La modella? è una cima
grandi mostre | Il Ponte rosso N° 61 | Ottobre 2020 | Roberto Curci
A Conegliano (con Cozzi e Flumiani) il suggestivo “Racconto della montagna”
di Roberto Curci
Dalle nevi immacolate di Sauris di Sopra alle tenebrose spelonche di San Canziano. C’è un’abbondante spruzzata di friulanità e di triestinità sulle cime (ma anche su certi abissi) che scandiscono il suggestivo itinerario figurativo della mostra aperta fino all’8 dicembre a Palazzo Sarcinelli di Conegliano e intitolata “Il racconto della montagna nella pittura tra Ottocento e Novecento”, a cura di Giandomenico Romanelli e Franca Lugato (dal giovedì alla domenica, 11-19, salvo rettifiche).
A scanso di equivoci, va subito chiarito che in mostra non v’è ombra del gigante Segantini e che il repertorio qui squadernato riguarda esclusivamente i pittori veneti, friulani e giuliani, e si concentra sulla rappresentazione delle Dolomiti, delle Alpi Carniche e Giulie, con l’appendice “speleologica” di cui sopra. Tutto ciò che sta a Occidente, insomma, è “out”: artisti anche insigni, montagne anche celeberrime. Una scelta riduttiva ma obbligata, essendo questo il terzo appuntamento del ciclo di rassegne dedicato al paesaggio nella pittura veneta (o triveneta).
I nomi, di conseguenza, dicono forse poco ai non-addetti, ma le opere – garantiamo – dicono molto, almeno a chi ama l’arte e a chi ama la montagna, o (meglio) entrambe. E, fra tutte, svetta la colossale tela di Giovanni Napoleone Pellis, nativo di Cicconicco di Fagagna ma trapassato fra le vette di Valbruna, “pittore della montagna” se mai ve ne fu uno. Il suo già ben noto Viatico, una processione che si snoda nel candido paesaggio invernale di Sauris, colpisce ed emoziona sempre, e non solo per la sua inusitata mole: 336×180 cm, dimensioni che sempre provocano problemi quando si tratti di trasferirlo da un sito all’altro (ad esempio dalla vecchia sede della Galleria d’arte moderna di Udine alla nuova di Casa Cavazzini).
Ma sono indubbiamente le Dolomiti a fare da primattrici: lo fanno, a dire il vero, fin da quando, nel 1864, due viaggiatori britannici, Gilbert e Churchill, le “scoprirono” e le descrissero e illustrarono nel loro The Dolomite Mountains, dando il via all’infatuazione di tanti protagonisti del Grand Tour che non si accontentavano delle solite città d’arte e, à suivre, alla riconversione turistica dei Monti Pallidi e al loro “sfruttamento” di massa.
È curioso che, fra quanti le ritrassero in ogni stagione e ora del giorno (specialmente in quella dell’Enrosadira), spicchi una bella schiera di pittori la cui prima fonte d’ispirazione era stato il mare, anch’esso colto nelle varie stagioni e ore: da cui gran profusione di “Marine”, di barche con vele al vento, di pescatori indaffarati, di fascinose vedute della laguna veneta. La montagna sembra una sorprendente scoperta successiva; e davvero par di cogliere una sorta di stupefazione dinanzi ai colossi dolomitici nelle opere dei veneziani Guglielmo Ciardi o Giovanni Salviati, la cui pittura naturalistica prelude a più tarde letture di impronta simbolista: quelle di altri veneziani quali Traiano Chitarin e Teodoro Wolf Ferrari, o del trevigiano Millo Bortoluzzi. Fino alla produzione dell’ampezzano Marco Davanzo e a quella dell’impagabile Pellis.
Lo stesso tragitto mare-montagna è percorso pure da un illustre artista triestino, colui che – anzi – fu definito “il più triestino fra i pittori triestini” (si veda la monografia di Lorenzo Nuovo per le edizioni della Fondazione CRTrieste): Ugo Flumiani (1876-1938). Indefesso pittore di marine, già allievo di Ciardi all’Accademia di Venezia, ma stregato egli pure dal bagliore del sole al tramonto sul Monte Pelmo o dai colori dell’alba sulla chiostra di Canazei, ma anche dalla luce quasi abbagliante che illumina, nelle Giulie, il Monte Mangart col Rifugio Sillani.
E tuttavia la scelta dei curatori della mostra di Conegliano ha preferito privilegiare un’altra, assai meno nota, serie pittorica: quella, cupa e tormentata, che concerne le grotte di San Canziano, e dunque la Grande Voragine, la Grotta Michelangelo, la Grotta del Silenzio, il Ponte del Fante. Un singolare pendant con la solarità di tutta la passerella precedente.
Va detto che parecchio materiale in mostra a Conegliano proviene dagli archivi della Società Alpina delle Giulie di Trieste, compresi tre dei sette taccuini di acquerelli realizzati da un altro polivalente, singolarissimo personaggio triestino (ma di famiglia friulana, di Travesio), quel Napoleone Cozzi (1867-1916) che ritrasse scene e scorci delle sue imprese di ardito scalatore e capocordata della cosiddetta “Squadra Volante”, che si distinse per la soluzione di molti problemi alpinistici del tardo Ottocento nell’area delle Alpi orientali.
Precursore dell’alpinismo senza guida e dell’arrampicata libera, Cozzi – come si sa, anche grazie a recenti studi mirati di Melania Lunazzi – fu un personaggio a tutto tondo: non solo per il profondo amore portato alle montagne, specie se alla sua epoca ancora inviolate, ma pure per la passione per l’arte (fu allievo di Eugenio Scomparini), per lo sport (corsa, scherma, canottaggio, pattinaggio) e per il sacro fuoco irredentistico che finì, nel 1904, per coinvolgerlo in una famosa vicenda para-terroristica, quella delle bombe (inesplose) nella sede della Società Ginnastica Triestina.
Per completezza d’informazione va aggiunto che la mostra di Conegliano è ben accessoriata da documentazione cartografica e bibliografica, nonché da una selezione di manifesti “di montagna” provenienti dalla Collezione Salce di Treviso. Vi spadroneggiano ovviamente le Dolomiti (cui fu già dedicato un sontuoso volume di Priuli & Verlucca, Le Dolomiti nei manifesti, di Roberto Festi ed Eugenio Manzato). E vi si ritrova il nome di quel tal cartellonista austro-italiano, Franz Lenhart, autore di molti lavori per il Lloyd Triestino e di un poster memorabile per Modiano. Anche lui, dunque, sospeso tra monti e mare.
Ugo Flumiani
Grotte di San Canziano
La Grotta Michelangelo
1932-1933 circa, olio su tavola
Trieste, Società Alpina delle Giulie
Sezione di Trieste del C.A.I