La negazione del dolore

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di Stefano Crisafulli

 

Dov’è la mamma? Si è solo nascosta molto bene, ma basta questo per far cadere Massimo nel panico. Poi, però, esce dal nascondiglio e tutto si rivela solo un gioco. Fino a che la mamma non morirà davvero. Quando accade Massimo è un bambino di nove anni ed è anche il protagonista dell’ultimo film di Marco Bellocchio, Fai bei sogni, proiettato nella mattinata di sabato 28 gennaio al Teatro Miela, nell’ambito del Trieste Film Festival 2017. Già uscito nelle sale l’anno scorso, il film del regista di capolavori quali L’ora di religione e Buongiorno, notte è stato scelto, con un referendum, dal sindacato dei critici italiani come miglior pellicola del 2016. Il premio gli è stato consegnato la sera stessa del 28/1 alla Sala Tripcovich, dopo un incontro aperto al pubblico che si è tenuto al Magazzino delle Idee. Proprio in quest’incontro, Bellocchio ha voluto chiarire alcune cose rispetto a Fai bei sogni: ad esempio il fatto che si tratti della trasposizione del libro omonimo e autobiografico di Massimo Gramellini, considerato da alcuni critici un po’ troppo mainstream: ‘Il libro – ha spiegato – mi è stato proposto dal produttore, io l’ho letto e la storia mi ha emozionato. Sono i temi del libro che mi hanno incuriosito, in particolare il dramma di un amore quasi ideale tra madre e bambino e il tema della morte. Mi è piaciuto rappresentare quest’amore che io non ho conosciuto’.

In effetti un rischio c’era, nella realizzazione di un film come questo: cadere nel patetismo. Ma è un rischio che Bellocchio è riuscito ad evitare, restituendoci un film in alcuni momenti vivo e palpitante di emozioni sincere, proprio perché trattenute e non esibite. Ma per evitare la trappola del sentimentalismo non sarebbe bastato un grande regista, ci voleva anche un attore che, vestendo i panni del Massimo diventato adulto, si muovesse sulla stessa lunghezza d’onda. La scelta di Valerio Mastrandrea è parsa azzeccata fin da subito. La storia, infatti, è, per così dire, divisa in tre parti: all’inizio c’è il rapporto del bambino con la mamma, un rapporto sereno e felice, ma anche simbiotico. Quando la mamma muore, per motivi sconosciuti al bambino (e a noi spettatori), inizia la fase più terribile, quella della negazione. Freud aveva descritto il fenomeno del diniego come un meccanismo difensivo che la psiche attua nei momenti critici della vita di una persona (di solito eventi traumatici, come la morte di un congiunto) per poter sopravvivere. Bellocchio, che di psicanalisi si è sempre occupato, informandone i suoi lavori, ha tradotto in immagini questo escamotage della mente, con l’aggravante che il protagonista viene tenuto all’oscuro della verità su come sia morta la madre. Così, con l’intento di proteggerlo, si crea un danno ancora maggiore, che ne influenzerà la vita anche da adulto. La terza e ultima fase, che si intreccia con le precedenti, inizia quando Massimo/Mastrandrea, divenuto giornalista, dovrà tornare indietro con la memoria e rivivere quel dolore, per riaprirsi al mondo degli affetti e scoprire, infine, la verità. Che forse, dentro di sé, aveva sempre saputo.