle finora appannaggio solo dei maschi. Una menzione particolare alla triestina Leonor Fini presente in mostra con uno dei suoi quadri più emblematici, Stryges Amaouri (1947), visto nel 2009 nella grande retrospettiva al Museo Revoltella: un giovane uomo glabro e addormentato viene vegliato da due figure, una è la stessa artista nei panni di una affascinante sacerdotessa, l’altra è una misteriosa creatura pelosa dall’espressione protettiva.

Il femminismo irrompe con forza nelle opere di artiste come Judy Chicago, Mary Kelly, Yayoi Kusama: il corpo di donna viene ora indagato per proporne una nuova raffigurazione, fuori dai vecchi stereotipi, e anche il parto può trasformarsi da miracolo a mostruosità. Grande spazio è dedicato alle sculture di Louise Bourgeois appese in una grande sala: per lei una bambina può assomigliare del tutto all’organo di riproduzione maschile e l’atto di procreare è un gioco inquietante tra madre e figlio.

Ha il sapore di un omaggio a una delle più importanti artiste italiane contemporanee la presenza di Carol Rama, morta lo scorso 25 settembre. È presente con Appassionata, un acquerello del 1939 nato dalle immagini di reclusione e malattia respirate nel manicomio in cui era ricoverata la madre, dove il corpo femminile viene santificato dalla sofferenza e diventa insospettabilmente erotico. Una frase di Carol Rama sintetizza bene il suo percorso: “Non ho avuto modelli per il mio dipingere; non ne ho avuto bisogno avendo già quattro o cinque disgrazie in famiglia. Il senso del peccato è il mio maestro.”

La mostra presenta anche molte artiste oggi in piena attività, come Kiki Smith, Cindy Sherman e Marlene Dumas: con loro entrano in pista nuove definizioni e nuove questioni, l’identità di genere e le inafferrabili sfaccettature di concetti oggi molto discussi come il “gender”. I ruoli di uomo e donna, di padre e di madre, possono essere intercambiabili, mimetizzarsi l’uno con l’altro, confondersi. La società va in questa direzione e l’arte lo suggerisce o lo racconta. In fondo anche la maternità, all’inizio del Novecento prerogativa solo del corpo femminile, ora subisce l’intervento del laboratorio e il concetto stesso di Grande Madre è destinato a ulteriori trasformazioni.

 

 

Fondazione Trussardi, La Grande Madre

a cura di Massimiliano Gioni, Jeff KoonsPalazzo Reale di Milano

Piazza Duomo 12, Milano

26 Agosto – 15 Novembre, 2015

Orario:

lunedì 14.30 – 19.30

martedì, mercoledì, venerdì e domenica 9.30 – 19.30

giovedì e sabato 9.30 – 22.30

ultimo ingresso un’ora prima della chiusura

biglietto intero 8 euro, ridotto 5 euro