La palizzata

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di Giuseppe O. Longo

 

A un certo momento del pomeriggio c’era sempre qualcuno che diceva, andiamo fino in fondo alla palizzata. La chiamavamo così forse perché in passato era stata un pontile sorretto da pali, ma era di solido cemento armato e si protendeva nel mare prolungando per quasi un miglio la profondità del Candiano. Nel Candiano ci tuffavamo ogni tanto con un po’ di batticuore, l’acqua era limpida e oscura, ma non c’era speranza di vedere il fondo abissale. A quell’ora tornavano le barche da pesca con le vele turchine e arancione, a volte entrava nel Candiano una nave bianca e nera, immensa, e la Carla diceva, quella va fino a Ravenna e ci sembrava impossibile, poi l’ansito dei motori si allontanava e la scia biancoverde si estenuava nel tramonto. La Carla era la bella del gruppo, era il nostro orgoglio, non osavamo pensare a lei come pensavamo alle altre ragazze della compagnia. Eppure qualcuno la conquistò, perché un anno, quando in luglio ci ritrovammo a Porto Corsini, ci disse, mi sono fidanzata, in ottobre mi sposo. Raddoppiammo i tentativi di impressionarla, di conquistare se non il suo amore almeno il suo sguardo, andavamo più spesso sulla palizzata e ci tuffavamo nelle acque misteriose del Candiano, qualcuno perfino l’attraversava e si issava sul molo di fronte. Era il molo dell’Abissinia, così chiamavamo quella spiaggia povera e sporca, con tre o quattro tende scure e sfilacciate. La Carla ci guardava e sorrideva, ci voleva bene. Un giorno arrivò il suo fidanzato, era un tipo basso, robusto, molto abbronzato, ci parve adulto, quasi vecchio, certo non adatto alla Carla, però sembrava che andassero d’accordo, si tenevano per mano, ma con una certa serietà, senza sdolcinatezze, non si guardavano mai negli occhi. Decidemmo, senza consultarci, che quel tipo non era giusto per una come la Carla. In settembre tornammo a casa, chi a Ferrara, chi a Bologna. La Carla abitava a Ravenna. Non la vedemmo più. Ci giunse la notizia che si era sposata, come ci aveva detto, in ottobre, ma non aveva invitato nessuno del gruppo. L’anno dopo ci ritrovammo al mare, le ragazze c’erano tutte, l’Emanuela e la Licia e la Mariangela e la Piera, tutte tranne lei. Ci rassegnammo, riprendemmo la nostra vita da spiaggia, le passeggiate sul Candiano e la sera a ballare alla Grotta Verde, pian piano dimenticammo la Carla, ma era una dimenticanza dolente, pronta a trasformarsi in nostalgia. Passarono alcuni anni, il gruppo si assottigliò, i più dopo il liceo si iscrissero all’università, quasi tutti a Bologna, alcuni a Ferrara. A Porto Corsini continuarono a venire i più tenaci, ma venivano quasi per inerzia, qualcuno si portò la ragazza, della Licia sapemmo che si era fidanzata col farmacista delle Alfonsine. Io mi ero iscritto a lettere a Bologna e dopo la laurea cominciai a insegnare nel Liceo Ariosto, in fondo non mi dispiaceva la vita di provincia e poi a Ferrara si stava bene. Mi sposai con Alessia, una ragazza di Rovigo che era venuta a Ferrara a studiare chimica. La domenica ogni tanto andavamo a trovare i suoi, poi quando nacque il bambino furono loro a spostarsi ogni tanto. Con i miei i genitori di Alessia andavano d’accordo, così la vita trascorreva tranquilla, tra la scuola, i lenti pomeriggi domenicali, il bambino che cresceva, Alessia si era trovata un lavoro che la teneva impegnata un paio d’ore al giorno. Una volta in piazza incontrai Giovanni, uno del vecchio gruppo di Porto Corsini, che era venuto a Ferrara per fare un servizio fotografico, lavorava per una rivista importante. Dopo i saluti, come se si vergognasse un po’ mi disse, hai saputo della Carla? È morta di parto dopo due anni che si era sposata. Fu come un pugno in mezzo alla faccia. Con quella ragazza scompariva, roteando piano in una lontananza, tutta una fetta della mia vita, il Candiano e la palizzata e le barche dei pescatori e le estati favolose della nostra adolescenza. Ricacciai indietro il groppo che avevo in gola e dissi, andiamo a bere un caffè, ma Giovanni aveva fretta. Ci salutammo in silenzio, quasi imbarazzati. Non lo vidi mai più.